Diritti esclusivi e delibera nulla

Corte di Cassazione, sez. II civile
sent. n. 4726/2016

Il caso
Alcune comproprietarie di nove appartamenti agivano in giudizio contro il condominio chiedendo la sospensione dei lavori di realizzazione di un ascensore esterno, la demolizione della “gabbia” in costruzione e il risarcimento dei danni offerti per l’opera illegittimamente eseguita e lesiva della proprietà esclusiva. Il Tribunale, dopo l’espletamento di una consulenza tecnica d’ufficio (CTU), condannava in solido amministratore e condominio, i quali proponevano appello, non accolto, e successivamente ricorrevano in Cassazione, che ha rigettato il ricorso.
La decisione
I ricorrenti in Cassazione lamentavano che la Corte d’Appello ha reputato nulla la delibera assembleare, “poiché è stato accertato dal C.T.U. che la gabbia in muratura lede il diritto di proprietà esclusiva dell’appellata”.
Ma la Suprema Corte conferma l’operato del giudice di merito: «che la corte di merito abbia in dipendenza degli esiti della c.t.u. correttamente opinato per la nullità della delibera, rinviene riscontro nel consolidato insegnamento di questa Corte di legittimità».
La Corte richiama due precedenti pronunce: «in tema di condominio di edifici, i poteri dell’assemblea, i quali sono fissati tassativamente dal codice (art. 1135 c.c.), non possono invadere la sfera di proprietà dei singoli condòmini, sia in ordine alle cose comuni che a quelle esclusive, tranne che una siffatta invasione sia stata da loro specificamente accettata o nei singoli atti di acquisto o mediante approvazione del regolamento di condominio che la preveda (cfr. Cass. 27.8.1991, n. 9157, ove si soggiunge, che, pertanto, non è consentito alla maggioranza dei condòmini deliberare una diversa collocazione delle tubazioni comuni dell’impianto di riscaldamento in un locale di proprietà esclusiva, con pregiudizio di tale proprietà, senza il consenso del proprietario de/locale stesso; cfr., altresì, Cass. 14.12.2007, n. 26468, secondo cui, in tema di condominio, i poteri dell’assemblea condominiale possono invadere la sfera di proprietà dei singoli condòmini, sia in ordine alle cose comuni sia a quelle esclusive, soltanto quando una siffatta invasione sia stata da loro specificamente accettata o in riferimento ai singoli atti o mediante approvazione del regolamento che la preveda, in quanto l’autonomia negoziale consente alle parti di stipulare o di accettare contrattualmente convenzioni e regole pregresse che, nell’interesse comune, pongano limitazioni ai diritti dei condòmini)».
E ricorda che «il rimedio dell’impugnazione offerto dall’art 1137 c.c. nei confronti delle deliberazioni assembleari condominiali – e la disciplina relativa, anche in ordine alla decadenza – riguarda unicamente le deliberazioni annullabili e non quelle nulle (cfr. Cass. 10.6.1981, n. 3775, ove si soggiunge che, pertanto, il provvedimento con cui l’amministratore del condominio, esorbitando dai suoi poteri, leda i diritti dei singoli condòmini sulle cose comuni, in quanto affetto da radicale nullità, – impugnabile davanti all’autorità giudiziaria, con azione non soggetta ai termini di decadenza di cui agli artt. 1133 e 1137, 30 co., c. c.)».
Quindi si esprime sulla rilevabilità d’ufficio: «il rilievo ex officio di una nullità negoziale – sotto qualsiasi profilo ed anche ove sia configurabile una nullità speciale o “di protezione” – deve ritenersi consentito, sempreché la pretesa azionata non venga rigettata in base ad una individuata “ragione più liquida”, in tutte le ipotesi di impugnativa negoziale; ed, inoltre, che nel giudizio di appello ed in quello di cassazione, il giudice, in caso di mancata rilevazione officiosa, in primo grado, di una nullità contrattuale, ha sempre facoltà di procedere ad un siffatto rilievo (cfr. Cass. sez. un. 12.12.2014, n. 26242; si veda anche Cass. 15.3.1986, n. 1768, secondo cui il potere del giudice di rilevare d’ufficio la nullità di un negozio giuridico non comporta il suo dovere di indagare circa tutte le possibili cause di nullità del negozio di cui si discuta nel processo, ma opera soltanto nei limiti in cui la nullità già emerga in modo certo dagli atti processuali)».
Nel decidere sul ricorso, la Suprema Corte evidenzia anche che «in ossequio al canone di “autosufficienza” del ricorso per cassazione, del pari avrebbero dovuto i ricorrenti, onde consentire il riscontro, il vaglio dei propri assunti, riprodurre più o meno testualmente nel corpo del ricorso il testo della relazione di consulenza tecnica d’ufficio».
La pronuncia si chiude con il rigetto del ricorso e la condanna alle spese del giudizio.

Osservazioni
La decisione affronta tre aspetti importanti:
1) l’interpretazione del contratto e degli atti di autonomia privata è riservata al giudice di merito, ed è censurabile in Cassazione solo per violazione dei criteri legali di interpretazione o per vizio di motivazione;
2) il rimedio dell’impugnazione delle delibere assembleari condominiali (e i relativi termini di decadenza) riguarda solo le deliberazioni annullabili, mentre quelle nulle sono sempre rilevabili d’ufficio;
3) le risultanze della CTU (consulenza tecnica d’ufficio) in contrasto con la decisione oggetto di ricorso in Cassazione devono essere riprodotte nel corpo del ricorso per Cassazione, in ossequio al canone di “autosufficienza” dello stesso.

Disposizioni rilevanti
* REGIO DECRETO 16 marzo 1942, n. 262
* Codice civile vigente al: 30-4-2016
Art. 1137 – Impugnazione delle deliberazioni dell’assemblea
Le deliberazioni prese dall’assemblea a norma degli articoli precedenti sono obbligatorie per tutti i condomini.
Contro le deliberazioni contrarie alla legge o al regolamento di condominio ogni condomino assente, dissenziente o astenuto può adire l’autorità giudiziaria chiedendone l’annullamento nel termine perentorio di trenta giorni, che decorre dalla data della deliberazione per i dissenzienti o astenuti e dalla data di comunicazione della deliberazione per gli assenti.
L’azione di annullamento non sospende l’esecuzione della deliberazione, salvo che la sospensione sia ordinata dall’autorità giudiziaria.
L’istanza per ottenere la sospensione proposta prima dell’inizio della causa di merito non sospende nè interrompe il termine per la proposizione dell’impugnazione della deliberazione. Per quanto non espressamente previsto, la sospensione è disciplinata dalle norme di cui al libro IV, titolo I, capo III, sezione I, con l’esclusione dell’articolo 669-octies, sesto comma, del codice di procedura civile.

————————————————————————————-

Verbale di assemblea condominiale

CORTE DI CASSAZIONE
Sez. VI civ., ord. 12.8.2015,  n. 16774

Ritenuto che il consigliere designato ha depositato, in data 29 dicembre 2014, la seguente proposta di definizione, ai sensi dell’art. 380-bis cod. proc. civ.:
«Con sentenza in data 22 luglio 2013, il Tribunale di Torino ha accolto l’appello del Condominio di via … e, per l’effetto, in riforma della pronuncia resa dal Giudice di pace di Torino in data 30 novembre 2011, ha dichiarato inammissibile l’impugnazione, da parte di G.B., della deliberazione assunta dall’assemblea del Condominio nella seduta del 21 maggio 2010: sia perché tardivamente proposta rispetto al termine di trenta giorni di cui all’art. 1137, ultimo comma, cod. civ., sia per il difetto di interesse ad agire del G.B. per acquiescenza alla delibera impugnata, avendo il G.B. partecipato all’assemblea ma non avendo fatto verbalizzare il proprio dissenso, dal verbale risultando che il G.B. approvò il rendiconto delle spese relativamente al 2009 ed il preventivo per l’anno successivo.
Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello il G.B. ha proposto ricorso, con atto notificato il 19 febbraio 2014, sulla base di due motivi.
L’intimato Condominio ha resistito con controricorso.
Con il primo motivo si deduce violazione e falsa applicazione di norme di diritto, in ordine alla affermata tardività dell’impugnazione.
Il secondo mezzo lamenta “violazione o falsa applicazione di norme di diritto, in relazione alla omessa motivazione, in ordine alla presunta carenza di interesse ad agire in capo al Sig. G.B.”.
Il secondo mezzo appare infondato, posto che il Tribunale, dopo avere dato atto che dal verbale dell’assemblea risulta che il rendiconto ed il preventivo sono stati approvati dall’assemblea, cui partecipò il G.B., all’unanimità, ha fatto applicazione dell’art. 1137 cod. civ., che legittima a proporre l’impugnazione soltanto i condòmini dissenzienti e quelli assenti. È esatto che il ricorrente afferma di essere stato dissenziente e deduce che il verbale prodotto non è quello originariamente redatto in assemblea, ma la sentenza d’appello si fa carico di questa obiezione e rileva che l’affermazione (contenuta nella sentenza di primo grado) secondo cui per un mero errore nella trascrizione a computer del verbale stesso non sarebbe stato indicato che l’attore aveva espresso parere contrario, è meramente apodittica e non sostenuta da alcuna prova. Sotto questo profilo, va data continuità al principio secondo cui il verbale dell’assemblea condominiale offre una prova presuntiva dei fatti che afferma essersi in essa verificati, per modo che spetta al condomino che impugna la deliberazione assembleare contestando la rispondenza a verità di quanto riferito nel relativo verbale, di provare il suo assunto (Cass., Sez. Il, 13 ottobre 1999, n. 11526).
Essendo infondata, ad avviso del relatore, la censura articolata con il secondo motivo, il ricorrente è privo di interesse allo scrutinio del primo motivo di ricorso.
Difatti, qualora la decisione di merito si fondi, come nella specie, su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte e autonome, singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, la ritenuta infondatezza della censura mossa ad una delle rationes decidendi rende inammissibile, per sopravvenuto difetto di interesse, la censura relativa all’altra ragione esplicitamente fatta oggetto di doglianza, in quanto quest’ultima non potrebbe comunque condurre, stante l’intervenuta definitività dell’altra, alla cassazione della decisione stessa (Cass., Sez. III, 14 febbraio 2012, n. 2108).
Il ricorso può essere avviato alla trattazione in camera di consiglio, per esservi rigettato».
Letta la memoria di parte ricorrente.
Considerato
* che il Collegio condivide la proposta di definizione contenuta nella relazione ex art. 380-bis cod. proc.civ.;
* che i rilievi critici contenuti nella memoria non sono persuasivi;
* che tali critiche muovono dal presupposto che il verbale (non impugnato di falso) – da cui risulta che tutti i punti all’ordine del giorno vennero esaminati separatamente ed approvati all’unanimità dai condòmini (tranne il punto n. 2, relativo alla nomina dell’amministratore, in cui le proprietà G.B. e S. dissentirono) – non era conforme a legge e quindi sarebbe privo della presunzione di veridicità di quanto in esso trasfuso, stante la mancata indicazione, in detto verbale, dei nominativi dei condòmini e dei millesimi rappresentati;
* che in realtà detta mancata indicazione dei nominativi non risulta dal testo della sentenza impugnata, la quale, anzi, dà atto che dal verbale risulta non solo l’indicazione dei cinque punti all’ordine del giorno, ma anche il loro esame separato e la loro approvazione con il consenso unanime dei condòmini, essendosi registrato dissenso (da parte di due soli condòmini, G.B. e S.) con riguardo ad un altro punto all’ordine del giorno;
* che detta mancata indicazione neppure può dirsi un dato pacifico ed incontestato, tant’è vero che nel controricorso si spiega che “i nominativi dei condòmini presenti all’assemblea e omessi nell’estratto del verbale [derivante dalla trascrizione al computer] risultavano registrati in occasione dell’assemblea, come si evince dall’analisi della copia originale del verbale che si produceva in secondo grado”;
* che l’ammissibilità della produzione della copia originale è sì contestata dall’odierno ricorrente, ma genericamente, sul rilievo “che lo stesso documento era già formato al momento della costituzione in primo grado e controparte ben avrebbe potuto produrlo in allora”: in particolare, il ricorrente non considera che la disciplina dell’art. 345, terzo comma, cod. proc. civ., ratione temporis applicabile, consentiva la produzione dei documenti ritenuti indispensabili dal giudice;
* che, pertanto, il ricorso deve essere rigettato;
* che le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
(omissis)

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese processuali sostenute dal Condominio controricorrente, che liquida in complessivi euro 1.200, di cui euro 1.000 per compensi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.