Infiltrazione intercapedine condominiale e risarcimento danni

CORTE DI CASSAZIONE
Sez. III civ., ord. 31.1.2018, n. 2379

Rilevato che
G.N. ricorre, con tre mezzi, nei confronti del Condominio … (che resiste con controricorso) avverso la sentenza in epigrafe con cui la Corte d’appello di Genova, in accoglimento del gravame interposto dal condominio … e in conseguente riforma della sentenza di primo grado, ne ha rigettato la domanda di condanna di controparte al risarcimento dei danni subiti in occasione del nubifragio abbattutosi sulla città il 30 settembre 1998, in conseguenza dell’allagamento dei locali di sua proprietà siti al piano interrato e seminterrato dello stabile condominiale, comunicanti tramite porta interna con intercapedine condominiale: le acque meteoriche, nell’occorso, avevano allagato la strada e, superando il livello del marciapiede, avevano invaso attraverso le griglie di areazione la detta intercapedine e, da questa, si erano quindi riversate nel deposito-magazzino dell’attore, recando gravi danni alla merce ivi depositata e alle strutture murarie;
i giudici d’appello hanno infatti ritenuto che l’evento dannoso fosse ascrivibile a caso fortuito, data l’eccezionalità dell’evento atmosferico, ciò argomentando dai rilievi del c.t.u. che, diversamente dalla lettura datane dal primo giudice, erano nel senso che lo scarico presente nell’intercapedine fosse (non insufficiente o inefficiente in assoluto per un vizio o difetto dimensionale, ma solo) inadeguato «allo smaltimento delle acque che avevano invaso l’intercapedine in relazione all’eccezionalità dell’evento alluvionale», donde la conclusione secondo cui «l’intercapedine condominiale è stata soltanto lo strumento di una serie causale indipendente, dovuta in parte a causa di forza maggiore ed in parte a fatto di terzi e dello stesso danneggiato, che ha agito su di essa dall’esterno, senza responsabilità del custode»;
il controricorrente ha depositato memoria.
Considerato che
con il primo motivo di ricorso G.N. denuncia la nullità della sentenza, per inosservanza dell’art. 112 cod. proc. civ., ai sensi dell’art. 360, comma primo, num. 4, cod. proc. civ., per avere la Corte d’appello deciso nei termini esposti disinteressandosi di accertare come l’acqua dal marciapiede fosse penetrata nell’intercapedine condominiale e non considerando quanto al riguardo accertato, con efficacia di giudicato in mancanza di gravame, nella sentenza di primo grado (circa: l’inidoneità della tubazione di smaltimento delle acque esistente nell’intercapedine condominiale; il fatto che l’acqua era penetrata dal marciapiede nell’intercapedine sottostante attraverso le griglie ivi esistenti; la circostanza che tali griglie, in precedenza chiuse, erano state aperte, prima dell’evento dannoso, dall’amministratore del condominio senza alcun valido motivo);
sotto altro profilo analoga censura è dedotta per avere la Corte territoriale omesso di considerare il giudicato asseritamente formatosi, per mancanza di specifico motivo di gravame, sulle affermazioni contenute nella sentenza di primo grado circa la mancata risposta alla richiesta di informazioni disposta con ordinanza istruttoria del 21/2/2003 da parte della stazione meteo di Portosele, circa l’inidoneità dei dati contenuti nella lettera Arpal del 27/4/2004 a dimostrare che si sia trattato di un accadimento del tutto eccezionale e, ancora, circa l’efficacia probatoria della relazione del CSERF agli atti, in quanto «documento prodotto irritualmente», in mancanza di «alcuna attinenza con le informazioni richieste con ordinanza del 21/2/2003»;
con il terzo motivo, infine, il ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360, comma primo, num. 5, cod. proc. civ., omesso esame di fatti asseritamente decisivi rappresentati dalle informative rese dal Comune di Sanremo e dall’Arpal e da una sentenza resa in separato giudizio dal Tribunale di Sanremo, anch’essa prodotta in primo grado, che motivatamente aveva escluso il carattere eccezionale della precipitazione atmosferica del 30/9/1998.
Ritenuto che
il primo e il secondo motivo, congiuntamente esaminabili per la loro intima connessione, sono in parte inammissibili e in altra parte infondati;
invero, da un lato, nella parte in cui lamentano una erronea obliterazione da parte del giudice d’appello del ruolo svolto nella dinamica dell’evento dalle dimensioni e dalle contingenti condizioni delle strutture condominiali, essi non colgono l’effettiva ratio decidendi posta a base della sentenza impugnata, la quale invero non nega ma anzi assume come dato pacifico il fatto che l’acqua sia passata attraverso la griglia, individuando però al di sopra di esso una serie causale autonoma (il nubifragio di portata eccezionale), ritenuta caso fortuito idoneo a interrompere il nesso causale tra evento dannoso e cosa in custodia;
(omissis)
Ritenuto che
(omissis)
è poi appena il caso di precisare che nessun effetto vincolante può assegnarsi alla diversa valutazione circa la portata eccezionale dell’evento atmosferico espressa in separato giudizio tra altre parti;
il ricorso va pertanto rigettato, conseguendone la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, liquidate come da dispositivo;
(omissis)
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità liquidate in euro 3.000 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200, ed agli accessori di legge.

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Uso del bene condominiale e collocazione piante

CORTE DI CASSAZIONE
Sez. II civ., ord. 7.2.2018, n. 2957

Rilevato che:
Con ricorso al giudice di pace di Cagliari depositato in data 18 giugno 2010, G.S. e V.I., condòmini dello stabile sito in …, hanno impugnato la delibera assembleare del 21/05/2010 con cui era stato stabilito che le aiuole e spazi verdi condominiali dovessero essere lasciati liberi da qualsiasi ingombro, a seguito della quale l’amministratrice aveva provveduto autonomamente a rimuovere i vasi e le piante del signor G.S. ivi collocate.
(omissis)
4. Con ulteriore ricorso depositato in data 15/10/2010 i predetti condòmini hanno impugnato la successiva delibera assembleare del 06/09/2010, con cui sono stati determinati il divieto di utilizzare le aiuole condominiali per piantarvi essenze vegetali, di deporre vasi o materiali sugli spazi comuni e nei pressi di taluni pilastri, nonché la recisione della pianta rampicante collocata nell’aiuola condominiale a ornamento del balcone del signor G.S.; con la delibera è stata altresì decisa la conclusione di una transazione di una causa.
(omissis)
4. I signori G.S. e V.I. hanno impugnato la decisione con appello al tribunale di Cagliari, sostenendo, sulla resistenza del condominio:
(omissis)
b) l’infondatezza dell’eccezione medesima, sia con riferimento alla materia, essendo nel caso di specie in contestazione non la titolarità del diritto di proprietà sulle parti comuni, ma la liceità o meno delle limitazioni imposte dall’assemblea al diritto di godimento delle cose comuni da parte dei condòmini, sia con riferimento al valore, avendo gli appellanti indicato il medesimo in una somma inferiore a euro 5.000.
6. Il tribunale di Cagliari con sentenza depositata il 30/07/2013 ha (omissis) dichiarato infine fondato l’appello nel merito, disponendo l’annullamento delle delibere del 21.05.2010 e del 06.09.2010 siccome contrastanti con gli artt. 1102 e 1136 cod. civ., quanto rispettivamente alle decisioni concernenti l’uso delle aiuole e spazi comuni nonché la transazione della lite in assenza di maggioranza ove non poteva comprendersi il voto del signor Z., e condannando il condominio al risarcimento dei danni per euro 849,29 nei confronti del signor G.S. per la rimozione e distruzione delle piante di sua proprietà, oltreché alla somma, equitativamente determinata, di € 3.000, ai sensi dell’art. 96, comma terzo, cod. proc. civ.
7. Avverso la predetta decisione il condominio ha proposto ricorso per cassazione, articolato su cinque motivi e illustrato da memoria. Hanno resistito i signori G.S. e V.I. con controricorso.
Considerato che:
(omissis)
5. È infondato, poi, il quarto motivo (indicato, per evidente refuso, con la lett. c) dopo che anche il precedente era indicato con la stessa lettera); con esso il condominio lamenta violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360, primo comma, n. 3) cod. proc. civ., in relazione all’art. 1102 cod. civ., contestando che – nella parte in cui la sentenza impugnata ha statuito che regolamentare l’uso delle parti comuni vietando l’apposizione di vasi, essenze vegetali, materiali per il giardinaggio ecc. svilirebbe a tal punto il diritto di comunione sulle parti comuni da impedire l’uso di tutti i partecipanti su esse – vi sia stata affermazione di una regula iuris difforme da quella contemplata dalla citata disposizione.
6. In argomento, va premesso che la decisione del tribunale appare in continuità con la giurisprudenza di questa corte (v. Cass. n. 27233 del 04/12/2013) per cui l’art 1102 cod. civ., nel prescrivere che ciascun partecipante può servirsi della cosa comune purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso, non pone una norma inderogabile; ne consegue che, i suddetti limiti possono essere resi più rigorosi dal regolamento condominiale, o da delibere assembleari adottate con i quorum prescritti dalla legge (fermo restando che non è consentita l’introduzione di un divieto di utilizzazione generalizzato delle parti comuni).
Nel caso di specie, l’affermazione del tribunale, secondo la quale sarebbero illegittime (il tribunale adopera la categoria della nullità, ciò che non rileva ai fini dell’impugnazione – ma cfr. Cass. sez. U. n. 4806 del 07/03/2005) le delibere in questione in quanto impedirebbero ai singoli condòmini di porre proprie piante a dimora nelle aiuole comuni (con rimozioni di arbusti privati), ravvisando nelle delibere un intento emulativo e un abuso di maggioranza, con statuizione secondo cui sarebbe la piantumazione in questione espressione del diritto di ciascun condomino di migliorare l’uso delle aiuole ex art. 1102 cod. civ., non contrasta con la retta interpretazione di questa norma, pur essendo eventualmente opinabile nel merito. In tal senso, sotto la veste di impugnazione per violazione di legge, il motivo si traduce in una istanza di riesame dell’apprezzamento fattuale operato dal tribunale, inesigibile da questa corte di legittimità al di fuori del sindacato sulla motivazione (oggi ridotto al “minimo costituzionale” dell’“omesso esame” di cui al testo del riformato n. 5 dell’art. 360 primo comma cod. proc. civ. applicabile alla presente controversia ratione temporis).
(omissis)
8. Il ricorso va dunque rigettato. Le spese seguono la soccombenza.
(omissis)
P.Q.M.
la corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione a favore dei controricorrenti delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 200 per esborsi ed euro 1.500 per compensi, oltre spese generali nella misura del 15% e accessori di legge.