Abusi edilizi

Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5594 del 2017, proposto da Società
Macelleria Scirocco di Amendola Antonio & C. S.n.c., in persona del legale
rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Andrea Di Lieto,
Michela Rossini, con domicilio eletto presso lo studio Santina Murano in Roma,
via Pelagio I, n. 10;
contro
Comune di Positano, non costituito in giudizio;
nei confronti
Eva Russo, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e
difesa dagli avvocati Antonio Brancaccio, Laura Clarizia, con domicilio eletto
presso lo studio Antonio Brancaccio in Roma, via Taranto n. 18;
per la riforma
della sentenza 23 maggio 2017, n. 957 del Tribunale amministrativo regionale per
la Campania, sezione staccata di Salerno, Sezione Seconda
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
visto l’atto di costituzione in giudizio di Eva Russo;
visti tutti gli atti della causa;
relatore nell’udienza pubblica del giorno 15 aprile 2021 il Cons. Vincenzo Lopilato
e uditi per le parti gli avvocati Andrea Di Lieto, Antonio Brancaccio e Laura
Clarizia in collegamento da remoto, ai sensi degli artt. 4, comma 1, del Decreto
Legge n. 28 del 30 aprile 2020 e 25 del Decreto Legge n. 137 del 28 ottobre 2020,
attraverso videoconferenza con l’utilizzo di piattaforma “Microsoft Teams” come
previsto della circolare n. 6305 del 13 marzo 2020 del Segretario Generale della
Giustizia Amministrativa.

FATTO e DIRITTO
1.- La Società macelleria Scirocco (d’ora innanzi solo Società) ha esposto: i) di
avere acquistato, con atto del 7 marzo 2011, un locale commerciale adibito a
macelleria ed un sovrastante appartamento; ii) di avere condotto in locazione il
locale al piano terra sin dal 1985; iii) di avere presentato, in data 28 marzo 2014,
una segnalazione certificata di inizio attività (Scia) per l’effettuazione di opere
interne di manutenzione straordinaria ed, in particolare, di avere effettuato un
diverso posizionamento dei tramezzi per una diversa distribuzione interna
dell’unità immobiliare.
Il Comune di Positano: i) con provvedimento del 9 gennaio 2015, n. 230 ha
ordinato il ripristino dell’originaria destinazione ad autorimessa della macelleria,
contestando l’abbassamento della quota di calpestio di circa cinquanta centimetri e
ha ingiunto la demolizione dell’intero piano residenziale (piano ammezzato) posto
nella parte sovrastante il suddetto locale; ii) ha dichiarato l’illegittimità della Scia del
28 marzo 2014, in quanto essa avrebbe avuto ad oggetto opere su vani abusivi di
cui al suddetto piano ammezzato.
1.1.-La Società: i) ha presentato, «in via cautelativa» , con atto del 23 marzo 2015, n.
3357, istanza di accertamento di conformità relativa alle opere edilizie poste al
piano terra; ii) con Scia del 23 marzo 2015, prot. 3358, ha comunicato l’esecuzione
del rimontaggio degli scuri esterni, verniciati in colore bianco e la sostituzione della
piccola tettoia.
Il Comune di Positano, con provvedimento del 10 novembre 2015, n. 13308, ha
rigettato l’istanza di accertamento di conformità.
2.- La Società ha impugnato, con ricorso principale, i provvedimenti di cui al punto
1 e con ricorso per motivi aggiunti il provvedimento di cui al punto 1.1, per i
motivi riprodotti in sede di appello e riportati nei successivi punti.
3.- Il Tribunale amministrativo, con sentenza 23 maggio 2017, n. 957, ha rigettato
il ricorso.
4.- La società ha proposto appello.
5.- Si è costituito in giudizio il Comune, chiedendo il rigetto dell’appello.
6.- Questa Sezione, con ordinanza 14 gennaio 2019, n. 330, ha disposto una
verificazione tecnica al fine di fornire una risposta ai seguenti quesiti: a) descrivere
lo stato attuale dei luoghi oggetto dell’ordinanza di demolizione n. 2 del 2015
adottata dal Comune di Positano; b) indicare le opere oggetto dell’istanza di
condono prot. 855 del 1985; c) indicare se il permesso di costruire in sanatoria n.
26 del 2010, analizzato anche alla luce dei suoi grafici, abbia avuto ad oggetto
anche il locale adibito a macelleria e il piano ammezzato, specificando anche il
significato del riferimento contenuto nel suddetto permesso al «locale commerciale»;
d) descrivere le opere oggetto della segnalazione certificata di inizio attività del 23
marzo 2015, prot. 3358 e le opere eseguite sulla base di tale denuncia, indicando le
eventuali difformità tra quanto segnalato e quanto realizzato; e) nel caso in cui si
accerti la non conformità delle opere realizzate rispetto agli indicati titoli edilizi, si
indichi se le stesse siano o meno conformi a quanto prescritto dagli strumenti
urbanistici e dal Put.
Il verificatore ha depositato la relazione tecnica.
6.1.- La Sezione, con ordinanza 6 ottobre 2020, n. 5894, ha chiesto chiarimenti al
verificatore in ordine alla situazione del “locale ammezzato”.
Il verificatore ha depositato la relazione integrativa.
7.- La causa è stata decisa all’esito dell’udienza pubblica del 15 aprile 2021.
8.- L’appello è in parte fondato e in parte infondato.
9.- Con un primo motivo si assume l’erroneità della sentenza impugnata nella parte
in cui non ha ritenuto illegittimi gli atti impugnati, in quanto il Comune avrebbe
rilasciato il permesso di costruire in sanatoria 8 giugno 2010, n. 26, mai annullato,
che avrebbe ricompreso, come risulterebbe dai grafici allegati, l’intero complesso
immobiliare, incluso il locale adibito ad macelleria e il piano ammezzato. Si
aggiunge che non sussisterebbe neanche la violazione delle norme igienico-sanitarie.
Il motivo non è fondato.
L’art. 10 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 (Testo
unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia) subordina al
rilascio del permesso di costruire: i) «gli interventi di nuova costruzione»; ii) «gli interventi
di ristrutturazione urbanisti-ca»; iii) «gli interventi di ristrutturazione edilizia che portino ad un
organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente e che comportino modifiche della
volumetria complessiva degli edifici o dei prospetti, ovvero che, limitata-mente agli immobili
compresi nelle zone omogenee A, comportino mutamenti della destinazione d’uso, nonché gli
interventi che comportino modificazioni della sagoma di immobili» sottoposti a vincoli
culturali.
L’art. 31 dello stesso decreto prevede che le opere eseguite in assenza di permesso
di costruire devono essere demolite.
Nella fattispecie in esame, avendo riguardo a quanto accertato dal verificatore, con
argomentazioni che il Collegio condivide e fa proprie, sono risultate abusive le
seguenti opere.
In primo luogo, il locale sito al piano terra, dove è ubicata la macelleria. L’iniziale
destinazione urbanistica era di autorimessa, con la conseguenza che la sua
realizzazione avrebbe richiesto il previo rilascio del permesso di costruire. Sul
punto, deve rilevarsi che la suddetta macelleria non risulti ricompresa nel permesso
di costruire in sanatoria n. 26 del 2010 e, pertanto, non può essere evocato questo
titolo per ritenere sussistente la previa autorizzazione amministrativa.
In secondo luogo, risulta abusivo il “piano ammezzato”, in quanto il suddetto
permesso di costruire, come ribadito dal verificatore con la relazione tecnica
integrativa, riguarda l’ampliamento di un’unità immobiliare posta al primo piano
del fabbricato e non anche “il piano ammezzato”. Anche esso, pertanto, non
risulta oggetto di autorizzazione amministrativa.
10.- Con un secondo motivo si assume l’erroneità della sentenza nella parte in cui
non avrebbe ravvisato la illegittimità degli atti impugnati per violazione del
principio del legittimo affidamento sia per la posizione dell’appellante di “terzo
acquirente in buona fede” non autrice degli abusi sia per il lungo tempo trascorso
dal momento della realizzazione dei contestati abusi edilizi.
Il motivo non è fondato.
L’art. 31 del d.P.R. n. 380 del 2001 prevede che il dirigente o il responsabile del
competente ufficio comunale, accertata l’esecuzione di taluno degli interventi
sopra indicati, «ingiunge al proprietario e al responsabile dell’abuso» la rimozione o la
demolizione, indicando nel provvedimento l’area che viene acquisita di diritto, ai
sensi del successivo comma 3 (comma 2).
Il proprietario è destinatario di un obbligo di natura reale di rimozione delle opere
abusive, a prescindere dall’esistenza di una situazione di buona fede al momento
dell’acquisito (Cons. Stato, sez. II, 5 novembre 2019, n.7535). La tutela della parte
può avvenire, sussistendone i presupposti, nelle forme privatistiche e non nelle
forme pubblicistiche.
L’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato ha affermato che il decorso anche di un
lungo tempo non è idoneo a far perdere il potere all’amministrazione di
provvedere in quanto, se così fosse, si realizzerebbe una sorta di “sanatoria extra
or-dinem” (Cons. Stato, Ad. plen., 17 ottobre 2017, n. 9).
L’affidamento del privato non può avere rilevanza giuridica quando esso è riferito
ad una situazione di fatto abusiva.
11.- Con un terzo motivo si assume l’erroneità della sentenza nella parte in cui non
avrebbe ravvisato la illegittimità degli atti impugnati per difetto di motivazione e
mancato rispetto delle regole di garanzia del contraddittorio procedimentale.
Il motivo non è fondato.
La giurisprudenza amministrativa è costante nel ritenere che l’ordine di
demolizione «ha natura di atto dovuto e rigorosamente vincolato, dove la repressione dell’abuso
corrisponde per definizione all’interesse pubblico al ripristino dello stato dei luoghi illecitamente
alterato, con la conseguenza che essa è già dotata di un’adeguata e sufficiente motivazione,
consistente nella descrizione delle opere abusive e nella constatazione della loro abusività» (Cons.
Stato, sez. VI, 3 novembre 2020, n. 6771).
Il Comune ha adeguatamente descritto le opere abusive, assolvendo, così, in modo
adeguato all’obbligo di motivazione.
L’omessa comunicazione di avvio del procedimento, ai sensi dell’art. 7 della legge
n. 241 del 1990, non determina invalidità dell’atto finale quando, come è avvenuto
nella specie, per la natura vincolata dell’attività il privato non adduca elementi
istruttori idonei a dimostrare, ai sensi dell’art. 21-octies della stessa legge, che la
partecipazione procedimentale avrebbe inciso sul contenuto sostanziale della
determinazione finale.
12.- Con altro motivo si assume l’erroneità della sentenza impugnata nella parte in
cui non ha ritenuto la legittimità dei lavori eseguiti a seguito della Scia del 28 marzo
2014 sia in quanto si riferirebbe a lavori eseguiti su opere non abusive sia in quanto
la stessa si sarebbe definitivamente perfezionata per decorso del tempo, senza che
si possa ritenere che la Società appellante fosse in mala fede.
Il motivo è fondato.
L’art. 19, comma 6-bis, della legge n. 241 del 1990 prevede che i controlli pubblici
finalizzati ad inibire l’esecuzione dei lavori è di trenta giorni.
Il verificatore ha accertato che le opere oggetto della segnalazione certificata di
inizio attività sono state eseguite, con una “minima” difformità rispetto a quanto
segnalato. Non risulta che l’amministrazione abbia inibito le opere entro il termine
perentorio previsto dalla legge. Né si può ritenere che il potere pubblico di
controllo possa essere esercitato senza limiti solo perché le opere contestate sono
state realizzate in un immobile abusivo, in quanto non risulta con chiarezza a quale
parte del manufatto si riferiscano tali opere, il che rende illegittima, per questa
ragione, la determinazione assunta.
13.- Con un quarto motivo si assume l’erroneità della sentenza nella parte in cui
sarebbe stata irrogata una sanzione pecuniaria di euro 20 mila per l’inottemperanza
all’ordine di demolizione, in quanto essa non potrebbe essere, comunque, irrogata
in caso di parziale difformità.
Il motivo non è fondato.
L’art. 31, comma 4-bis, del d.p.r. n. 380 del 2001 prevede che «l’autorità competente,
constatata l’inottemperanza, irroga una sanzione amministrativa pecuniaria di importo compreso
tra 2.000 euro e 20.000 euro, salva l’applicazione di altre misure e sanzioni previste da norme
vigenti».
Nella specie vengono in rilievo opere eseguite senza permesso di costruire e,
pertanto, tale norma può trovare applicazione. Nondimeno, l’amministrazione ha
stabilito l’entità della sanzione tenendo conto anche dei lavori oggetto della Scia,
che, invece, per le ragioni esposte, non risultano abusivi. Ne consegue che il
provvedimento impugnato, in primo grado, deve essere annullato nella sola parte
relativa alla indicazione della somma da corrispondere a titolo di sanzione
pecuniaria.
14.- Con l’ultimo motivo si deduce l’erroneità della sentenza impugnata nella parte
in cui ha rigettato anche la domanda subordinata di risarcimento dei danni causati
alla parte dal comportamento inerte per lungo tempo del Comune, che avrebbe,
così, non evitato l’acquisito dell’immobile.
Il motivo non è fondato.
La responsabilità civile dell’amministrazione presuppone, tra l’altro, la prova,
secondo la regola probatoria del “più probabile che non”, dell’esistenza del
rapporto di causalità tra il comportamento omissivo della parte danneggiante e il
danno ingiusto subito dalla parte.
L’appellante non ha provato tale rapporto, essendosi limitata genericamente a
dedurre che l’intervento tempestivo del Comune avrebbe impedito l’acquisito. E’
sufficiente quanto esposto per dimostrare il mancato assolvimento all’onere
probatorio.
15.-Tenuto conto dell’esito del giudizio, le spese sono compensate per metà tra le
parti e per l’altra metà l’appellante è condannata al pagamento, in favore della
controinteressata, della somma di euro 2.000,00, oltre accessori di legge. Sono a
carico dell’appellante anche le spese della verificazione che si determinato in euro
2.000,00, oltre accessori di legge.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, definitivamente
pronunciando:
a) in parte rigetta e in parte accoglie, nei sensi di cui in motivazione, l’appello
proposto con il ricorso indicato in epigrafe;
b) compensa per metà tra le parti le spese del presente grado di giudizio e per
l’altra metà l’appellante condanna l’appellante al pagamento, in favore della
controinteressata, della somma di euro 2.000,00, oltre accessori di legge.
c) le spese della verificazione sono poste a carico dell’appellante e si determinano
in euro 2.000,00, oltre accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 15 aprile 2021 con
l’intervento dei magistrati:
Sergio Santoro, Presidente
Diego Sabatino, Consigliere
Silvestro Maria Russo, Consigliere
Vincenzo Lopilato, Consigliere, Estensore
Alessandro Maggio, Consigliere

L’ESTENSORE, Vincenzo Lopilato
IL PRESIDENTE, Sergio Santoro