Rimozione della canna fumaria e decoro architettonico

CORTE DI CASSAZIONE
Sez. II civ., ord. 23.11.2018, n. 30462

Fatti di causa
C.S. ha adito il tribunale di Salerno, chiedendo, con azione possessoria, la condanna di A.S. alla rimozione di una canna fumaria apposta sulla parete condominiale, posizionata lungo il muro perimetrale a circa cm. 90 da una finestra dell’unità abitativa dell’attrice, in violazione della distanza dalle vedute e lesiva del decoro architettonico dell’edificio.
Il Tribunale ha accolto la domanda e l’appello proposto da A.S. è stato dichiarato inammissibile dalla Corte territoriale di Salerno, per il fatto che l’appellante si era limitato a dedurre la nullità della sentenza di primo grado senza sollevare censure di merito.
La decisione è stata cassata da questa Corte e la causa è stata riassunta dinanzi alla Corte d’appello di Napoli, che ha confermato la condanna della ricorrente alla rimozione del manufatto.
Ha ritenuto il giudice del rinvio che, essendo applicabile anche al condominio la disciplina dell’art. 907 c.c., l’opera costituisse una costruzione e che fosse stata realizzata a distanza illegale; che essa ostacolava l’esercizio della veduta obliqua, sporgendo dalla parete per la sua estensione verticale, ledendo – infine – il decoro architettonico dell’edificio, producendo un “risultato esteticamente sgradevole”.
Per la cassazione della sentenza A.S. ha proposto ricorso in due motivi. C.S. non ha svolto attività difensiva.

Ragioni della decisione
1. Il primo motivo censura la violazione degli artt. 890, 906,907 e 1102 c.c., in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3 e 5 c.p.c.., sostenendo che la canna fumaria non poteva considerarsi una costruzione agli effetti della disciplina delle distanze, costituendo un mero accessorio di un impianto, e che comunque, in ambito condominiale, l’art. 907 c.c. riceva un’applicazione residuale, nei limiti di compatibilità con le previsioni che disciplinano l’uso delle cose comuni da parte dei condòmini. Lamenta, inoltre, il ricorrente che la canna fumaria non aveva leso il decoro architettonico dell’edificio, già di per sé di modesta fattura, era posta sul muro retrostante il fabbricato, non era visibile dalla strada principale ed era stata realizzata nel pieno rispetto della disciplina urbanistica locale e delle facoltà concesse ai singoli proprietari dall’art. 1102 c.c..
Il motivo è infondato.
La Corte distrettuale ha ordinato la rimozione della canna fumaria, ritenendo che essa costituisse costruzione ai sensi della normativa sulle distanze legali (e segnatamente dell’art. 907 c.c.) e che ledesse il decoro architettonico dell’edificio, poiché, per i materiali da cui era composta, per le sue dimensioni e per la sua innegabile evidenza, non si inseriva nell’aspetto armonico della facciata, producendo un “risultato esteticamente sgradevole” (cfr. sentenza pag. 10 e 11).
Pur considerando che l’opera era stata impiantata su un prospetto secondario del fabbricato, ha però stabilito che ne alterava la sagoma modificando l’aspetto del muro condominiale in violazione dell’art. 1120 c.c., essendo inoltre in contrasto con le previsioni dello strumento urbanistico locale, che vietava l’apposizione di canne fumarie esterne alle murature.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, l’appoggio di una canna fumaria al muro comune perimetrale di un edificio condominiale sostanzia una modifica della cosa comune conforme alla sua destinazione, che ciascun condomino – pertanto – può apportare a sue cure e spese, ma a condizione che non impedisca l’uso paritario delle parti comuni, non rechi pregiudizio alla stabilità ed alla sicurezza dell’edificio e non ne alteri il decoro architettonico, ipotesi – quest’ultima – che si verifica non già quando si mutano le originali linee architettoniche, ma quando la nuova opera si rifletta negativamente sull’insieme dell’aspetto armonico dello stabile (Cass. 17072/2015; Cass. 18350/2013; Cass. 6341/2000).
Non occorre che il fabbricato, il cui decoro architettonico sia stato alterato dall’innovazione, abbia un particolare pregio artistico, né rileva che tale decoro sia stato già compromesso da precedenti interventi sull’immobile, ma è sufficiente che vengano pregiudicate, in modo visibile e significativo, la particolare struttura e la complessiva armonia che conferiscono al fabbricato una propria specifica identità (Cass. 10350/2011; Cass. 14455/2009; Cass. 8830/2008; Cass. 27551/2005; Cass. 6496/1995).
Non esclude l’illegittimità dell’opera il fatto che essa sia stata apposta su una parete retrostante o in modo non visibile dalla strada principale, venendo in rilievo la violazione oggettiva dell’estetica del fabbricato data dall’insieme delle linee e delle strutture che connotano lo stabile e gli imprimono una determinata fisionomia ed una specifica identità, mentre il rilievo da attribuire al grado di visibilità delle innovazioni contestate, in relazione ai diversi punti di osservazione dell’edificio, muta da caso a caso, e non esclude di per sé la violazione, configurabile anche riguardo ad opere interne al fabbricato, fermo che il relativo apprezzamento è rimesso al giudice di merito ed è sindacabile solo per vizi di motivazione (Cass. 1718/2016; Cass. 851/2007; Cass. 10350/2011).
Infine, la circostanza che l’opera fosse stata autorizzata dall’amministrazione comunale non ne impediva la demolizione, poiché la regolarità dell’opera da punto di vista urbanistico non poteva incidere negativamente sui diritti degli altri condòmini (Cass. 20985/2014; Cass. 1936/1977).
Non sussistendo quindi la denunciata violazione di legge e risultando l’opera comunque illegittima riguardo alla lesione del decoro architettonico, è superfluo stabilire se potesse operare in ambito condominiale la disciplina di cui all’art. 907 c.c., così come ritenuto dalla decisione impugnata, non potendone comunque conseguire la cassazione di detta pronuncia.
(omissis)
Il ricorso è quindi respinto.
(omissis)

P.Q.M.
rigetta il ricorso