Affittacamere e regolamento condominiale

CORTE DI CASSAZIONE
Sez. II civ., ord. 7.10.2020, n. 21562

Ritenuto che:
– il Condominio di via … chiamava in giudizio davanti al Tribunale di Roma M.G., M.A. e la H.L. s.r.l.;
– denunciava che la H.L. s.r.l., conduttrice di un’unità immobiliare compresa nel condominio, di proprietà dei M.G. e M.A., svolgeva in tale unità attività alberghiera, in violazione del regolamento condominiale;
– chiedeva la cessazione di tale attività e il risarcimento del danno;
– si costituivano i convenuti;
– M.G. e la H.L. s.r.l. sostenevano che l’attività di affittacamere svolta nell’unità immobiliare non era contraria al regolamento condominiale;
– M.G., in via subordinata, chiedeva di essere manlevata dalla conduttrice, cui era imputabile l’uso diverso rispetto a quello abitativo previsto nel contratto di locazione;
– M.A. eccepiva di avere ceduto la propria quota di comproprietà alla sorella M.G.;
– il tribunale, in accoglimento della domanda, ordinava, nei confronti della proprietaria e della conduttrice, la cessazione dell’attività, riscontrando la violazione del regolamento condominiale;
– il primo giudice osservava che l’attività di affittacamere non costituiva uso abitativo, senza rientrare nello stesso tempo in uno degli altri usi consentiti in base al regolamento condominiale;
– esso aggiungeva che la norma regolamentare era opponibile sia alla M.G., in quanto condomina proprietaria, sia alla H.L. s.r.l., in quanto titolare di posizione giuridica derivata dalla prima;
-la Corte d’appello di Roma, adita dalla H.L. s.r.l., confermava la sentenza;
– essa, per quanto interessa in questa sede, rilevava che:
a) la regolarità amministrativa dell’attività svolta nell’unità abitativa, in quanto autorizzata dal Comune di Roma, non rilevava nei rapporti fra i condòmini e loro aventi causa;
b) l’attività di affittacamere svolta dalla società conduttrice non è attività alberghiera, ma è comunque «attività commerciale, esplicantesi a scopo di lucro da parte di società di capitali mediante la prestazione sul mercato di alloggio dietro corrispettivo per periodi più o meno brevi; come tale è senz’altro in contrasto con l’art. 28 (del regolamento condominiale N.d.R.), essendo tale destinazione commerciale incompatibile con l’uso abitativo ed espressamente vietata»;
c) che l’esercizio nell’edificio condominiale di altre attività analoghe (Bed & Breakfast – affittacamere) non escludeva la sussistenza «del riscontrato distinto illecito»;
d) che il locatore, in base all’art. 28 del regolamento condominiale, era responsabile in solido con il conduttore per la cessazione dell’attività vietata;
e) era infine infondata anche la domanda di manleva svolta dalla M.G. nei confronti della conduttrice, in quanto l’attività di affittacamere era espressamente consentita in base al contratto di locazione;
per la cassazione della sentenza M.G. ha proposto ricorso affidato a due motivi;
il Condominio di via …  ha resistito con controricorso;
la ricorrente ha depositato memoria.

CONSIDERATO CHE:
(omissis)
– il secondo motivo denuncia omesso esame di un fatto decisivo ai fini del giudizio, difetto di motivazione o motivazione perplessa o incomprensibile in relazione all’interpretazione dell’art. 28 del regolamento condominiale, disparità di trattamento fra condòmini;
– il motivo propone le seguenti censure:
a) la natura di locazione ad uso abitativo era pacifica nel caso in esame;
b) la corte d’appello ha dato una interpretazione estensiva del regolamento condominiale, includendovi l’attività oggetto di lite, pure non essendo questa inclusa fra quelle espressamente vietate dal regolamento ed essendo compatibile con l’uso abitativo;
c) il divieto di svolgere attività commerciali si deve intendere circoscritto alle attività commerciali espressamente menzionate dalla norma regolamentare, non essendo ammissibile che le facoltà dei singoli proprietari possano essere compresse o limitate in forza di divieti generici e indeterminati;
d) occorre considerare che, secondo il regolamento della Regione Lazio, l’attività di affittacamere deve svolgersi in immobili destinati a civile abitazione;
e) la corte di merito non ha poi tenuto conto che nel condominio erano esercitate attività analoghe;
– il motivo è infondato;
– l’art. 28 del regolamento Condominiale dispone: «gli appartamenti potranno essere destinati esclusivamente a civili abitazioni, studi o gabinetti professionali, restando espressamente vietati destinazioni e uso ad esercizio o ufficio industriale o commerciale, a uffici pubblici, dispensari sanatori, case di salute di qualsiasi genere, gabinetti per cure di malattie infettive, contagiose o ripugnanti, ad agenzie di qualunque specie, a ufficio depositi di pompe funebri, a ufficio di collocamento, ristoranti, cinematografi, magazzini, scuole di qualunque specie, chiese, accademie […].»;
– la ricorrente richiama la giurisprudenza di questa Corte secondo la quale la destinazione per civile abitazione prevista dalla norma regolamentare è pienamente compatibile con l’attività di affittacamere, costituendone anzi un suo presupposto (Cass. n. 24707/2014; n. 16972/2015);
– il rilievo non tiene conto che la corte d’appello ha riconosciuto la violazione del regolamento condominiale anche in base a un argomento diverso e ulteriore rispetto a quello addotto dal giudice di primo grado;
– secondo il tribunale il riferimento all’espressione “uso abitativo” sottintendeva l’utilizzo dell’immobile come dimora stabile e abituale, con esclusione della prestazione di alloggio per periodi più o meno brevi in vista del soddisfacimento di esigenze abitative di carattere transitorio;
– la corte d’appello ha seguito una logica diversa;
– ciò che rende l’attività ricompresa fra le attività vietate è il suo caratterizzarsi quale attività commerciale, assimilabile a quella alberghiera, «esplicantesi a scopo di lucro da parte di società di capitali mediante la prestazione sul mercato di alloggio dietro corrispettivo per periodi più o meno brevi»;
– una simile attività, secondo la corte d’appello, è in contrasto con l’art. 28, «essendo tale destinazione commerciale incompatibile con l’uso abitativo ed espressamente vietata»;
– la ricorrente pretende di riferire il divieto di svolgere attività commerciali a quelle attività espressamente vietate dalla norma del regolamento;
– secondo la ricorrente, il “divieto di destinazioni e uso ad esercizio o ufficio industriale o commerciale” non avrebbe quindi alcuna autonomia, ma introdurrebbe l’esemplificazione proposta di seguito dalla norma regolamentare, mentre ogni altra e diversa attività commerciale dovrebbe ritenersi lecita;
-così identificato l’autentico significato della censura è chiaro che il problema che si pone nel caso in esame è un problema squisitamente interpretativo della previsione regolamentare, laddove fa divieto di destinare gli appartamenti «ad esercizio o ufficio industriali o commerciale»;
– è pacifico che l’interpretazione del regolamento condominiale integra un giudizio di fatto, rimesso alla competenza esclusiva del giudice di merito;
– al pari di qualsiasi giudizio di fatto è soggetto, in sede di cassazione, a controllo, e quindi a censura, non per la sua sostanziale esattezza o erroneità, da verificarsi in base a rinnovata interpretazione della dichiarazione considerata, bensì soltanto per ciò che attiene alla sua legittimità, e cioè alla conformità a legge dei criteri ai quali è adeguato e alla compiutezza, coerenza e conformità a legge della giustificazione datavi (Cass. n. 5393/1999; n. 9355/2000; 11.20712/2017);
– la corte di merito ha riconosciuto che il divieto di svolgere attività commerciali, posto dal regolamento, si riferiva alle attività suscettibili di essere considerati tali secondo il significato giuridico della espressione, così attribuendo al divieto un ambito di applicazione specifico e autonomo e non meramente introduttivo della susseguente elencazione di specifiche attività vietate;
– tale rilievo, di per sé, non rileva errori giuridici o vizi logici, tenuto conto che il divieto di attività commerciali e i divieti susseguenti sono posti letteralmente sullo stesso piano (restando espressamente vietati destinazioni e uso ad esercizio o ufficio industriale o commerciale, a uffici pubblici, dispensari sanatori, case di salute di qualsiasi genere …) e che, fra le specifiche attività oggetto di espresso divieto, ve ne sono alcune che non hanno certamente carattere commerciale: uffici pubblici, uffici di collocamento, chiese, accademie;
– d’altronde il ricorrente censura tale interpretazione ma non indica il canone ermeneutico in concreto violato, risolvendosi la censura nella proposta di una diversa interpretazione del regolamento, inammissibile in questa sede (Cass. n. 641/2003; n. 11613/2004);
– ciò posto la seconda considerazione da farsi è che la assimilazione dell’attività di affittacamere a quella imprenditoriale alberghiera, proposta dalla corte d’appello, è coerente con la giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale «tale attività, pur differenziandosi da quella alberghiera per sue modeste dimensioni, presenta natura a quest’ultima analoga, comportando, non diversamente da un albergo, un’attività imprenditoriale, un’azienda ed il contatto diretto con il pubblico»;
– essa, infatti, richiede non solo la cessione in godimento del locale ammobiliato e provvisto delle necessarie somministrazioni (luce, acqua, ecc.), ma anche la prestazione di servizi personali, quali il riassetto del locale stesso e la fornitura della biancheria da letto e da bagno (Cass. n. 704/2015);
– il ricorrente richiama il Regolamento n. 8 della Regione Lazio del 7 agosto 2015, in base al quale gli appartamenti da destinare a affittacamere non sono soggetti a cambio di destinazione d’uso a fini urbanistici;
– neanche tale richiamo è idoneo a rilevare un errore della corte d’appello nella riconduzione dell’attività svolta dalla conduttrice a quelle commerciali vietate dal regolamento, posto che la stessa previsione regionale, invocata dalla ricorrente, definisce l’affittacamere come “strutture gestite in forma imprenditoriale” (art. 4);
– insomma, l’interpretazione del regolamento contrattuale di condominio, operata nel caso di specie da parte del giudice del merito, non rileva nel suo complesso errori giuridici o vizi logici: essa è perciò insindacabile in questa sede (Cass. n. 17893/2009; n. 1306/2007);
– il ricorso pertanto va rigettato;
– spese a carico della ricorrente;
(omissis)

P.Q.M.
rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio, che liquida in euro 4.100 per compensi, oltre al rimborso delle spese forfetarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in euro 200, ed agli accessori di legge; (omissis).