Vendita a corpo e a misura

CORTE DI CASSAZIONE
Sez. II civ., ord. 19.12.2019, n. 34025

Rilevato in fatto
Con sentenza n. 4005/2009 il Tribunale di Roma respingeva la domanda proposta dalla s.r.l. G. nei confronti del Comune di Roma diretta ad ottenere: a) la declaratoria che il prezzo di vendita delle porzioni immobiliari da essa trasferite al Comune di Roma con atto di compravendita a rogito notaio D. del 23 settembre 2004 (rep. n. 73950, racc. 9096) dovesse essere aumentato dell’importo di euro 1.519.854,04 o di quello diverso risultante all’esito dell’istruttoria, esercitando, al riguardo, la facoltà prevista dall’art. 1537 c.c. per le vendite a misura; b) la condanna del Comune a corrispondere detta differenza, maggiorata di Iva, interessi e rivalutazione.
Decidendo sull’appello formulata dalla predetta s.r.l. G. e nella resistenza dell’appellato Comune di Roma, la Corte di appello di Roma, con sentenza n. 1030/2015 (depositata il 13 febbraio 2015) emessa ai sensi dell’art. 281-sexies c.p.c., respingeva il gravame e condannava l’appellante alla rifusione delle spese del grado, ritenendo infondati entrambi i prospettati motivi relativi alla contestazione dell’interpretazione del contratto ed a quella dell’affermazione del giudice di prime cure secondo cui la domanda non avrebbe potuto essere comunque accolta, non essendo possibile rilevare “a posteriori” l’errore quantitativo commesso dalle parti, così ravvisandosi l’irrilevanza della richiesta di c.t.u..

Considerato in diritto
1. Avverso la suddetta sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione, riferito a quattro motivi, la s.r.l. G., al quale ha resistito con controricorso l’intimata Roma Capitale.
I difensori di entrambe le parti hanno anche depositato memoria ai sensi dell’art. 380-bis. 1 c.p.c..
(omissis)
1.3. Con il terzo mezzo la ricorrente ha denunciato – sempre in virtù dell’art. 360, comma 1, nn. 3 e 4, c.p.c. – un’ulteriore violazione degli artt. 132 e 281 – sexies c.p.c. avuto riguardo all’asserita assenza di una specifica motivazione, nell’impugnata sentenza, sulla doglianza relativa alla contestazione della decisione del primo giudice in ordine alla dichiarata impossibilità di stabilire, in modo rigoroso, quali fossero le misurazioni dell’immobile oggetto di causa.
1.4. Con la quarta ed ultima censura la ricorrente ha dedotto – con riferimento all’art. 360, comma 1, nn. 3 e 4, c.p.c. – la violazione degli artt. 1537 e 1538 c.c., nonché dell’art. 112 c.p.c., sul presupposto dell’asserita illegittimità dell’impugnata sentenza nella parte in cui non era stata ammessa l’invocata c.t.u. al fine di determinare la reale dimensione dell’immobile oggetto di compravendita, dovendosi tener conto delle differenze di superficie risultanti dall’esame degli atti propedeutici alla stipula del relativo contratto.
2. Rileva il collegio che tutti i formulati motivi sono infondati e, quindi, il ricorso deve essere respinto.
(omissis)
2.1. Anche il terzo motivo è infondato.
(omissis)
In ogni caso, va osservato che il criterio fondamentale di distinzione tra vendita a misura e vendita a corpo è insito nella circostanza che nella prima la determinazione dei confini della cosa venduta è effettuata attraverso la misurazione mentre la seconda è caratterizzata dalla individuazione e delimitazione del bene in modo che esso resti identificato indipendentemente dalla misura. Al riguardo la giurisprudenza di questa Corte ha affermato che il relativo apprezzamento, implicando valutazione della volontà contrattuale, è incensurabile in sede di legittimità se congruamente motivato (cfr., ad es., Cass. n. 8793/2000 e Cass. n. 9215/2004).
A tal proposito deve evidenziarsi come la Corte capitolina abbia univocamente ed adeguatamente ritenuto che, in base all’indicazione precisa e minuziosa dei confini dell’immobile oggetto di compravendita, oltre che in virtù della sua analitica descrizione nella composizione e nelle dimensioni (ed indipendentemente da specifiche misurazioni), la vendita – anche in difetto di un’espressa indicazione (siccome non determinante ai fini della sua effettiva qualificazione, dovendosi comunque aver riguardo al contenuto delle dichiarazioni contrattuali) – dovesse intendersi effettuata “a corpo” e non “a misura”, precisando che la previsione contenuta nell’art. 3 del contratto – laddove si poneva riferimento ad una misurazione (solo) complessiva del bene – non poteva far propendere per la configurazione di una vendita “a corpo”, poiché il criterio individuato costituiva un semplice parametro orientativo per la determinazione del prezzo (comunque convenuto nella sua entità globale) e, quindi, come tale non poteva considerarsi come un aspetto vincolante per la suddetta qualificazione del tipo di vendita.
Per quanto argomentato la censura è, quindi, da rigettare, risultando l’impugnata sentenza basata su una corretta e logica interpretazione, adeguatamente motivata e senza incorrere nella denunciata violazione degli artt. 1362 e 1363 c.c..
2.2. Infine, anche il quarto motivo non coglie nel segno e va, perciò, disatteso, avendo il giudice di appello, in base alle risultanze di causa e all’accertata impossibilità di stabilire in modo rigoroso quali fossero le misurazioni dell’immobile, legittimamente ritenuto – nell’esercizio del suo potere discrezionale (ad esso conferito dall’art. 61 c.p.c.) – irrilevante (e, perciò, non necessario) un eventuale accertamento tecnico.
3. In definitiva, per le ragioni complessivamente svolte, il ricorso deve essere integralmente respinto, con la conseguente condanna della soccombente ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che si liquidano – avuto riguardo al notevole valore della causa – nei sensi di cui in dispositivo.
(omissis)

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che si liquidano in complessivi euro 12.200, di cui euro 200 per esborsi, oltre contributo forfettario, iva e cap nella misura e sulle voci come per legge.