INSTALLAZIONE DI MANUFATTI LEGGERI E NORME URBANISTICHE

EDILIZIA E URBANISTICA
Reati edilizi

Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 15-09-2015) 13-10-2015, n. 41067

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SQUASSONI Claudia – Presidente –

Dott. GRILLO Renato – Consigliere –

Dott. RAMACCI Luca – rel. Consigliere –

Dott. ACETO Aldo – Consigliere –

Dott. MENGONI Enrico – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

P.M. N. IL (OMISSIS);

avverso l’ordinanza n. 880/2015 TRIB. LIBERTA’ di AGRIGENTO, del 30/04/2015;

sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. LUCA RAMACCI;

sentite le conclusioni del PG Dott. F. Baldi, annullamento con rinvio.

Svolgimento del processo

1. Il Tribunale di Agrigento, con ordinanza del 30/4/2015 ha respinto la richiesta di riesame, presentata nell’interesse di P. M., avverso il decreto in data 5/3/2015 con il quale il Giudice per le indagini preliminari del medesimo Tribunale aveva disposto il sequestro di un prefabbricato modulare, ipotizzandosi il reato di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. b).

Avverso tale pronuncia la predetta propone ricorso per cassazione tramite il proprio difensore di fiducia, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, ai sensi dell’art. 173 disp. att. c.p.p..

2. Con un primo motivo di ricorso lamenta la violazione di legge, osservando che, avuto riguardo alla potestà esclusiva in materia urbanistica attribuita alla Regione Sicilia, le disposizioni contenute nel D.P.R. n. 380 del 2001, non potrebbero essere applicate, mentre, in ragione di quanto disposto dalla L.R. n. 37 del 1985, art. 5, la sosta o il parcheggio di una casa mobile non sarebbe soggetto ad alcuna concessione o autorizzazione se non adibita ad uso abitativo, ipotesi ricorrente nel caso di specie.

Aggiunge che la destinazione all’uso abitativo sarebbe stata erroneamente valutata dai giudici del riesame sulla base di un giudizio meramente prognostico e valorizzando elementi non rilevanti, quali l’esistenza di una pavimentazione esterna e di una vasca interrata, comunque compatibili con la destinazione del terreno e rispetto ai quali non risulta dimostrata alcuna relazione con la casa mobile installata.

3. Con un secondo motivo di ricorso lamenta che il Tribunale, nella valutazione del fumus non avrebbe tenuto conto dell’introduzione, nel codice penale, dell’art. 131 bis, e della circostanza che, avuto riguardo alla condotta contestata, il procedimento penale sarebbe verosimilmente destinato ad essere definito in sede predibattimentale con sentenza di non doversi procedere per particolare tenuità del fatto.

Insiste, pertanto, per l’accoglimento del ricorso.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è infondato.

Va rilevato, con riferimento al primo motivo di ricorso, che dei rapporti tra la disciplina regionale della Sicilia e la normativa statale contenuta nel D.P.R. n. 380 del 2001, si è ripetutamente occupata la giurisprudenza di questa Corte.

Si è così avuto modo di chiarire che, in ogni caso, le disposizioni introdotte da leggi regionali devono rispettare i principi generali fissati dalla legislazione nazionale e, conseguentemente, devono essere interpretate in modo da non collidere con i detti principi (Sez. 3, n. 28560 del 26/3/2014, Alonzo, Rv. 259938; Sez. 3, n. 2017 del 25/10/2007 (dep. 2008), Giangrasso, Rv. 238555; Sez. 3, n. 33039 del 15/6/2006, P.M. in proc. Moltisanti, Rv. 234935. Conf., ma con riferimento ad altre disposizioni normative della Regione siciliana, Sez. 3, n. 28560 del 26/3/2014, Alonzo, Rv. 259938; Sez. 3, n. 4861 del 9/12/2004 (dep. 2005), Garufi, Rv. 230914; Sez. 3, n. 6814 del 11/1/2002, Castiglia V, Rv. 221427).

Le richiamate pronunce riguardano, nello specifico, proprio la concreta applicazione del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, e sono ritenute pienamente condivisibili dal Collegio, che intende pertanto ribadire la sussistenza dei rilevati limiti alla potestà legislativa regionale.

2. Fatta tale premessa, occorre osservare che il D.P.R. n. 380 del 2001, art. 10, lett. a), individuava, nella sua originaria formulazione, tra gli interventi edilizi soggetti a permesso di costruire, gli interventi di nuova costruzione, la cui descrizione è fornita dall’art. 3, dello stesso T.U., ove viene tra l’altro specificato che sono comunque da considerarsi come interventi di nuova costruzione, tra l’altro, anche “l’installazione di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere, quali roulottes, campers, case mobili, imbarcazioni, che siano utilizzati come abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili e che non siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee”.

Con il D.L. 21 giugno 2013, n. 69, art. 41, comma 4, convertito con modificazioni dalla L. 9 agosto 2013, n. 98, al testo suddetto è stata aggiunta la frase “ancorchè siano installati, con temporaneo ancoraggio al suolo, all’interno di strutture ricettive all’aperto, in conformità alla normativa regionale di settore, per la sosta ed il soggiorno di turisti”.

Successivamente, con il D.L. 28 marzo 2014, n. 47, art. 10 ter, comma 1, convertito con modificazioni dalla L. 23 maggio 2014, n. 80, la parola “ancorchè” è stata sostituita con le parole “e salvo che”.

Infine, la Corte Costituzionale, con sentenza n. 189 del 24 luglio 2015, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del già citato D.L. 21 giugno 2013, n. 69, art. 41, comma 4.

La Corte ha infatti rilevato che la norma individua “(…) specifiche tipologie di interventi edilizi, realizzati nell’ambito delle strutture turistico-ricettive all’aperto, molto peculiari, che peraltro contraddicono i criteri generali (della trasformazione permanente del territorio e della precarietà strutturale e funzionale degli interventi) forniti, dallo stesso legislatore statale, ai fini dell’identificazione della necessità o meno del titolo abilitativo. In tal modo, la norma impugnata sottrae al legislatore regionale ogni spazio di intervento, determinando la compressione della sua competenza concorrente in materia di governo del territorio, nonchè la lesione della competenza residuale del medesimo in materia di turismo, strettamente connessa, nel caso di specie, alla prima”.

3. Il D.P.R. n. 380 del 2001, art. 3, comma 1, lett. e), si riferisce dunque, attualmente, alla “installazione di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere, quali roulottes, campers, case mobili, imbarcazioni, che siano utilizzati come abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili e che non siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee e salvo che siano installati, con temporaneo ancoraggio al suolo, all’interno di strutture ricettive all’aperto, in conformità alla normativa regionale di settore, per la sosta ed il soggiorno di turisti”.

L’esplicita menzione di detta tipologia di interventi nel Testo Unico ha, di fatto, codificato la figura giuridica di “costruzione” elaborata dalla giurisprudenza prima dell’entrata in vigore del T.U. e nella quale rientravano tutti quei manufatti che, comportando una trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio comunale, modificavano lo stato dei luoghi in quanto, difettando obiettivamente del carattere di assoluta precarietà, erano destinati almeno potenzialmente a perdurare nel tempo, non avendo peraltro alcun rilievo a riguardo la distinzione tra opere murarie e di altro genere, nè il mezzo tecnico con cui fosse assicurata la stabilità del manufatto al suolo (o al muro perimetrale di quello esistente), in quanto la stabilità non va confusa con l’irrevocabilità della struttura o con la perpetuità della funzione ad essa assegnata dal costruttore, ma si estrinseca nell’oggettiva destinazione dell’opera a soddisfare un bisogno non temporaneo (così Sez. 3, n. 9138 del 7/7/2000, P.M. in proc. Migliorini T ed altro, Rv. 217217 ed altre prec. conf.).

Si è successivamente avuto modo di precisare che, ai fini della individuazione della nozione di costruzione urbanistica, non è determinante l’incorporazione nel suolo indispensabile per identificare, a norma dell’art. 812 c.c., il bene immobile, essendo sufficiente la destinazione del bene ad essere utilizzato come bene immobile, con la conseguenza che l’elencazione contenuta nel menzionato art. 3, lett. e) non può considerarsi esaustiva, giacchè i parametri indicati possono essere analogicamente applicati ad opere simili (Sez. 3, n. 37766 del 7/7/2005, Terrin, non massimata).

In seguito, si è ritenuto configurabile il reato di costruzione edilizia abusiva in ogni ipotesi di installazione su un terreno, senza permesso di costruire, di strutture mobili quali camper, roulotte e case mobili, sia pure montate su ruote e non incorporate al suolo, aventi una destinazione duratura al soddisfacimento di esigenze abitative (Sez. 3, n. 25015 del 23/3/2011, Di Rocco, Rv.

250601. V. anche Sez. 3, n. 41479 del 24/9/2013, Valle, Rv. 257734;

Sez. 3, n. 37572 del 14/5/2013, P.M. in proc. Doppiu e altro, Rv.

256511. Sulla nozione di installazione v. Sez. 3, n. 7047 del 4/12/2014 (dep. 2015), Gaiotto, non massimata sul punto).

4. I richiamati principi, formulati prima degli interventi modificativi di cui si è dato conto in precedenza, devono ritenersi ancora attuali, atteso che l’evidente eccezione introdotta, riferita alle sole “strutture ricettive all’aperto”, trova la sua ragion d’essere, come si ricava anche dalla menzionata sentenza della Corte costituzionale (e da quella, in essa richiamata, n. 278/2010), nel fatto che la collocazione dei manufatti indicati al loro interno, in ragione della destinazione, non determina una permanente trasformazione del territorio tale da richiedere il permesso di costruire.

5. Pare tuttavia opportuno precisare che le modifiche apportate alla disposizione in esame non ne hanno in alcun modo ampliato l’ambito di operatività, limitandosi a fornire un contributo esplicativo perfettamente coerente con i principi generali fissati dalla disciplina urbanistica e, sostanzialmente, fondato sul fatto che interventi del tipo di quelli descritti non comportano una stabile trasformazione rilevante sotto il profilo urbanistico.

E’ dunque in quest’ottica che la disposizione deve essere interpretata, avendo specifico riguardo alla precarietà oggettiva e funzionale dell’intervento, cui fa riferimento anche la Corte Costituzionale nella sentenza 278/2010.

Andrà quindi tenuto conto del fatto che la disposizione in esame richiede alcuni specifici requisiti:

– il temporaneo ancoraggio la suolo, cosicchè ogni collocazione di tali manufatti che abbia natura permanente, desumibile non soltanto dal dato temporale ma anche da ogni altro elemento significativo, quale, ad esempio, la presenza di parti accessorie fisse o di stabili allacciamenti alle reti elettriche, idrica o fognaria;

– i manufatti devono trovarsi all’interno di strutture ricettive all’aperto e l’uso della specifica locuzione induce a ritenere che il riferimento riguardi esclusivamente quelle individuate dal D.Lgs. 23 maggio 2011, n. 79, art. 13, (c.d. Codice del turismo) e, segnatamente, i villaggi turistici i campeggi, i campeggi nell’ambito delle attività agrituristiche ed i parchi di vacanza;

– tali strutture dovranno essere debitamente autorizzate e condotte in conformità alla normativa regionale di settore;

– la destinazione dei manufatti è quella della sosta ed il soggiorno di turisti.

A tale ultimo proposito deve osservarsi che, anche in altra occasione (Sez. 3, n. 41479 del 24/9/2013, Valle, Rv. 257734 ) si è affermato, con riferimento ai campeggi, che il riferimento alla “sosta” ed al “soggiorno”, i quali presuppongono una permanenza temporanea, porta ad escludere ogni forma di stabile residenza, così come il riferimento alla figura del “turista”, il quale è individuabile, secondo il significato della parola stessa, come un soggetto che viaggia e soggiorna in località diverse dalla sua residenza abituale per un periodo di tempo limitato per piacere, affari o altri scopi, ricordando come tale definizione coincida sostanzialmente con quella data dalla Organizzazione Mondiale del Turismo, agenzia delle Nazioni Unite (WTO, Ottawa Conference on Travel and Tourism Statistics, 1991).

Rileva dunque, in particolare, la natura meramente occasionale e, comunque, limitata nel tempo, del soggiorno.

Pare superfluo rilevare, poi, che la formulazione della disposizione è inequivoca nel richiedere la compresenza di tutte le condizioni in precedenza indicate.

6. Va conseguentemente affermato il principio secondo il quale la collocazione su un’area di una “casa mobile” con stabile destinazione abitativa, in assenza di permesso di costruire, configura il reato di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. b), rilevando esclusivamente, ai fini dell’esclusione contenuta nell’ultima parte del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 3, comma 1, lett. e5), la contestuale sussistenza dei requisiti indicati e, segnatamente, la collocazione all’interno di una struttura ricettiva all’aperto, il temporaneo ancoraggio al suolo, l’autorizzazione alla conduzione dell’esercizio da effettuarsi in conformità della normativa regionale di settore e la destinazione alla sosta ed al soggiorno, necessariamente occasionali e limitati nel tempo, di turisti.

7. Ciò posto, deve rilevarsi che, nel caso in esame, il Tribunale, nel valutare la sussistenza del fumus del reato, ha rilevato che l’immobile sequestrato, secondo quanto accertato dal personale di polizia giudiziaria che aveva eseguito i rilievi, è costituito da un prefabbricato modulare di mq 42, in parte poggiato su un carrello ed in parte su pali telescopici, dotato, sul lato est, di un terrazzino di mq 16, poggiato anch’esso su pali telescopici. Il manufatto risulta, inoltre, suddiviso in due distinte unità, con ingressi separati, dotate la prima di due camere da letto, vano cucina e vano WC e la seconda di una camera, un vano cucina e vano WC. Il Tribunale, sulla base dei dati fattuali a sua disposizione, ha ritenuto che l’immobile fosse destinato ad uso abitativo, escludendone anche l’utilizzo per fini di soddisfacimento di esigenze meramente temporanee, valorizzando, a tal fine, la presenza di arredi, l’esistenza, all’esterno del manufatto, di un’area piastrellata di circa 200 mq, sulla quale insiste il terrazzino e la realizzazione di una vasca idrica interrata in cemento armato vibro- compresso ed osservando che l’assenza di allacciamenti alla rete idrica e l’assenza di vasche di raccolta delle acque bianche e nere è giustificata dalla recente collocazione del prefabbricato, desunta dalla data di rilascio della carta provvisoria di circolazione (25/7/2014).

8. Si tratta, ad avviso del Collegio, di valutazione giuridicamente corretta e pienamente conforme ai principi dianzi ricordati operata, peraltro, entro l’ambito della limitata cognizione attribuita dalla legge al giudice del riesame.

A fronte di tali affermazioni, inoltre, la ricorrente si è limitata a contestare quanto sostenuto dai giudici del riesame, osservando che la pavimentazione del piazzale sarebbe compatibile con la destinazione di zona e la presenza della vasca non dimostra la sua collocazione a servizio del prefabbricato, aggiungendo che, in occasione dei sopralluoghi, l’immobile non risultava abitato.

La ricorrente, dunque, pur negando la destinazione del piazzale e della vasca al servizio dell’immobile, non ne indica comunque un diverso utilizzo, limitandosi, come si è detto, a rivendicarne la compatibilità con la destinazione di zona (verde pubblico attrezzato, parcheggi privati e/o di uso pubblico, campeggi e servizi accessori), nè specifica, peraltro, le diverse ragioni della presenza sull’area del manufatto del quale nega la stabile destinazione ad uso abitativo.

La visione parcellizzata dei singoli elementi fattuali considerati dal Tribunale offerta dalla ricorrente, oltre a non poter essere oggetto di autonoma valutazione da parte del giudice di legittimità, non appare comunque idonea a scardinare la solidità del percorso argomentativo che i giudici del riesame hanno posto a sostegno della loro decisione, considerando il complessivo stato dei luoghi, unitamente alle caratteristiche del manufatto ed al periodo di permanenza sull’area.

9. Procedendo poi all’esame del secondo motivo di ricorso, occorre preliminarmente osservare che la ricorrente non invoca l’applicabilità dell’art. 131 bis c.p., in questa sede, limitandosi a sostenere che i giudici del riesame non avrebbero tenuto conto, ai fini della valutazione del fumus del reato, della successiva possibile declaratoria di non punibilità per particolare tenuità del fatto, considerato un precedente di merito, che richiama, applicato in relazione ad una ipotesi di installazione di casa mobile.

Il motivo di ricorso, così come formulato, risulta connotato da estrema genericità ed è, in ogni caso, del tutto infondato.

Non può infatti pretendersi dai giudici del riesame un giudizio prognostico sul possibile, futuro esito del giudizio di merito ed, in ogni caso, riferendosi l’art. 131 bis c.p., a comportamenti tali da poter essere ritenuti penalmente rilevanti e, quindi, certamente collocabili tra quelli non inoffensivi, ma che, però, devono aver prodotto conseguenze minime, non degne di essere ulteriormente apprezzate in sede penale (perchè, in definitiva, ciò che rileva è un fatto che si presenti come oggettivamente e soggettivamente assai modesto), il solo mantenimento della misura cautelare reale da parte dei giudici del riesame comporta, di per sè, l’implicito riconoscimento della insussistenza dei ricordati presupposti per l’applicazione della norma codicistica di recente introduzione.

10. Il ricorso deve pertanto essere rigettato, con le consequenziali statuizioni indicate in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese di procedimento.

Così deciso in Roma, il 15 settembre 2015.

Depositato in Cancelleria il 13 ottobre 2015

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LEGITTIMAZIONE IN GIUDIZIO DELL’AMMINISTRATORE

COMUNIONE E CONDOMINIO
Cass. civ. Sez. II, Sent., 14-10-2015, n. 20786

Spese della comunione e del condominio in genere

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Presidente –
Dott. MIGLIUCCI Emilio – Consigliere –
Dott. MATERA Lina – Consigliere –
Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –
Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso (iscritto al N.R.G. 28869/10) proposto da:

ALCOR INVESTMENT CONSULTING s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, in forza di procura speciale in calce al ricorso, dall’Avv.to Bertelli Attilio del foro di Milano ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell’Avv.to Prof. Massimo Zaccheo in Roma, via Abruzzi n. 3;

– ricorrente –

contro

CONDOMINIO di (OMISSIS), in persona dell’amministratore pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avv.to Betti Fiorenza del foro di Milano e dall’Avv.to Galleano Sergio del foro di Roma, in virtù di procura speciale apposta a margine del controricorso, ed elettivamente domiciliata presso lo studio di quest’ultimo in Roma, via Germanico n. 172;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Milano n. 1599 depositata il 27 maggio 2010.

Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 13 maggio 2015 dal Consigliere relatore Dott.ssa Milena Falaschi;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CELESTE Alberto, che – in assenza delle parti – ha concluso per concluso per l’inammissibilità del ricorso ed in subordine per il rigetto.

Svolgimento del processo

Con ricorso ex art. 1137 c.c. notificato il 17 ottobre 2001 la condomina ALCOR INVESTIMENT CONSULTING s.r.l. evocava, dinanzi al Tribunale di Milano, il Condominio di (OMISSIS), chiedendo – previa sospensione dell’efficacia – l’annullamento della Delib. assembleare 27 giugno 2001 per erronea imputazione delle spese condominiali e per incompleta e carente verbalizzazione della discussione avvenuta sulle questioni poste all’ordine del giorno, ordinando all’amministratore del Condominio di effettuare nuovamente i conteggi, dichiarando non dovuti gli interessi moratori applicati, con conseguente restituzione delle somme indebitamente ricevute.

Instaurato il contraddittorio, nella resistenza del Condominio, il Tribunale adito, senza espletamento di attività istruttoria, respingeva le domande della ricorrente.

In virtù di rituale appello interposto dalla ALCOR INVESTIMENT CONSULTING, la Corte di appello di Milano, nella resistenza dell’appellato, respingeva il gravame.

A sostegno della decisione la corte territoriale – premesso che l’appellante era divenuta proprietaria di appartamento sito nello stabile condominiale con atto di compravendita del 16.3.2001 ed aveva impugnato la delibera assembleare del 27.6.2001, cui la stessa non aveva preso parte, lamentando l’addebito di spese ingiustificate sia perchè riferibili a periodo anteriore al suo subentro nella proprietà del bene e sia perchè già saldati dalla precedente proprietaria – evidenziava che per la regolarità del verbale assembleare non erano necessarie particolari formalità, purchè si tenesse conto di tutte le attività svolte, tramite la verbalizzazione. Aggiungeva che nella specie aveva trovato corretta applicazione l’art. 63 disp. att. c.p.c., comma 2, giacchè la natura solidale dell’obbligazione di pagamento fra il condomino acquirente ed il condomino precedente comportava che il Condominio avesse titolo per rivalersi per l’intero nei confronti di uno solo dei soggetti coobbligati. Quanto poi agli interessi di mora, il ritardo nel pagamento dei quattro ratei risultava dall’estratto di conto corrente.

Concludeva relativamente alle istanze probatorie formulate dall’appellante, che avendo la società all’udienza fissata per l’ammissione dei mezzi istruttori richiesto la fissazione di udienza di precisazione delle conclusioni, dovevano ritenersi rinunciate le richieste; inoltre la c.t.u. aveva una mera rilevanza esplorativa, generica la prova testimoniale.

Avverso la indicata sentenza della Corte di appello di Milano proponeva ricorso per cassazione la ALCOR INVESTMENT CONSULTING, sulla base di quattro motivi, illustrati anche da memoria ex art. 378 c.p.c., cui replicava con controricorso il Condominio.

Motivi della decisione

Va preliminarmente esaminata la questione della (in)ammissibilità del controricorso, dedotta dalla ricorrente, per avere il Condominio resistito in mancanza della necessaria delibera assembleare di autorizzazione a stare in giudizio dell’Amministratore.

Seguendo l’interpretazione dell’art. 1131 c.c. portata dalla sentenza n. 18331 del 2010 delle Sezioni Unite di questa Corte, la costituzione in giudizio del controricorrente Condominio non necessitava di delibera di autorizzazione, in quanto l’oggetto del contenzioso riguarda le materie descritte nell’art. 1130 c.c. – nel testo anteriore alla novellazione operata dalla L. n. 220 del 2012.

Del resto per giurisprudenza consolidata, l’Amministratore di un Condominio è legittimato ad agire, e a chiedere il decreto ingiuntivo previsto dall’art. 63 disp. att. c.p.c., contro il condomino moroso per il recupero degli oneri condominiali, ex sè, una volta che l’assemblea abbia deliberato sulla loro ripartizione, poichè la fonte di tale potere è la approvazione assembleare del piano di ripartizione.

Non è pertanto fondata l’eccezione di inammissibilità del controricorso, così come sollevata dalla ricorrente nella memoria depositata ai sensi dell’art. 378 c.p.c., stante il carattere necessario della rappresentanza ex lege che compete, nella specie, al solo Amministratore, anche in sede processuale, per i disposto degli artt. 1129, 1130 e 1131 c.c..

Ciò posto, con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione e/o falsa applicazione della legge, nonchè vizio di motivazione, in relazione alla nullità della sentenza per mancata, insufficiente e carente motivazione. In altri termini, ad avviso della ALCOR il Tribunale di Milano, prima, e la Corte di appello, poi, non avrebbero fornito le giustificazioni idonee a far individuare l’inter logico- giuridico seguito e le ragioni fondanti del contenuto della sentenza.

All’esame più specifico della censura è opportuno premettere talune osservazioni di carattere generale al fine di chiarire la natura e i limiti del giudizio di legittimità, come delineati dal legislatore, nell’ambito dei parametri di cui all’art. 360 c.p.c., e dei poteri di nomofilachia assegnati dall’ordinamento alla Corte di Cassazione, nonchè dei principi che la giurisprudenza ormai consolidata della stessa Corte ha, nel corso degli anni, elaborato.

La prospettazione, col ricorso per cassazione, di un vizio di motivazione della sentenza impugnata non conferisce al giudice di legittimità il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale e di rivalutare le prove, essendo demandato alla Corte di Cassazione il solo potere di controllare l’adeguatezza, la correttezza e la coerenza logico-formale della motivazione che sorregge la decisione del giudice di merito e spettando esclusivamente a quest’ultimo il compito di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di individuare, tra queste, le prove maggiormente idonee alla dimostrazione dei fatti controversi, dando prevalenza a talune piuttosto che ad altre risultanze processuali. Ove, poi, il ricorrente sostenga che il giudice di merito ha omesso la valutazione di talune prove, sarà tenuto non solo a specificarle nel loro preciso tenore, al fine di consentire alla Corte di Cassazione di compiere il preventivo giudizio sulla loro potenziale decisività, ma dovrà anche fornire la dimostrazione logica che se le prove non esaminate dal giudice di merito fossero state convenientemente vagliate, ne sarebbe derivata una decisione diversa da quella in concreto adottata.

Nel caso in cui, con il ricorso per cassazione, sia denunziata violazione di legge con richiamo a specifiche disposizioni normative (come nella specie il richiamo dell’art. 132 c.p.c., n. 4) il ricorrente è tenuto ad indicare le affermazioni della sentenza gravata che assume essere in contrasto con la norma asseritamente violata o con l’interpretazione della stessa fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina, indi è tenuto a prospettare la propria corretta interpretazione, al fine di consentire alla Corte di Cassazione di adempiere al compito istituzionale di verificare la fondatezza della censura, e fornire, infine, la dimostrazione logica che, se questa interpretazione fosse stata seguita dal giudice di merito, la decisione della causa sarebbe stata diversa da quella resa e sfavorevole al ricorrente.

Nel caso specifico il mezzo in esame si sottrae, ad avviso del Collegio, all’osservanza delle regole suddette, innanzitutto perchè, per quanto concerne la doglianza di violazione di legge dedotta, non risulta denunziata con i dovuti requisiti di autosufficienza e di specificità che ne consentano la delibazione.

In secondo luogo risultano mancanti, nel mezzo in esame, pertinenti censure di legittimità dal momento che, ad una lettura attenta, la censura denota contenuto e sostanza prettamente di merito, peraltro in riferimento alla sentenza del giudice di prime cure e solo per relationem a quello del gravame, neanche chiarite le voci di spesa che ad avviso della ricorrente non sarebbero alla stessa riferibili.

In buona sostanza, la ricorrente chiede una generica valutazione circa la pretesa erroneità di imputazione delle spese condominiali, concetto questo di per sè vago, se non integrato dai costi in concreto esposti. Ne deriva che la censura doveva essere formulata più specificamente con riferimento al caso di specie, e tale denunzia, in concreto, è mancata, essendo vaghi e confusi gli argomenti scaturenti dalla (asseritamente) non debenza di spese relative ad un periodo in cui la società ALCOR Investiment Consulting non era ancora condomina.

In definitiva la motivazione della sentenza impugnata, sebbene concisa ed essenziale – ma non per questo insufficiente, in quanto complessivamente rispettosa del dettato di cui all’art. 132 c.p.c., comma 1, n. 4) – si snoda attraverso un percorso chiaro e intelligibile, avendo il giudice di merito enucleato tutti gli elementi della fattispecie e, attraverso l’integrazione della parte argomentativa con quella espositiva della vicenda processuale, dato ragione del proprio convincimento circa l’applicabilità nella specie del principio solidaristico di cui all’art. 63 disp. att. c.c., in base ad una valutazione logicamente coerente degli elementi probatori acquisiti.

Con il secondo motivo la ricorrente lamenta la violazione e/o falsa applicazione della legge, nonchè vizio di motivazione in relazione alla carenza di motivazione sulla nullità delle delibera relativa all’assemblea del 27.6.2001, richiesta sia nel giudizio di primo grado sia in sede di gravame, senza che ne venisse dato atto in sentenza. In sintesi, la ricorrente lamenta che nel verbale assembleare non sia stata rispettata la regola di documento ufficiale comprovante lo svolgimento delle attività prescritte, essendo mancata una redazione formale; in particolare, sarebbe stata ritenuta legittima la mancata verbalizzazione delle delucidazioni fornite dall’amministrazione alle richieste dei condomini. Del pari non può trovare ingresso la seconda censura.

Il metodo collegiale raffigura un procedimento che si sviluppa attraverso fasi distinte, configurate dallo svolgimento di diverse attività (la comunicazione dell’avviso di convocazione con l’ordine del giorno, la costituzione, la discussione, la votazione, la verbalizzazione), tutte necessarie ai fini della validità dell’atto finale consistente nella delibera. In quanto riguarda la formazione della cosiddetta volontà unitaria ascritta a più persone, a garanzia della sua corretta formazione nei confronti di tutti i partecipanti, compresi coloro i quali sono rimasti in minoranza o che non sono intervenuti all’assemblea, la validità dell’atto finale esige la puntuale esecuzione di tutte le diverse fasi contemplate dal procedimento collegiale.

La redazione del verbale costituisce una delle prescrizioni di forma, che debbono essere osservate dall’assemblea, e che si pone sullo stesso piano delle altre formalità richieste dal procedimento ricordate sopra (avviso di convocazione, ordine del giorno, costituzione, discussione, votazione etc.) e la cui inosservanza importa le medesime conseguenze: vale a dire, la impugnabilità della Delib., in quanto presa non in conformità alla legge (art. 1137 c.c.).- La redazione del verbale raffigura, dunque, un momento necessario dello svolgimento del procedimento collegiale, perchè il verbale costituisce il documento, che ufficialmente dimostra lo svolgimento delle attività prescritte. Dalla verbalizzazione risulta se l’assemblea sia stata o no ritualmente convocata, ovverosia se tutti i condomini siano stati o no avvisati; se a tutti i partecipanti sia stato o no comunicato l’ordine del giorno; se la costituzione sia stata considerata regolare o irregolare, per la presenza o il difetto delle maggioranze personali e reali prescritte;

se vi sia stata o no discussione e, infine, se la proposta posta ai voti sia stata approvata o respinta e con quali maggioranze (cfr Cass. 22 maggio 1999 n. 5014).

In altri termini, il verbale è la narrazione dei fatti nei quali si concreta la storicità di un’azione, esso deve attestare o “fotografare” quanto avviene in assemblea; tuttavia, non incide sulla validità del verbale la mancata indicazione, in esso, di circostanze la cui ricognizione e rilevazione non ha proceduto l’assemblea stessa, nel corso dei suoi lavori, giacchè questa incompletezza non diminuisce la possibilità di controllo aliunde della regolarità del procedimento e delle deliberazioni assunte (di recente, Cass. 31 marzo 2015 n. 6552).

In detta direzione, si è – ad esempio – chiarito che in tema di delibere di assemblee condominiali, non è annullabile la delibera il cui verbale, ancorchè non riporti l’indicazione nominativa dei condomini che hanno votato a favore, tuttavia contenga, tra l’altro, l’elenco di tutti i condomini presenti, personalmente o per delega, con i relativi millesimi, e nel contempo rechi l’indicazione, nominativa, dei condomini che si sono astenuti e che hanno votato contro e del valore complessivo delle rispettive quote millesimali, perchè tali dati consentono di stabilire con sicurezza, per differenza, quanti e quali condomini hanno espresso voto favorevole, nonchè di verificare che la deliberazione assunta abbia superato il quorum richiesto dall’art. 1136 c.c. (Cass., n. 18192 del 2009).

Orbene, le deduzioni della ALCOR non appaiono idonee a superare l’accertamento svolto dalla Corte d’appello in ordine alla correttezza della verbalizzazione, giacchè l’assunto della ricorrente si arresta sul piano meramente formale e descrittivo, avendo essa rilevato che la mancata verbalizzazione delle “delucidazioni” richieste dai condomini e fornite dall’Amministratore avrebbe determinato la invalidità del verbale, omettendo tuttavia di dedurre il perchè la invalidità (della verbalizzazione) avrebbe interessato non solo il verbale ma anche la deliberazione assunta in assemblea. In sostanza, non pare dubitabile, perchè un simile accertamento è stato svolto dalla Corte d’appello, che ha confermato quanto accertato anche sul punto dal Tribunale, che i chiarimenti non avevano formato oggetto di contestazione. Se cosi è, allora, appare evidente come la Corte d’appello non abbia in alcun modo errato nel ritenere il verbale regolarmente redatto, atteso che nessuna disposizione sancisce che il verbale debba contenere una rigorosa sequela temporale e sostanziale, in ragione della necessaria semplicità e snellezza della gestione dell’amministrazione del condominio, che tollera, senza concreti pregiudizi per la collettività condominiale, la possibilità di regolarizzare eventuali omissioni nell’approvazione dei rendiconti (cfr Cass. 19 settembre 2014 n. 19799).

Con il terzo motivo la ricorrente denuncia violazione e/o falsa applicazione della legge, nonchè vizio di motivazione, in merito alla erronea valutazione della documentazione prodotta, in particolare con riferimento al documento n. 5, contenente le quietanze di avvenuto pagamento da parte dei precedenti proprietari, da cui risulterebbe – dovuti gli interessi di mora, nella misura del 14%, in ipotesi di pagamento superati i 20 giorni di tolleranza – dal timbro rilasciato dalla posta o dalla banca sulle quietanze che i pagamenti erano stati effettuati prima della scadenza di tale termine. Ad altri fini avrebbe, di converso, rilevato la data di annotazione dell’operazione sul conto corrente condominiale, ossia di accreditamento dell’importo, tenuto conto dalla corte di merito, non ponendosi neanche una questione di solidarietà sul debito condominiale. Il motivo va accolto.

Come risulta dalla sentenza impugnata, la questione della debenza degli interessi di mora era stata prospettata già al primo giudice ed è stata riproposta davanti alla corte distrettuale con l’impugnazione per erronea valutazione della effettiva consistenza della posizione debitoria. Ciò posto, la corte di merito nel riconoscere detta voce di debito ha argomentato il suo convincimento sul presupposto che per il pagamento delle quote condominiali a mezzo di bonifico bancario, la valuta di addebito, per l’ordinante, corrisponde alla data di esecuzione del pagamento, mentre per il beneficiario la valuta di accredito è in funzione del tipo di disposizione dei tempi di esecuzione concordati con la banca del correntista creditore; ha poi concluso gravando il debitore delle ricadute connesse alla disciplina dei servizio di incasso crediti, noto come MAV, prescelto dallo stesso Condominio.

Ne consegue che la sentenza impugnata non sembra aver fatto corretta applicazione dei principi a fondamento della responsabilità del debitore posto che, come osservato dalla ricorrente, dalle n. 4 quietanze di pagamento i versamenti risultavano avvenuti prima delle rispettive date di scadenza. Infatti, pur avendo dato atto analiticamente di tutti i presupposti necessari ai fini del saldo dei ratei, la sentenza impugnata nell’applicare il principio di esatto adempimento, ha erroneamente riferito la data di esecuzione della prestazione a quella di accredito del versamento sul conto corrente intestato al Condominio, senza tenere conto che questo ulteriore aspetto attiene alla disciplina del rapporto bancario, cui la debitrice è estranea.

Con il quarto motivo la ricorrente lamenta la violazione di legge ed il vizio di motivazione in merito alla liquidazione delle spese nel primo grado, pronuncia confermata in appello, ritenendo generica la relativa eccezione e senza specificare il parametro adottato. Il motivo è inammissibile. E’ vero, infatti, che il giudice, in mancanza di una nota specifica prodotta dalla parte vittoriosa, può limitarsi ad una globale determinazione dei diritti di procuratore e degli onorari di avvocato; tuttavia, ove – come nella specie – il ricorso per Cassazione avverso la liquidazione delle spese processuali operata dal giudice di merito non riporti le singole voci per le quali la liquidazione dovrebbe essere ridotta globalmente, esso non consente di verificare la pretesa violazione dei limiti tariffari, sia per i diritti che per gli onorari, e pertanto, non essendo autosufficiente, è inammissibile. Tali principi, già enunciati da questa Corte (Cass. 3 novembre 2005 n. 21325; Cass. 22 gennaio 2003 n. 1382), valgono per tutti i casi di scostamento degli importi liquidati rispetto a quelli ritenuti congrui, perchè ciò che rileva è il rispetto o meno dei limiti tariffari.

Conclusivamente, va accolto il terzo motivo di ricorso, respinti i restanti. Il provvedimento impugnato va cassato con riferimento al mezzo accolto e non essendo necessari ulteriori accertamenti di merito ai sensi dell’art. 384 c.p.c., la causa va decisa nel merito elidendo dagli oneri condominiali domandati gli interessi di mora.

In considerazione del parziale accoglimento dell’appello e della ragione della reiezione da parte del giudice dell’impugnazione, le spese del gravame vanno interamente compensate fra le parti, mentre quelle della presente fase – accolto il ricorso solo in minima parte – possono compensarsi per la metà, mentre vanno poste nella misura del restante 50% a carico della ricorrente.

P.Q.M.
La Corte, accoglie il terzo motivo di ricorso, rigettati il primo, il secondo ed il quarto;
cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e decidendo nel merito elide gli interessi di mora dagli oneri condominiali domandati;
dichiara interamente compensate fra le parti le spese del giudizio di appello e condanna parte ricorrente alla rifusione della metà delle spese del giudizio di Cassazione, compensate per la restante parte, che liquida per l’intero in complessivi Euro 2.500,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese forfettarie ed accessori come per legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2A Sezione Civile, il 13 maggio 2015.
Depositato in Cancelleria il 14 ottobre 2015