Decreto ingiuntivo e forma del ricorso

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
– ricorrente –
CC tro
Civile Sent. Sez. U Num. 927 Anno 2022
Presidente: DE CHIARA CARLO
Relatore: SCARPA ANTONIO
Data pubblicazione: 13/01/2022
– controricorrente –
nonché
sul ricorso proposto da:
– ricorrente incidentale –
contro
– intimata –
avverso la sentenza n. 7 ella CORTE D’APPELLO di
PALERMO, depositata il 20/02/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio
del 26/10/2021 dal Consigliere ANTONIO SCARPA;
viste le conclusioni motivate, ai sensi dell’art. 23, comma 8-
bis, d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito con modificazioni
dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176, formulate dal P.M. in
persona del Sostituto Procuratore Generale FULVIO
TRONCONE, il quale ha chiesto l’accoglimento del ricorso
incidentale condizionato.

FATTI DI CAUSA
Con citazione notificata il 9 ottobre 2014 e depositata il 20
ottobre 2014 all’atto della costituzione per l’iscrizione a ruolo
della causa, l’ di Palermo propose
opposizione al decreto ingiuntivo per l’importo di € 15.343,74,
notificatole il 18 luglio 2014 su domanda della
ed avente ad oggetto il pagamento di somme
per indennità di occupazione e oneri accessori inerenti alla
locazione dell’immobile sito in via di Palermo.
Dopo aver disposto il passaggio dal rito ordinario al rito
speciale con ordinanza del 24 ottobre 2015, il Tribunale di
Palermo, con sentenza n. , dichiarò inammissibile
l’opposizione perché tardiva rispetto al termine stabilito
dall’art. 641, comma 1, c.p.c., avendo riguardo alla data del
deposito in cancelleria dell’atto di citazione erroneamente
adoperato dall’opponente, in quanto il decreto ingiuntivo
intimato concerneva una controversia in materia di locazione,
ai sensi dell’art. 447-bis c.p.c. Proposto gravame dall’
di Palermo, la Corte d’appello di Palermo,
con sentenza n. del 20 febbraio 2018, ha respinto
l’appello. In particolare pronunciando sul secondo motivo dì
impugnazione, la Corte d’appello ha ritenuto fondata la
questione di diritto attinente alla violazione dell’art. 4, comma
5, del d.lgs. n. 150 del 2011, circa la salvezza degli effetti della
domanda secondo le norme del rito seguito prima del
mutamento, ma ha osservato che l’appellante si era limitata a
chiedere genericamente la riforma della sentenza di primo
grado, senza prospettare alcuna questione di merito e senza
chiedere nemmeno l’accoglimento dell’opposizione a decreto
ingiuntivo. Pertanto, ha concluso la Corte di Palermo, nessuna
utilità avrebbe potuto ricevere l’appellante dall’accoglimento
del gravame in punto di effetti del mutamento del rito,
mancando nell’atto di impugnazione la richiesta di rinnovazione
dell’istruzione e di esame delle domande di merito.
di Palermo ha proposto ricorso
per cassazione articolato in tre motivi.
La in liquidazione ha notificato
controricorso, contenente altresì ricorso incidentale
condizionato articolato in tre motivi.
Con ordinanza interlocutoria n. del 18 maggio
2021, pronunciata all’esito dell’adunanza del 25 novembre
2020, la Terza Sezione civile, rilevata la sussistenza di
questione di diritto non decisa in senso univoco da precedenti
pronunce della Corte, quanto alla natura di impugnazione o di
ordinario giudizio di cognizione del procedimento per
opposizione a decreto ingiuntivo, questione incidente anche
sulla operatività del mutamento del rito ai sensi dell’art. 4 del
d.lgs. n. 150 del 2011, ha rimesso il ricorso al Primo Presidente
per l’assegnazione alle Sezioni Unite.
E’ stata altresì acquisita la relazione predisposta dell’Ufficio del
massimario.
Il ricorso è stato deciso in camera di consiglio procedendo nelle
forme di cui all’art. 23, comma 8-bis, d.l. 28 ottobre 2020, n.
137, convertito con modificazioni dalla legge 18 dicembre
2020, n. 176.

RAGIONI DELLA DECISIONE
1.11 primo motivo del ricorso dell’
di Palermo deduce l’error in procedendo in riferimento all’art.
346 c.p.c. ed al d.lgs. n. 150/2011, avendo errato la Corte
d’appello di Palermo a ritenere rinunciati e non riproposti, ex
art. 346 c.p.c., i motivi e le domande formulate con l’atto di
opposizione a decreto ingiuntivo. Le censure portate alla
sentenza di primo grado dovevano, infatti, intendersi già
idonee ad investire i giudici di appello della pronuncia sul
merito della lite.
Il secondo motivo del ricorso dell’
di Palermo denuncia la violazione e falsa applicazione del
principio di conservazione degli atti ex art. 159 c.p.c. e del
principio di libertà delle forme ex art. 121 c.p.c. in relazione
all’applicazione dell’art. 346 c.p.c. fatta dalla Corte d’appello di
Palermo, sempre quanto alla ravvisata rinuncia ai motivi ed
alle domande di merito spiegati nell’atto di opposizione a
decreto ingiuntivo, che dovevano, piuttosto, reputarsi
implicitamente richiamati con l’appello avanzato.
Il terzo motivo del ricorso dell’ di
Palermo allega la violazione e falsa applicazione degli artt. 177
e 342 c.p.c., tenuto conto della operatività del d.lgs. n.
150/2011 e del principio di conservazione degli atti ex art. 159
c.p.c. Si critica la parte della sentenza della Corte di Palermo
che ha dichiarato inammissibile il primo motivo di appello
del , quanto alla ipotizzata
contraddittorietà tra il mutamento di rito inizialmente disposto
dal Tribunale, di per sé implicante il riconoscimento della
ritualità dell’atto di citazione, e la successiva declaratoria di
inammissibilità dell’opposizione adottata dal primo giudice. La
Corte d’appello, dichiarando inammissibile il primo motivo di
gravame, avrebbe trascurato la portata degli effetti del
mutamento dei rito ai sensi dell’art. 4 del d.lgs. n. 150 del
2011.
2. Il primo motivo del ricorso incidentale della
denuncia la violazione o falsa applicazione
dell’art. 4, comma 5, del d.lgs. n. 150/2011, dell’art. 426 in
relazione all’art. 447-bis c.p.c., dell’art. 156 c.p.c. e dell’art.
645 c.p.c. La Corte d’appello avrebbe errato nel reputare
violato dal Tribunale l’art. 4, comma 5, del d.lgs. n. 150 del
2011, atteso che l’opposizione a decreto ingiuntivo non
introduce un giudizio autonomo, né un grado autonomo, ma è
soltanto una fase di un giudizio già pendente.
Il secondo motivo del ricorso incidentale della
deduce la violazione dell’art. 132 c.p.c., per
apparenza della motivazione concernente i presupposti di
applicabilità dell’art. 4, comma 5, del d.lgs. n. 150 del 2011.
Il terzo motivo del ricorso incidentale della
denuncia la violazione o falsa applicazione
dell’art. 4, comma 5, del d.lgs. n. 150/2011, dell’art. 645 in
relazione all’art. 447-bis c.p.c. e dell’art. 3, legge n. 742 del
1969, come modificata dalla legge n. 162 del 2014, avendo la
Corte d’appello comunque trascurato che la sospensione dei
termini processuali di cui al citato art. 3 della legge 7 ottobre
1969, n.. 742, non si applica, tra le altre, alle controversie
previste dall’art. 429 c.p.c., sicché il termine per l’opposizione
al decreto ingiuntivo notificato il 18 luglio 2014 sarebbe
comunque venuto a scadenza già il 27 agosto 2014.
3. Il ricorso incidentale, giacché proposto su questione
pregiudiziale di rito dalla parte comunque rimasta totalmente
vittoriosa sul merito (nella specie, avente ad oggetto la
inammissibilità per tardività dell’opposizione a decreto
ingiuntivo, inammissibilità negata dalla Corte di Palermo con
decisione esplicita) ha natura di ricorso condizionato
all’accoglimento del ricorso principale, come del resto
espressamente indicato dalla controricorrente. Esso andrà
perciò esaminato solo in presenza dell’attualità dell’interesse,
ovvero nell’ipotesi di fondatezza del ricorso principale (Cass.
Sez. Unite, 25 marzo 2013, n. 7381; Cass. Sez. Unite, 6 marzo
2009, n. 5456).
4. I primi due motivi del ricorso principale, proposto
dall’ di Palermo, vanno esaminati
congiuntamente, in quanto connessi, e sono fondati nei termini
dì seguito precisati, mentre è inammissibile il terzo motivo del
ricorso principale.
4.1. La Corte d’appello, pur considerando pregiudizialmente
fondata la questione attinente alla violazione dell’art. 4,
comma 5, del d.lgs. n. 150 del 2011 (circa la salvezza degli
effetti dell’opposizione a decreto ingiuntivo erroneamente
proposta con atto di citazione, anziché con ricorso, ai sensi
degli artt. 447-bis, 414 e 415 c.p.c., giacché comunque
notificata entro il termine di cui all’art. 641 c.p.c.), ha ritenuto
non di meno infondato in gravame perché con esso l’
di Palermo non aveva riproposto alcuna
questione di merito e neppure chiesto l’accoglimento
dell’opposizione.
4.2. Tale statuizione finale è errata.
Qualora la sentenza impugnata, nel definire il giudizio, abbia
deciso esdusivamente una questione pregiudiziale di rito, come
nella specie dichiarando inammissibile per tardività
l’opposizione a decreto ingiuntivo, i motivi di appello, che
norma dell’art. 342 c.p.c. devono indicare la parte del
provvedimento impugnato e le circostanze da cui deriva la
violazione della legge e la loro rilevanza i fini della decisione
appellata, non possono concernere anche il merito della
domanda, il quale non ha, del resto, neppure formato oggetto
della pronuncia. In siffatta evenienza, l’impugnazione della
statuizione sulla questione pregiudiziale inerente alla
inammissibilità dell’opposizione costituisce comunque
manifestazione di volontà di proseguire nel giudizio, con
implicita riproposizione della domanda principale, dovendo
perciò il giudice di appello, che ritenga ammissibile
l’opposizione, pronunciarsi nel merito delle questioni dedotte in
primo grado, non rientrando tale ipotesi tra i casi previsti dagli
artt. 353 e 354 c.p.c. (cfr. Cass. Sez. 5, 18 dicembre 2019, n.
33580; Cass. Sez. 5, 19 gennaio 2018, n. 1322; Cass. Sez. 5,
2 agosto 2017, n. 19216; Cass. Sez. 2, 4 novembre 2011, n.
22954; Cass. Sez. 5, 9 giugno 2010, n. 13855; Cass. Sez. 3,
17 marzo 2010, n. 6481; Cass. Sez. 5, 8 marzo 2005, n. 5031;
Cass. Sez. Lav., 10luglio 2004, n. 12092).
4.3. E’ _invece inammissibile il terzo motivo del ricorso
dell di Palermo, correlato alla
dichiarazione di inammissibilità del primo motivo di appello.
Può premettersi che i provvedimenti di carattere ordinatorio,
comunque motivati, emessi nel corso del processo, quale
anche l’ordinanza che disponga il passaggio dal rito ordinario al
rito speciale ex art. 426 c.p.c., non possono mai pregiudicare
la decisione della causa e possono essere, anche
implicitamente, modificati o revocati: sicché, l’eventuale
contrasto tra l’ordinanza che disponga il mutamento di rito e la
successiva sentenza del medesimo giudice non può mai dar
luogo a contraddittorietà di quest’ultima.
Ancor più a monte, di tale contraddittorietà della sentenza di
primo grado non ha più alcun interesse a dolersi l’
di Palermo, in quanto la questione degli
effetti del mutamento del rito sulla tempestività
dell’opposizione a decreto ingiuntivo è stata poi decisa dalla
Corte d’appello proprio nel senso voluto dalla ricorrente
principale.
5. L’accoglimento dei primi due motivi del ricorso principale
impone l’esame del ricorso incidentale condizionato.
5.1. Secondo ordine logico, occorre iniziare dal terzo motivo
del ricorso incidentale della ove
si assume che la notificazione dell’opposizione a decreto
ingiuntiva era stata comunque tardiva, stante l’inapplicabilità
della sospensione dei termini ex art. 3, legge n. 742 del 1969.
Questa censura è inammissibile in quanto non supera lo
scrutinio ex art. 360-bis, n. 1, c.p.c.
La costante giurisprudenza di questa Corte afferma che la
sospensione del decorso dei termini processuali ai sensi
dell’art. 1 della legge 7 ottobre 1969, n. 742, trova
applicazione nelle controversie in materia di locazione di
immobili urbani ex art. 447-bis c.p.c. (quale quella in esame),
atteso che la deroga stabilita dall’art. 3 della stessa legge n.
742 del 1969 per le controversie previste dall’art. 429 (poi
409) c.p.c. concerne le controversie individuali di lavoro,
individuate in base alla natura della causa, e non invece quelle
che sono comunque disciplinate dal rito del lavoro (tra le tante,
Cass. Sez. 6 – 3, 12 novembre 2015, n. 23193; Cass. Sez. 3,
22 dicembre 2011, n. 28291; Cass. Sez. 3, 27/05/2010, n.
12979; Cass. Sez. 3, 13 maggio 2010, n. 11607; Cass. Sez. 3,
30 aprile 2005, n. 9022; Cass. Sez. 3, 12 settembre 2000, n.
12028; Cass. Sez. 3, 28 marzo 2000, n. 3732).
5.2. Può ora passarsi all’esame del primo motivo del ricorso
incidentale della
La sostanza di tale censura deduce che non poteva trovare
applicazione in questo procedimento la disciplina sul
mutamento del rito contenuta nell’art. 4, del d.lgs. n.
150/2011, con la conseguente salvezza degli effetti della
domanda proposta secondo le norme del rito erroneamente
seguito, anche ai fini dell’osservanza del termine di cui all’art.
641 c.p.c. Ciò perché, a dire della ricorrente incidentale, con
l’atto di opposizione a decreto ingiuntivo non “viene promossa”
una controversia, non si introduce un giudizio autonomo e
neppure un grado autonomo, ma si apre soltanto una fase del
giudizio già pendente.
5.3. L’ordinanza interlocutoria n. resa il 18 maggio
2021 dalla Terza Sezione civile ricorda come le sentenze di
queste Sezioni Unite 8 ottobre 1992, n. 10984 e n. 10985, e
18 luglio 2001, n. 9769, sia pure in tema di competenza per
l’opposizione a decreto ingiuntivo ex art. 645 c.p.c., abbiano
sostenuto l’assimilabilità del giudizio di opposizione a quello di
impugnazione. Viene peraltro evocata altresì la sentenza delle
Sezioni Unite 8 marzo 1996, n. 1835, sempre in tema di
competenza dell’ufficio giudiziario, al quale appartiene il
giudice che ha emesso il decreto ingiuntivo, ove si affermava
che tale “innegabile profilo impugnatorio non fa assurgere
l’opposizione ad ingiunzione al rango di un processo di
impugnazione in senso proprio, per cui l’opposizione non potrà
considerarsi un giudizio d’appello”.
L’ordinanza interlocutoria n. avverte, così, che !a
questione, controversa anche in dottrina, inerente alla
qualificazione del procedimento di opposizione a decreto
ingiuntivo quale giudizio o grado autonomo, o quale semplice
fase (eventuale) del giudizio ordinario già pendente, da
rimeditare altresì alla luce del principio del giusto processo, è
comunque rilevante ai fini dell’applicabilità dell’art. 4 del d. Igs.
n. 150/2011, il quale si riferisce espressamente alla
controversia che “viene promossa” in forme diverse da quelle
previste dal medesimo presente decreto. Si richiama, infine,
quanto affermato nell’ordinanza della Sesta Sezione di questa
Corte n. 7071/2019, resa il 12 marzo 2019, secondo cui
nell’opposizione a decreto ingiuntivo in materia di locazione,
come tale soggetta al rito speciale di cui all’art. 447-bis c.p.c.,
non può trovare applicazione l’art. 4 del d.lgs. n. 150 del 2011,
il quale non attiene ai procedimenti di natura impugnatoria,
come l’opposizione a decreto ingiuntivo.
5.4. Queste Sezioni Unite, in pronunce anche più recenti di
quelle menzionate nell’ordinanza interlocutoria, hanno avuto
occasione di soffermarsi sulla natura del giudizio di opposizione
al decreto di ingiunzione, costantemente negando che esso dia
vita ad un procedimento di impugnazione.
5.4.1. La sentenza 30 luglio 2008, n. 20604, a proposito delle
conseguenze della mancata notifica del ricorso in opposizione a
decreto ingiuntivo per crediti di lavoro e del decreto di
fissazione dell’udienza, pur ritenendo applicabile per identità di
ratio il principio dettato per l’appello, ha comunque rimarcato
che il procedimento per opposizione a decreto ingiuntivo deve
“considerarsi un ordinario processo di cognizione anziché un
mezzo di impugnazione”.
La sentenza 9 settembre 2010, n. 19246, relativa ai termini di
costituzione dell’opponente, ha affermato che il procedimento
di opposizione a decreto ingiuntivo “ha natura di giudizio di
cognizione piena che devolve al giudice della opposizione il
completo esame del rapporto giuridico controverso, e non il
semplice controllo della legittimità della pronuncia del decreto
d’ingiunzione”.
La sentenza 10 luglio 2015, n. 14475, concernente la
produzione in appello dei documenti già allegati con la
domanda d’ingiunzione, ha spiegato che la (eventuale) fase di
opposizione a decreto ingiuntivo “completa il giudizio di primo
grado”, trattandosi di “giudizio di primo grado bifasico”, sicché
“le due fasi fanno parte di un medesimo giudizio che si svolge
nel medesimo ufficio”.
La sentenza 18 settembre 2020, n. 19596, in tema di
esperimento del procedimento di mediazione nei giudizi di
opposizione a decreto ingiuntivo ex art. 5 del d.lgs. n. 28 del
2010, ha ribadito che il giudizio di opposizione a decreto
ingiuntivo “è stato ormai da tempo definito da questa Corte,
con l’avallo di autorevole dottrina, come suddiviso in due fasi,
la prima a cognizione sommaria e la seconda a cognizione
piena” e che “[I]’ opposizione a decreto ingiuntivo non è
l’impugnazione del decreto”.
Sebbene nel dibattito scientifico l’interpretazione propensa alla
natura (anche) impugnatoria del procedimento per opposizione
a decreto ingiuntivo non manchi tuttora di autorevole
sostegno, confutazioni della stessa si trovano altresì nelle
motivazioni di altre recenti sentenze di queste Sezioni Unite: la
sentenza 27 dicembre 2010, n. 26128; la sentenza 23 luglio
2019, n. ,19889; la sentenza 14 aprile 2021, n. 9839.
5.4.2. Deve dirsi quindi stabilizzato nella giurisprudenza di
queste Sezioni Unite quanto già affermava la sentenza 7 luglio
1993, n. 7448: “l’opposizione prevista dall’art. 645 c.p.c. non è
un’actio nullitatis o un’azione di impugnativa nei confronti
dell’emessa ingiunzione, ma è un ordinario giudizio sulla
domanda del creditore che si svolge in prosecuzione del
procedimento monitorio”, non quale “giudizio autonomo, ma
come fase ulteriore (anche se eventuale) del procedimento
iniziato con il ricorso per ottenere il decreto ingiuntivo”.
5.5. L’applicabilità dell’art. 4 del d.lgs. n. 150 del 2011 e della
relativa disciplina di mutamento dei rito nel procedimento di
opposizione a decreto ingiuntivo, quale giudizio di primo grado
strutturato in due fasi, risulta poi più volte affermata, o
comunque data per scontata, in alcune pronunce di questa
Corte, essenzialmente con riguardo al contenzioso in materia di
liquidazione dei compensi di avvocato.
La sentenza di queste Sezioni Unite 23 febbraio 2018, n. 4885,
ha chiarito che, a seguito dell’introduzione dell’art. 14 del d.lgs.
n. 150 del 2011 (il quale fa, invero, esplicito riferimento
all’opposizione proposta a norma dell’art. 645 c.p.c.), la
controverzsia di cui all’art. 28 della legge n. 794 del 1942, come
sostituito dal citato d.lgs., può essere introdotta anche con il
procedimento per decreto ingiuntivo ai sensi degli artt. 633 e
ss. c.p.c., e la relativa opposizione, da proporre con ricorso ai
sensi degli artt. 702-bis e ss. c.p.c., è disciplinata dagli artt. 3,
4 e 14 del menzionato d.lgs. n. 150 (oltre che dagli artt. 648,
649, 653 e 654 c.p.c.).
Degli effetti del mutamento del rito ex art. 4 del d.lgs. n. 150
del 2011, ordinato nell’ambito di procedimento per opposizione
a decreto ingiuntivo erroneamente introdotto, si occupano, in
particolare, Cass. Sez. 6 – 2, 5 giugno 2020, n. 10648; Cass.
Sez. 2, 9 gennaio 2020, n. 186; Cass. Sez. 2, 26 settembre
2019, n. 24069; Cass. Sez. 6 – 2, 18 maggio 2019, n. 13472;
Cass. Sez. 2, 14 maggio 2019, n. 12796; Cass. Cass. Sez. 2, 5
ottobre 2018, n. 24515.
Va rimarcato, inoltre, che la Relazione Illustrativa al d.lgs. n.
150 del 2011 chiariva che la regola posta dal quinto comma
dell’art. 4 è diretta proprio “al fine di escludere in modo
univoco l’efficacia retroattiva del provvedimento che dispone il
mutamento [del rito]”, il che è stato inteso in dottrina come
esplicitazione, appunto, della volontà legislativa di
abbandonare quella sorta di «conversione del rito con effetti
retroattivi» implicita nella valutazione di intempestività
dell’atto di opposizione proposto secondo un modello formale
erroneo.
5.6. Non di meno, la questione dell’inapplicabilità nel caso in
esame della disciplina sul mutamento del rito contenuta
nell’art. 4, del d.lgs. n. 150/2011, che viene sollevata dal
primo motivo del ricorso incidentale condizionato della
s.r.I., può ritenersi fondata per una
ragione giuridica diversa da quella specificamente indicata dalla
parte ma comunque individuabile da questa Corte sulla base
dei fatti accertati nelle fasi di merito ed esposti nei ricorsi
principale ed incidentale e nella stessa sentenza impugnata (ex
multis, Cass. Sez. 3, 28 luglio 2017, n. 18775; Cass. Sez. 3,
22 marzo 2007, n. 6935).
5.6.1. Questo giudizio concerne una opposizione a decreto
ingiuntivo concesso in materia di locazione, come tale soggetta
al rito speciale di cui all’art. 447-bis c.p.c., norma che richiama
altresì l’art. 426 c.p.c. per il passaggio dal rito ordinario ex art.
163 e ss. c.p.c. a quello speciale.
5.6.2. Secondo una diffusa elaborazione dottrinale, la disciplina
del mutamento del rito dettata dall’art. 4 del d.lgs. n. 150 del
2011 opera unicamente, come prevede il primo comma della
norma, «[q]uando una controversia viene promossa in forme
diverse da quelle previste dal presente decreto» (comma 1);
altresì il terzo comma si riferisce alle modalità procedurali per il
caso in cui «la controversia rientra tra quelle per le quali il
presente decreto prevede l’applicazione del rito del lavoro», ed
il quarto comma dispone che «la causa sia riassunta davanti al
giudice competente con il rito stabilito dalle disposizioni del
presente decreto».
Il decreto legislativo 10settembre 2011, n. 150, attua, del
resto, la delega contenuta nell’art. 54 della legge 18 giugno
2009, n. 69, ai fini della “riduzione e semplificazione dei
procedimenti civili di cognizione che rientrano nell’ambito della
giurisdizione ordinaria e che sono regolati dalla legislazione
speciale”. Oggetto della delega di cui al citato art. 54 della
legge n. 69 del 2009 erano, dunque, “i procedimenti civili di
natura contenziosa autonomamente regolati dalla legislazione
speciale”, da ricondurre ad uno dei modelli processuali
“semplificati” previsti dal libro secondo, titolo IV, capo I, dal
libro quarto, titolo I, capo III-bis, o dal libro secondo, titoli I e
III, ovvero titolo II, del codice di procedura civile.
L’art. 4 cit. rileva, pertanto, per i mutamenti di rito in favore di
alcuno dei tre modelli elaborati dal decreto legislativo n.
150/2011 ed in funzione della trattazione dei procedimenti
speciali regolati dalle disposizioni complementari al codice di
procedura civile in materia di riduzione e semplificazione. Detta
disciplina non opera, invece, nelle ipotesi di mutamento dal rito
ordinario al rito speciale delle controversie di lavoro, o
viceversa, restando tali fattispecie tuttora regolate dagli artt.
426 e 427 c.p.c. Ciò è dato intendere anche dall’art. 2 del
d.igs. n. 150 del 2011, che, per le controversie assoggettate al
rito del lavoro dal Capo II del decreto legislativo, stabilisce
espressamente l’inapplicabilità, fra gli altri, degli articoli 426,
427 e 439 del codice di procedura civile.
5.6.3. Ad identiche conclusioni sistematiche è giunta Cass. Sez.
3, 25 maggio 2018, n. 13072 (proprio in ipotesi di opposizione
a decreto ingiuntivo per il pagamento di canoni locatizi
proposta con citazione e non secondo il rito di cui all’art. 447-
bis c.p.c.), nei senso, cioè, che l’art. 4 del d.lgs. n. 150 del
2011 disciplina esclusivamente il mutamento del rito in caso di
controversia promossa in forme diverse da quelle previste nel
medesimo decreto, e non costituisce una norma generale
abrogativa e sostitutiva delle norme specifiche di cui agli artt.
426 e 427 c.p.c., che rimangono le norme generali di
coordinamento tra rito ordinario e rito lavoristico/locatizio
(nello stesso senso, Cass. Sez. 6 – 3, 25 settembre 2019, n.
23909; Cass. Sez. 1, 11 giugno 2019, n. 15722).
5.6.4. In relazione all’opposizione a decreto ingiuntivo per
crediti relativi ad un rapporto di locazione di immobili urbani –
e perciò disciplinata dall’art. 447-bis c.p.c. -, che sia proposta
con atto di citazione notificato alla controparte, anziché con
ricorso depositato nella cancelleria, emerge piuttosto, secondo
la costante giurisprudenza di questa Corte, la necessità di
procedere alla conversione dell’atto introduttivo secondo il
criterio di cui all’art. 156, comma 3, c.p.c., potendosi, cioè,
ritenere tempestiva l’opposizione, nonostante l’errore sulla
forma dell’atto, qualora sia avvenuta entro il termine stabilito
dall’art. 641 c.p.c. l’iscrizione a ruolo mediante deposito in
cancelleria della citazione, non essendo invece sufficiente che,
entro tale data, la stessa sia stata notificata alla controparte
(in materia di controversie di opposizione a decreti ingiuntivi
per crediti derivanti da locazione, fra le più recenti: Cass. Sez.
6 – 3, 19 settembre 2017, n. 21671; Cass, Sez. 6 – 3, 29
dicembre 2016, n. 27343; Cass. Sez. 3, 2 aprile 2009, n.
8014; 15er l’applicazione, in generale, del principio di
conversione nelle ipotesi di introduzione del processo – sia che
si tratti di impugnazione che di opposizione a decreto
ingiuntivo – secondo un modello formale errato: Cass. Sez.
Unite, 10 febbraio 2014, n. 2907; Cass. Sez. Unite, 8 ottobre
2013, n. 22848; Cass. Sez. Unite, 23 settembre 2013, n.
21675; Cass. Sez. Unite, 14 marzo 1991, n. 2714).
Secondo tale orientamento, l’errore sulla forma dell’atto
introduttivo, come citazione o come ricorso, ai fini del prodursi
degli effetti sostanziali e processuali della domanda (inteso
quale errore sul singolo atto, isolatamente considerato, e non
già quale “errore sul rito”), se non comporta ex se una nullità
comminata dalla legge, va comunque valutato alla luce dei
requisiti indispensabili che l’atto deve avere per raggiungere il
suo scopo (art. 156, secondo comma, c.p.c.). Essendo in gioco
la valutazione della tempestività di un atto introduttivo di un
processo al fine di impedire una decadenza, non rileva la
manifestazione di volontà sostanziale ad esso sotteso, quanto
la sua idoneità ad instaurare un valido rapporto processuale
diretto ad ottenere l’intervento del giudice ai fini di una
pronuncia nel merito (arg. anche dall’art. 2966 c.c.). La
pendenza del giudizio, quale momento idoneo ad impedire una
decadenza, anche in nome delle esigenze di instaurazione del
contraddittorio con la controparte, finisce così per correlarsi al
compimento dell’atto che rappresenta ex ante il corretto
esercizio del diritto di azione nella sua tipica forma legalmente
precostituita, oppure al verificarsi del medesimo effetto
altrimenti prodotto ex post dall’atto difforme dal modello
legale, allorché la fattispecie possa dirsi successivamente
integrata dagli elementi necessari alla sua funzione tipica.
5.6.5. Questo indirizzo interpretativo sul funzionamento della
conversione nelle ipotesi di introduzione del processo secondo
un modello formale errato, in quanto, come visto, ribadito da
ancora recenti interventi di queste Sezioni Unite, merita di
essere confermato anche per l’esigenza di assicurare un
sufficiente grado di stabilità di applicazione (Cass., Sez. Unite
31 luglio 2012, n. 13620; Cass., Sez. Unite 6 novembre 2014,
n. 23675).
5.6.6. Neppure può trascurarsi che proprio la vicenda
processuale del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo per
crediti di locazione, irritualmente introdotto con citazione
tardivamente depositata, è stata oggetto di due pronunce della
Corte Costituzionale.
Con l’ordinanza n. 152 del 2000, la Corte Costituzionale
dichiarò manifestamente infondata la questione di legittimità
costituzionale degli artt. 641, 645 e 447-bis in relazione all’art.
8, secondo comma, numero 3) del codice di procedura civile,
sollevata in riferimento agli artt. 3, 24 e 97 della Costituzione.
La Corte Costituzionale richiamò i propri precedenti con cui era
stata nègata l’irragionevolezza della diversa disciplina
dell’opposizione a decreto ingiuntivo nel rito ordinario ed in
quello di lavoro, finalizzata alla concentrazione della trattazione
ed alla immediatezza della pronuncia (ordinanza n. 936 del
1988); quindi invocò il principio della legale conoscenza delle
norme, che non può non valere quando la parte si avvalga,
come nel caso di opposizione a decreto ingiuntivo, del
necessario patrocinio del difensore, ben in grado di desumere
la causa petendi dagli atti notificati alla parte.
Con la sentenza n. 45 del 2018, la Corte Costituzionale ha poi
dichiarato in ammissibile la questione di legittimità
costituzionale dell’art. 426 del codice di procedura civile,
sollevata ;in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 della
Costituzione. La questione incidentale di legittimità
costituzionale dell’art. 426 c.p.c. era stata posta dal giudice a
quo con riguardo alla interpretazione di tale norma prediletta
dalla Corte di cassazione, e quindi «nella parte in cui non
prevede che, in caso di introduzione con rito ordinario di una
causa soggetta al rito previsto dagli artt. 409 e ss. c. p. c. e di
conseguente mutamento del rito, gli effetti sostanziali e
processuali si producano secondo le norme del rito ordinario,
seguito fino al mutamento». Il remittente censurava la
sanatoria dimidíata, e non piena, dell’atto non ritualmente
introdotto «nelle forme ordinarie» (in luogo di quelle del rito
speciale per esso previste) – quale unicamente consentita
dall’art. 426 c.p.c. -, perché non coerente con la sopravvenuta
previsione normativa di cui all’art. 4, comma 5, del decreto
legislativo 1° settembre 2011, n. 150, e nemmeno con la
disciplina della cosiddetta translatio iudicii ex art. 59, comma
2, della legge 18 giugno 2009, n. 69. La sentenza n. 45 del
2018 della Corte Costituzionale ha affermato che l’auspicata
riformulazione del meccanismo di conversione del rito sub art.
426 c.p.c. riflette “una valutazione di opportunità, e di maggior
coerenza di sistema, di una sanatoria piena, e non dimidiata,
dell’atto irrituale, per raggiungimento dello scopo. Ma non per
questo risponde ad una esigenza di reductio ad legitimitatem
della disciplina attuale, posto che tale disciplina (a sua volta
coerente ad un principio di tipicità e non fungibilità delle forme
degli atti) non raggiunge quella soglia di manifesta
irragionevolezza che consente il sindacato di legittimità
costituzionale sulle norme processuali”.
5.6.7. Sono, invero, evidenti, le notevoli differenze operative
cui si perviene a seconda che l’errore sul modello dell’atto
introduttivo del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo
risulti soggetto alla disciplina del mutamento del rito dettata
dall’art. 4 del d.lgs. n. 150 del 2011 (ove, cioè, si tratti di
controversia promossa in forme diverse da quelle regolate dal
medesimo decreto legislativo n. 150/2011), oppure soggetto
tuttora all’operatività del principio di conversione, il quale
comporta lo slittamento in avanti del momento di efficacia
dell’atto (ove, cioè, sia adottata la forma propria dei rito
ordinario in luogo di quella tipica del rito speciale delle
controversie di lavoro, o viceversa). Si è dinanzi, tuttavia,
all’esigenza di pervenire alla modifica di regole processuali,
modifica che – per riprendere ancora le parole della sentenza
n. 45 del 2018 della Corte Costituzionale – può apparire “di per
sé meritevole di considerazione, ma comunque rientrante
nell’ambito delle scelte riservate alla discrezionalità del
legislatore”.
5.7. Va pertanto enunciato, ai sensi dell’art. 384, comma 1,
c.p.c., il seguente principio di diritto:
“Allorché l’opposizione a decreto ingiuntivo concesso in materia
di locazione di immobili urbani, soggetta al rito speciale di cui
all’art. 447-bis c.p.c., sia erroneamente proposta con citazione,
anziché con ricorso, non opera la disciplina di mutamento del
rito di cui all’art. 4 del d.lgs. n. 150 del 2011 – che è applicabile
quando una controversia viene promossa in forme diverse da
quelle previste dai modelli regolati dal medesimo decreto
legislativo n. 150/2011 -, producendo l’atto gli effetti del
ricorso, in virtù del principio di conversione, se comunque
venga depositato in cancelleria entro il termine di cui all’art.
641 c.p.c.”.
5.8. Alla luce di tale principio di diritto, il primo motivo del
ricorso incidentale condizionato della
può dirsi fondato, essendo comunque accertata una
ragione che comportava l’inapplicabilità nel caso in esame della
disciplina sul mutamento del rito contenuta nell’art. 4, del
d.lgs. n. 150/2011, con particolare riguardo alla salvezza degli
effetti sostanziali e processuali della domanda proposta
secondo le norme del rito erroneamente seguito. A differenza
di quantb affermato nella sentenza impugnata dalla Corte
d’appello di Palermo a proposito del secondo motivo di
gravame, doveva perciò dichiararsi inammissibile perché
tardiva l’opposizione proposta dall’
di Palermo con citazione (notificata il 9 ottobre 2014 ma)
depositata il 20 ottobre 2014 avverso il decreto ingiuntivo
notificatole il 18 luglio 2014 su domanda della
ed avente ad oggetto il pagamento di somme
per indennità di occupazione e oneri accessori inerenti alla
locazione dell’immobile sito in via di Palermo.
5.8.1. L’accoglimento del primo motivo del ricorso incidentale
comporta l’assorbimento del secondo motivo dello stesso
ricorso, perdendo di immediata rilevanza decisoria la censura
sulla motivazione adottata dalla Corte di Palermo in ordine ai
presupposti di applicabilità dell’art. 4, comma 5, del d.lgs. n.
150 del 2011.
6. In definitiva, risultano fondati i primi due motivi del ricorso
principale proposto dall’ di
Palermo, mentre andrebbe dichiarato inammissibile il terzo
motivo del ricorso principale. La riconosciuta fondatezza del
ricorso principale ha imposto l’esame del ricorso incidentale
condizionato della del quale
risulta a sua volta fondato, per quanto esposto in motivazione,
il primo motivo, rimanendo assorbito il secondo motivo, mentre
sarebbe inammissibile il terzo motivo.
7. Atteso il carattere di unitarietà e contestualità della
emananda decisione, occorre allora considerare che la stessa
deve limitarsi a correggere l’error in iudicando contenuto nella
motivazione della sentenza della Corte d’appello di Palermo, ai
sensi dell’art. 384, comma 4, c.p.c., essendo comunque
conforme al diritto il dispositivo della stessa, con cui era
rigettato l’appello avanzato dall’ di
Palermo contro la declaratoria di inammissibilità
dell’opposizione a decreto ingiuntivo resa in primo grado dal
Tribunale di Palermo. Il ricorso incidentale condizionato
spiegato dalla resistente vittoriosa
consente, invero, sulla base dei fatti accertati dai giudici
di merito, di pervenire allo stesso risultato raggiunto nella
sentenza impugnata, sia pure all’esito della diversa soluzione
data in motivazione con riguardo alla questione pregiudiziale di
rito che aveva visto vincitrice la ricorrente principale, senza
necessità di rimettere la causa al giudice di rinvio, con
conseguente reiezione sia del ricorso principale che del ricorso
incidentale.
8. Devono in definitiva rigettarsi sia il ricorso principale
del di Palermo, sia il ricorso
incidentale condizionato della s.r.I.,
compensandosi tra le parti le spese del giudizio di cassazione
in ragione della reciproca soccombenza e della novità della
questione.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai
sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002,
n. 115 – da parte della ricorrente principale e della ricorrente
incidentale, di un ulteriore importo a titolo di contributo
unificato pari a quello previsto per le rispettive impugnazioni,
se dovuto.

P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso principale ed il ricorso incidentale e
compensa tra le parti le spese sostenute nel giudizio di
cassazione.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater del d.P.R. 115 del 2002,
dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, della ricorrente principale e della ricorrente
incidentale, di un ulteriore importo a titolo di contributo
unificato pari a quello previsto per i rispettivi ricorsi, a norma
del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio delle Sezioni
Unite Civili della Corte Suprema di Cassazione, il 26 ottobre
2021.
Il Consigliere estensore