Accertamento tecnico preventivo

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BERTUZZI Mario – Presidente –
Dott. PAPA Patrizia – Consigliere –
Dott. TEDESCO Giuseppe – rel. Consigliere –
Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –
Dott. VARRONE Luca – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 33246/2018 R.G. proposto da:
DAF COSTRUZIONI Srl , rappresentato e difeso dall’avvocato MASTRONARDI MASSIMO;
– ricorrente –
contro
A.A., elettivamente domiciliato in ROMA VIALE GIULIO CESARE N 71, presso lo studio dell’avvocato DE MARCO NICOLO’ che lo rappresenta e difende;
-controricorrente-
B.B., GENERALI ITALIA Spa CONDOMINIO (Omissis);
-intimati-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO BARI n. 1482/2018 depositata il 03/09/2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12/04/2023 dal Consigliere GIUSEPPE TEDESCO.

Svolgimento del processo
I fatti oggetto della presente vicenda, per quanto ancora rileva in questa sede, sono i seguenti: il Condominio di (Omissis) ha incaricato l’impresa D.A.F. Costruzioni Sas di C.C. E Figli del rifacimento del lastrico solare dell’edificio. A.A., proprietario di una unità immobiliare compresa nell’edificio condominiale, dopo avere chiesto e ottenuto un accertamento tecnico preventivo, ha chiamato in giudizio, insieme ad altri, l’impresa appaltatrice, chiedendone la condanna al risarcimento del danno subito al proprio appartamento a causa di infiltrazioni di acqua piovana. Il Tribunale, per quanto qui rileva, ha accolto la domanda, condannando l’impresa e il condominio in solido al pagamento della somma di Euro 9.222,20.
La Corte d’appello di Bari, adita dall’impresa, ha confermato la decisione, in forza delle seguenti considerazioni: a) ha ritenuto che il primo giudice avesse correttamente acquisito il fascicolo dell’accertamento tecnico preventivo, non essendo circostanza impeditiva il fatto che l’impresa non avesse partecipato al procedimento: l’impresa, infatti, avvenuta l’acquisizione, fu posta nelle condizioni di interloquire, dovendosi pertanto escludere la violazione principio del contraddittorio. La corte territoriale ha aggiunto che, in ogni caso, il convincimento del primo giudice, sulle cause dei danni, si fondava su altri elementi probatori, diversi dall’accertamento tecnico preventivo; b) quanto alla liquidazione delle spese dell’accertamento tecnico preventivo, la sentenza d’appello ha confermato la decisione di primo grado, poste dal Tribunale a carico dell’attuale ricorrente, rilevando che la soccombenza giustificava, in favore della parte vittoriosa, il rimborso anche delle spese sostenute prima del processo; c) che la esimente invocata dall’impresa, identificata nell’eccezionalità degli eventi piovosi avutasi nei primi giorni del mese di dicembre 2002, la quale aveva avuto ampia epoca anche sulla stampa, non bastava a mandare l’impresa esente responsabilità, essendo la previsione di piogge abbondanti un fatto non eccezionale riferito al periodo, fra la fine dell’autunno e l’inizio dell’invero: l’impresa, pertanto, avrebbe dovuto astenersi dell’eseguire i lavori in quel periodo o adottare cautele opportune idonee a evitare le infiltrazioni, che non erano più evitabili dopo la caduta delle piogge; d) la corte territoriale ha poi preso in esame l’ulteriore censura dell’appellante, il quale aveva sostenuto che il primo giudice aveva identificato un titolo di responsabilità diverso da quello invocato dall’attore, in quanto costui aveva chiesto accertarsi che l’impresa non aveva eseguito i lavori a regola d’arte: al riguardo essa ha osservato che la regola dell’arte include anche la tempistica e le cautele con cui le opere debbono essere realizzate; e) all’appellante non giovava porre l’accento sul fatto che fu il medesimo A.A. ad insistere a che i lavori fossero eseguiti senza indugio, non costituendo una tale “insistenza” un comportamento rilevante ai sensi dell’art. 1227 c.c., non avendo avuto alcuna incidenza causale su quanto poi accaduto; f) la corte territoriale negava infine che l’importo liquidato a titolo di danno comprendesse anche il ristoro di pregiudizio preesistenti, essendo quell’importo l’esito di una stima riferita ai soli danni riferibili a quanto avvenuto nel corso dell’esecuzione dei lavori.
Avverso questa sentenza ha proposto ricorso per cassazione la DAF Costruzioni Srl sulla base di quattro motivi, illustrati da memoria. Si difende l’intimato con controricorso, depositando anche la memoria.

Motivi della decisione
1. – I motivi di ricorso possono essere così riassunti:
1) nullità della sentenza ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, perchè la Corte d’appello ha ritenuto legittima l’acquisizione del fascicolo relativo all’accertamento tecnico preventivo, che tuttavia non si era svolto nel contraddittorio con l’attuale ricorrente: il difetto di contraddittorio precludeva ogni possibilità di acquisizione e di utilizzazione dei risultati delle indagini eseguite, essendo quindi, a fortiori, illegittima la condanna della ricorrente alla rifusione delle spese anticipate dal A.A.;
2) nullità della sentenza per contraddittorietà della motivazione e omesso esame di un fatto storico decisivo risultante dagli atti di causa, per avere la corte territoriale affermato che, nella specie, l’impresa o avrebbe dovuto astenersi dall’eseguire i lavori in quel periodo dell’anno o avrebbe dovuto adottare determinate cautele, quale l’utilizzo di un telo impermeabile steso sulla parte di terrazzo smantellato, che evitassero alle piogge di infiltrarsi nel solaio di copertura, rimasto non protetto, e attraverso questo negli ambienti sottostanti. Secondo la ricorrente, la corte territoriale non si è avveduta di quanto affermato nella seconda consulenza tecnica d’ufficio, nella quale si evidenziava la presenza dei teli in epoca precedente i fenomeni; e soprattutto la corte d’appello avrebbe dovuto riconoscere che, in considerazione dell’eccezionalità degli eventi, le cautele approntate in via preventiva non sarebbero state comunque idonee ad evitare il danno, mentre eventuali interventi successivi sarebbero stati inutili. La ricorrente rimprovera poi ai giudici di merito di non avere tenuto nel debito conto, che all’epoca dei fatti, non era ancora diffusa la possibilità di accedere con facilità alle previsioni meteo; e rimprovera ancora di non avere tratto le dovute implicazioni, ex art. 1227 c.c., dal fatto che era stato proprio il condomino interessato a fare pressioni e insistere affinchè i lavori fossero eseguiti senza indugio;
3) violazione del principio di corrispondenza fra chiesto e pronunziato, perchè, nonostante la domanda invocasse una responsabilità dell’impresa per non avere eseguito i lavori a regola d’arte, il primo giudice, invece di pronunciarsi su questo aspetto, ha considerato esclusivamente il profilo dei danni e dalle relative cause, finendo per riconoscere la responsabilità dell’impresa per una diversa ragione da quella dedotta. In appello tale censura è stata superata in forza del rilievo che le regola dell’arte includono anche la tempistica e le cautele con cui le opere sono realizzate. Secondo la ricorrente, una volta messasi su questa via, la corte territoriale avrebbe dovuto accorgersi che le cautele erano state adottate e che le stesse si erano poi rilevate ex post inidonee solo a causa dell’eccezionalità degli eventi;
4) violazione e falsa applicazione di norme di diritto nella liquidazione del danno: il consulente, nell’indicare la misura del danno, aveva chiaramente evidenziato che la situazione dell’appartamento era già compromessa, il che imponeva ai giudici di merito di circoscrivere la liquidazione nei limiti del solo danno differenziale. Al contrario, sia in primo grado, sia in grado appello, è stata assunta a parametro l’indicazione proveniente dal consulente, facendo dire a questo qualcosa che il medesimo non aveva detto, e cioè che la liquidazione si riferiva ai soli interventi resi necessari dalle infiltrazioni verificatesi in concomitanza dei lavori.
2. – Il primo motivo è infondato. Si deve dare continuità all’orientamento secondo cui la consulenza tecnica preventiva ante causam, purchè sia stata ritualmente acquisita al giudizio di cognizione, rientra nel novero delle prove atipiche, liberamente valutabile dal giudice, che può trarne elementi di prova, anche se ad esso partecipino soggetti che non sono stati presenti nel procedimento di accertamento preventivo (Cass. n. 18567 del 2018; n. 8496/2023). E’ stato infatti chiarito che la categoria dell’inutilizzabilità, prevista ex art. 191 c.p.p. in ambito penale, non rileva in quello civile, nel quale le prove atipiche sono comunque ammissibili, poichè il contraddittorio è assicurato dalle modalità tipizzate di introduzione della prova nel giudizio (Cass. n. 8459 del 2020).
Tali principi sono stati correttamente applicati dalla sentenza impugnata, che è pertanto esente dalle censure mosse dalla ricorrente. Quanto all’ulteriore censura sul rimborso delle spese dell’accertamento tecnico preventivo, accordato in favore della controparte, essa è pur sempre giustificata in base al rilievo che l’attuale ricorrente non prese parte al relativo procedimento, rilievo che non è dirimente neanche a questi fini, come ha giustamente ha ritenuto la sentenza impugnata. In questo senso la sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione del principio secondo cui “le spese dell’accertamento tecnico preventivo ante causam devono essere poste, a conclusione della procedura, a carico della parte richiedente, in virtù dell’onere di anticipazione e del principio di causalità, e devono essere prese in considerazione, nell’eventuale successivo giudizio di merito, come spese giudiziali, da regolare in base agli ordinari criteri di cui agli artt. 91 e 92 c.p.c.” (Cass. n. 9735/2020; n. 14268/2017). Si ricorda, per completezza di esame, che la parte vittoriosa ha diritto di vedersi rimborsate anche le spese sostenute per la consulenza tecnica di parte, a meno che il giudice non si avvalga, ai sensi dell’art. 92, comma 1, c.p.c. della facoltà di escluderle dalla ripetizione, ritenendole eccessive o superflue (Cass. n. 84/2013; n. 3380/2015).
3. – Il secondo, il terzo e il quarto motivo, da esaminare congiuntamente, sono inammissibili. La Corte d’appello ha riconosciuto che, in considerazione del periodo nel quale furono eseguiti i lavori, la previsione di piogge copiose rientrava nell’ordine delle cose, per cui i lavori non avrebbero dovuto essere eseguiti ovvero occorreva adottare determinate cautele; nulla poteva farsi dopo la caduta delle piogge. La Corte, inoltre, al fine di escludere la violazione delle regole della corrispondenza fra chiesto e pronunciato, ha affermato che le regole dell’arte, invocate dall’attore, includevano anche le cautele idonee ad evitare il danno. Ha aggiunto infine che la liquidazione, operata sulla base della consulenza tecnica, riguardava solo i danni relativi all’evento, e non quelli preesistenti.
In rapporto a tali considerazioni, è evidente che i motivi in esame – vuoi sotto l’egida del vizio di motivazione contraddittoria o di omesso esame di fatto decisivo, vuoi sotto l’egida della violazione dell’art. 112 c.p.c. o dei principi in tema di liquidazione del danno – intendono in verità ripetere un giudizio sul merito, qui non ripetibile. Ciò è a dirsi innanzitutto in ordine alla questione della mancata adozione delle cautele idonee ad evitare il danno, rispetto alla quale il vizio adombrato dalla ricorrente sembra alludere a una inesatta valutazione delle prove, vizio che non è proponibile come tale in sede di legittimità; lo stesso dicasi in ordine al mancato riconoscimento del carattere eccezionale dell’evento atmosferico. La Corte d’appello, nella decisione impugnata, non ha negato in via di principio la possibilità che le precipitazioni atmosferiche possano, in presenza di certe condizioni, integrare l’ipotesi del caso fortuito, ma ha negato che ciò potesse dirsi nel caso concreto, in quanto le piogge, per quanto abbondanti, non rivestivano i caratteri dell’imprevedibilità e dell’eccezionalità. A tale valutazione, costituente un apprezzamento di merito non censurabile in questa sede, il ricorrente oppone un dato “quantitativo” riferito all’evento specifico, laddove la sussistenza del fortuito, in questo ambito, non si può fondare su nozioni di comune esperienza, ma suppone un’indagine orientata essenzialmente da dati scientifici di tipo statistico (i cosiddetti dati pluviometrici) riferiti al contesto specifico di localizzazione della res (Cass. n. 30521/2019). Si deve sottolineare che nel controricorso si accenna a una indagine specifica compiuta dal consulente tecnico sulle piogge intense registratesi nella zona e nel periodo negli ultimi quarant’anni, che avrebbe rilevato valori più alti rispetto a quelli oggetto di causa. Infine, per quanto riguarda la misura del danno liquidato, oggetto del quarto motivo, la censura si esaurisce nella espressione di un mero dissenso rispetto alla diversa valutazione compiuta dai giudici di merito.
In conclusione, il ricorso deve essere rigettato con addebito di spese.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello richiesto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

P.Q.M.
rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.300 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla l. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13.

Conclusione
Così deciso in Roma, il 12 aprile 2023.
Depositato in Cancelleria il 19 luglio 2023