Rimozione di opere dalle parti comuni

CORTE DI CASSAZIONE
Sez. II civ., sent. 23.11.2016, n. 23890.

CONSIDERATO IN FATTO
Il Condominio … conveniva in giudizio innanzi al Tribunale la L.E. s.a.s., proprietaria di un locale al piano terra dell’edificio condominiale, per sentirla condannare alla rimozione di un manufatto con il quale occupava il suolo del cavedio comune del medesimo Condominio istante.
La domanda era contrastata dalla convenuta L.E., che ne chiedeva il rigetto (eccependo, fra l’altro, il difetto di valido rapporto di rappresentanza della parte attrice) e proponeva domanda riconvenzionale per la declaratoria di acquisto per usucapione dell’anzidetto suolo, con richiesta di chiamata in causa della propria dante causa J.M., di poi evocata, ma rimasta contumace in giudizio.
L’adito Tribunale con sentenza n. 785/2009 condannava la parte convenuta alla rimozione della struttura posta all’interno del cavedio, nonché alla refusione delle spese di lite.
Avverso la succitata decisione interponeva appello, chiedendo la riforma dell’impugnata sentenza, la L.E.. Resisteva all’interposto gravame, di cui chiedeva il rigetto il Condominio.
La Corte di Appello di Trieste, con sentenza n. 278/2011, accoglieva l’appello e, in riforma della gravata decisione, dichiarava l’assenza di costituzione di un valido rapporto processuale in primo grado per mancanza di rappresentanza processuale in capo all’amministratore del Condominio e la nullità della procura alle liti da costui rilasciata.
Per la cassazione della suddetta sentenza della Corte distrettuale ricorre il Condominio con atto affidato ad un unico articolato motivo.
Resiste con controricorso la L.R..
Nell’approssimarsi dell’udienza ha depositato memoria, ai sensi dell’art. 378 c.p.c., la parte controricorrente.

RITENUTO IN DIRITTO
1. Con il motivo del ricorso si censura il vizio di error in iudicando con violazione e falsa applicazione di norme di diritto, in relazione all’art. 360, n. 3 c.p.c., quali quelle di cui agli artt. 183 c.p.c, 1130, n. 1 e n. 4 c.c..
Il nucleo della censura posta a base del motivo qui in esame attiene, nella sostanza, alla necessità o meno – nella specifica fattispecie per cui è causa – della titolarità, in capo all’amministratore del Condominio ricorrente, della prerogativa di agire nel giudizio.
L’impugnata sentenza ha ritenuto insussistente la suddetta titolarità. A tanto è pervenuta la Corte territoriale, rifacendosi impropriamente a precedenti decisioni di questa Corte (n.ri 3044/2009, 24764/2005 e 12557/1992) e valutando azione posta in essere come azione (reale) non rientrante nel novero delle azioni proponibili direttamente dall’organo rappresentativo condominale.
Senonché, nella concreta ipotesi per cui è giudizio, l’amministratore del condominio ricorrente (anche al di là dell’aspetto della norma regolamentare su cui pure si è discusso in corso di causa) ha chiesto solo la rimozione della struttura di parte controricorrente limitante la corretta usufruizione del comune cavedio.
La previa delibera autorizzativa ad litem da parte dell’assemblea condominale non era, pertanto, necessaria.
Al riguardo, anche in continuità con il condiviso e consolidato orientamento di questa Corte (Cass. ottobre 2008, n. 24391 e 17 giugno 2010, n. 14626) non può che riaffermarsi il principio – attagliante invero alla fattispecie – secondo cui, “ai sensi dell’art. 1130, comma 1, n. 4 e 1131 c.c, l’amministratore del condominio è legittimato, senza la necessità di una specifica deliberazione assembleare ad instaurare un giudizio per la rimozione di opere in quanto tale atto è diretto alla conservazione dei diritti inerenti alle parti comuni dell’edificio”.
Il motivo è, quindi, fondato.
2. Il ricorso, pertanto, va accolto e la gravata decisione va cassata con conseguente remissione della causa ad altra Sezione della Corte di Appello di Trieste, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa l’impugnata sentenza e rinvia, anche per le spese, ad altra Sezione della Corte di Appello di Trieste.