Innovazioni e diritto di proprietà

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. BERTUZZI Mario – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 30433-2019 proposto da:

V.F., anche quale difensore di se stesso, elettivamente domiciliato in ROMA, CORSO VITTORIO EMANUELE N 154, presso lo studio dell’avvocato VINCENZO SPARANO, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

(OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CATANZARO 6, presso lo studio dell’avvocato ALBERTO MARIA PAPADIA, che lo rappresenta e difende giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 977/2019 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 12/03/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 14/01/2022 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;

Lette le memorie del ricorrente.

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

V.F., con citazione del (OMISSIS), impugnava la delibera condominiale adottata dal Condominio in (OMISSIS) in data (OMISSIS) che aveva deliberato l’installazione nella piazzetta condominiale di strutture fisse atte ad impedire il parcheggio, deducendone l’annullabilità ovvero la nullità.

Chiedeva altresì di accertare incidenter il proprio diritto di proprietà ovvero il diritto reale di uso o di servitù sull’area adibita a parcheggio antistante il proprio ufficio, assumendo altresì l’illegittimità della richiesta di contributo pro quota per i lavori approvati.

Ancora, chiedeva la condanna del convenuto al risarcimento dei danni subiti.

Nella resistenza del condominio, il Tribunale di Venezia con la sentenza n. 1382/2017 rigettava la domanda attorea.

Il V. proponeva appello e la Corte d’Appello di Venezia con sentenza n. 977 del 12 marzo 2019 rigettava il gravame.

Quanto al primo motivo di appello, con il quale si contestava che la delibera impugnata fosse meramente attuativa di una precedente delibera del (OMISSIS), non oggetto di impugnazione, la Corte d’Appello rilevava che anche nella delibera oggetto di causa si faceva espresso richiamo a quella precedente che aveva già disposto l’installazione di arredi urbani atti ad impedire il parcheggio, in conformità di quanto previsto al Regolamento di condominio, art. 10.

La delibera poi impugnata dall’appellante aveva una portata meramente attuativa, posto che già quella del 2013 aveva previsto la collocazione di manufatti destinati al detto scopo, incaricando l’amministratore di trovare la soluzione più adeguata alla necessità.

Era altresì disatteso il secondo motivo di appello che contestava la regolarità formale della delibera, posto che il verbale denotava l’indicazione del nominativo dei singoli condomini presenti, con l’annotazione anche dei millesimi di comproprietà, mentre all’atto della votazione si era dato atto dell’approvazione da parte di tutti i condomini con il solo voto contrario del V..

Anche il terzo motivo era rigettato, atteso che non era condivisibile la diversa interpretazione del regolamento di condominio suggerita dall’appellante, quanto al disposto dell’art. 10, non potendosi attribuire alcun rilievo ad una precedente Delibera del (OMISSIS), che non risultava essere stata assunta all’unanimità (e quindi con una maggioranza idonea a modificare il regolamento di natura contrattuale), che aveva riguardo alla regolamentazione di una situazione di carattere temporaneo.

Quanto alle ulteriori doglianze, la sentenza osservava che l’installazione dei cubi di cemento approvata dall’assemblea, se impediva il parcheggio, non impediva altresì il transito di un veicolo per l’attività di carico e scarico; inoltre i cubi in questione non alteravano l’entità sostanziale della piazzetta menomandone il valore storico ed architettonico, come rilevato dal giudice di primo grado che aveva anche ricordato l’avvenuta approvazione da parte del Ministero dei Beni e delle attività culturali.

Inoltre, non poteva riconoscersi l’acquisto per usucapione di una servitù di parcheggio, avendo il giudice di legittimità escluso la configurabilità di una servitù avente siffatto contenuto.

Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso V.F. sulla base di tre motivi, illustrati da memorie.

Il (OMISSIS) resiste con controricorso.

Il primo motivo di ricorso denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, e all’art. 1120 c.c..

Si deduce che la sentenza impugnata si è limitata a riferire circa la modifica dell’alterazione del decoro architettonico, senza mai indagare se l’installazione rientrasse nella nozione di innovazione tale da ledere il bene comune inservibile all’uso o al godimento anche di un solo condomino, e ciò avuto riguardo al fatto che la piazzetta condominiale era stata materialmente destinata ad area di parcheggio.

Il secondo motivo denuncia l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, ed all’art. 121 c.c., in quanto una volta affermata la natura di innovazione della collocazione dei cubi di cemento, non è stato valutato che trattasi di innovazione voluttuaria, che legittimava quindi il rifiuto del ricorrente di contribuire alle relative spese.

I motivi, che possono essere congiuntamente esaminati per la loro connessione, sono infondati.

In primo luogo, rileva l’applicazione nella fattispecie della previsione di cui all’art. 348-ter c.p.c., u.c., che, per l’ipotesi di cd. doppia conforme, avendo il giudice di appello confermato la sentenza di primo grado, sulla base delle medesime ragioni inerenti alle questioni di fatto a sostegno della sentenza di primo grado, preclude la deducibilità in sede di legittimità del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Peraltro, la sentenza impugnata ha rilevato che, in base al regolamento condominiale di natura contrattale, e secondo l’interpretazione offertane dal Tribunale e condivisa dal giudice di appello, risultava inibito l’utilizzo della piazzetta comune a scopo di parcheggio, dovendosi quindi escludere che la sua destinazione (a prescindere dall’utilizzo in fatto che possa esserne avvenuto per alcuni periodi, in contrasto con il vincolo scaturente dal regolamento) fosse quella di sosta e parcheggio dei veicoli.

A tal fine va quindi richiamato il principio secondo cui (Cass. n. 20712 del 2017) in tema di condominio negli edifici, le innovazioni di cui all’art. 1120 c.c., si distinguono dalle modificazioni disciplinate dall’art. 1102 c.c., sia dal punto di vista oggettivo, che da quello soggettivo: sotto il profilo oggettivo, le prime consistono in opere di trasformazione, che incidono sull’essenza della cosa comune, alterandone l’originaria funzione e destinazione, mentre le seconde si inquadrano nelle facoltà riconosciute al condomino, con i limiti indicati nello stesso art. 1102 c.c., per ottenere la migliore, più comoda e razionale utilizzazione della cosa; per quanto concerne, poi, l’aspetto soggettivo, nelle innovazioni rileva l’interesse collettivo di una maggioranza qualificata, espresso con una deliberazione dell’assemblea, elemento che invece difetta nelle modificazioni, che non si confrontano con un interesse generale, bensì con quello del singolo condomino, al cui perseguimento sono rivolte (Cass. n. 18052 del 2012).

Inoltre, è stato altresì ribadito che (Cass. n. 12805 del 2019) nel condominio sono vietate le innovazioni che rendano talune parti comuni dell’edificio inservibili all’uso e al godimento anche di un solo condomino, comportandone una sensibile menomazione dell’utilità, secondo l’originaria costituzione della comunione, ma che l’indagine volta a stabilire se, in concreto, un’innovazione determini una sensibile menomazione dell’utilità che il condomino ritraeva dalla parte comune, secondo l’originaria costituzione della comunione, ovvero se la stessa, recando utilità ai restanti condomini, comporti soltanto per uno o alcuni di loro un pregiudizio limitato, che non sia tale da superare i limiti della tollerabilità, è demandata al giudice del merito, il cui apprezzamento sfugge al sindacato di legittimità, se non nei limiti di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

La necessità di dare puntuale attuazione al vincolo derivante dal regolamento di condominio ed assicurare, quindi, proprio quella destinazione che era stata assegnata alla piazzetta condominiale, consente di escludere che le opere approvate possano rientrare nella nozione di innovazione (peraltro non potendosi riscontrare l’esistenza di un diritto del singolo condomino a trarre utilità sotto forma di parcheggio dal bene comune, suscettibile di essere menomato dalla collocazione dei cubi di cemento), avendo altresì la sentenza dato atto che le installazioni non alterano il decoro del bene nè impediscono il pur limitato uso della piazzetta come consentito dal regolamento, avendo riscontrato in concreto la permanente possibilità di accesso di veicoli per l’attività di carico e scarico.

La conclusione secondo cui deve escludersi che possa concretamente ritenersi approvata un’innovazione, dà anche contezza dell’impossibilità di invocare la disciplina in tema di innovazioni voluttuarie, potendosi in ogni caso rilevare come in concreto il giudice, sottolineando l’esigenza a mezzo delle installazioni di dare effettiva attuazione al limite dettato dal regolamento di condominio, abbia implicitamente disatteso la tesi del carattere voluttuario delle opere in esame.

Il terzo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., quanto al principio di non contestazione.

Il motivo è inammissibile.

Il ricorso non riporta quali sarebbero i fatti storici (relativamente ai quali è dato rilevare il formarsi della non contestazione, non potendo invece essere estesa alle deduzioni in diritto ovvero alle conseguenze sempre in punto di diritto che possano scaturire da determinati fatti storici) espressamente indicati in citazione e sui quali sarebbe mancata la specifica contestazione da parte del convenuto, emergendo piuttosto la pretesa di annettere gli effetti di cui all’art. 115 c.p.c., anche a mere deduzioni in punto di diritto o a giudizi di valore (si pensi all’alterazione del decoro architettonico, ovvero alla natura voluttuaria delle opere). Nè tale individuazione può tardivamente essere compiuta con la memoria, anche in ragione del rilievo che quelli ivi indicati non costituiscono in realtà fatti storici, ma elementi di valutazione in ogni caso rimessi al giudizio dell’autorità giudiziaria. In particolare, quanto al possesso utile ad usucapire la pretesa servitù, la censura non si conforta con la ratio del giudice di appello che ha invece ritenuto che il diritto vantato dal ricorrente non fosse suscettibile di dare vita ad una servitù, affermazione questa non specificamente attinta dal motivo in esame.

Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

Nulla a disporre quanto alla parte rimasta intimata.

Poichè il ricorso è dichiarato inammissibile, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto al testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, il comma 1-quater – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

P.Q.M.

Dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente, al rimborso delle spese del presente giudizio in favore del controricorrente, che liquida in complessivi Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 1 5 % sui compensi ed accessori di legge;

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, art. 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 14 gennaio 2022.

Depositato in Cancelleria il 3 febbraio 2022