Rendiconto annuale e debiti pregressi

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANNA Felice – Presidente –
Dott. BERTUZZI Mario – Consigliere –
Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –
Dott. AMATO Cristina – Consigliere –
Dott. PIRARI Valeria – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 28206-2018 R.G. proposto da:
(Omissis), elettivamente domiciliato in ROMA VIA A. BIAMONTI 10, presso lo studio dell’avvocato FERRALDESCHI ALFREDO (FRRLRD67S16H501A) che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
A.A., B.B., C.C., D.D., E.E., elettivamente domiciliati in ROMA VIA F. OZANAM, 69, presso lo studio dell’avvocato PETILLO SALVATORE (PTLSVT64C07H501E) che li rappresenta e difende;
-controricorrenti-
contro
F.F., G.G., H.H.;
-intimati-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO ROMA n. 3266-2018 depositata il 16/05/2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21/03/2023 dal Consigliere VALERIA PIRARI.

Svolgimento del processo
1. A.A., B.B., G.G., C.C., D.D., F.F., E.E. e I.I. convennero in giudizio davanti al Tribunale di Roma il Condominio di (Omissis), perchè venisse pronunciata l’illegittimità della delibera condominiale del 12 novembre 2008, nella parte in cui aveva approvato il bilancio consuntivo 2007-2008, deducendo di aver corrisposto somme non correttamente riportate nello stesso.
Il giudizio così incardinato, nel quale si costituì il condominio chiedendo il rigetto della domanda, si concluse con la sentenza n. 20165-2010 del 10-13 ottobre 2010 che rigettò la domanda proposta, sul presupposto che quanto rappresentato dal condominio trovasse rispondenza negli atti di causa.
Impugnata la predetta sentenza da A.A., B.B., G.G., C.C., D.D., F.F., E.E. e I.I., la Corte d’Appello di Roma accolse il gravame con sentenza n. 3266/2018, e per l’effetto annullò, limitatamente al punto uno dell’ordine del giorno (relativo alla mancata contabilizzazione di importi superiori a quelli versati), la delibera impugnata, condannando il condominio al pagamento delle competenze di entrambi i gradi del giudizio.
2. Contro la predetta sentenza il Condominio di (Omissis), propone ricorso per cassazione sulla base di quattro motivi. Si difendono con controricorso, illustrato anche con memoria, A.A., B.B., C.C., D.D. e E.E., mentre sono rimasti intimati G.G., F.F. e I.I..

Motivi della decisione
1. Col primo motivo, si lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 100 c.p.c., con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la Corte d’Appello omesso di verificare la sussistenza dell’interesse all’azione, nonostante vi fosse tenuta ex officio e la questione fosse stata anche eccepita, interesse che, ad avviso del ricorrente, non poteva configurarsi, nè con riguardo alla posizione di E.E., per il quale non era stato indicato alcuno scarto tra gli importi dallo stesso pagati e quelli riportati in bilancio, in ciò sostanziandosi la doglianza e non anche nell’erroneità del criterio di riparto adottato, nè con riguardo alla posizione di tutti gli altri, stante l’esiguità dello scarto tra le due voci, ponendosi l’azione esercitata in contrasto con la regola della correttezza e buona fede e la garanzia del giusto processo e della durata ragionevole sancite dalla Cost., art. 111.
2. Col secondo motivo, si lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 163 c.p.c., con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere i giudici di merito ritenuto ammissibile la domanda proposta dai condòmini, nonostante ne fosse stata eccepita la genericità, avendo i predetti lamentato lo scarto esistente tra quanto pagato e quanto contabilizzato, senza specificare la data e la causale dei pagamenti, aspetto questo che rendeva impossibile al condominio approntare la propria difesa, posto che i pagamenti in esubero potevano essere stati accreditati nelle gestioni separate che si ponevano accanto a quella ordinaria.
3. Col terzo motivo, si lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la Corte d’Appello affermato che il condominio non aveva dimostrato l’assunto secondo cui le somme non riportate nel bilancio consuntivo generale erano state inserite e imputate nei bilanci di gestione separate, non avendo prodotto i relativi bilanci e avendo versato soltanto preventivi e piani di riparto per spese legali e lavori ascensori propedeutici ad una successiva approvazione assembleare della quale non vi era traccia, come riconosciuto dalla stessa parte appellante. Ad avviso del ricorrente, la Corte aveva errato, in quanto aveva posto a carico del condominio l’onere di dimostrare eventuali pagamenti delle spese condominiali afferenti alla gestione ordinaria 2007-2008, mentre questo gravava sui condomini, i quali, peraltro, non potevano provare ciò che non avevano, prima ancora, dedotto, sicchè i bollettini di pagamento e le ricevute di bonifico prodotte senza indice e senza alcuna memoria illustrativa non erano idonei allo scopo, oltre a scontrarsi con le osservazioni formulate nella memoria ex art. 183 c.p.c., nella quale era stato rilevato come diverse somme contestate avessero come causale pagamenti per esercizi precedenti o imputabili all’ascensore, agli onorari dell’architetto o alle spese legali. La stessa Corte d’Appello aveva, infine, riconosciuto in sentenza la presenza di gestioni separate, neppure contestata dai condomini, che si erano limitati ad esigere l’unicità del bilancio, così contraddicendosi allorchè aveva ritenuto che la prova sul punto fosse insussistente.
4. Col quarto motivo, si lamenta, infine, la violazione e falsa applicazione dell’art. 92 c.p.c., con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere i giudici di merito condannato il condominio alle spese del giudizio anche di E.E., benchè questo non avesse alcun interesse sul motivo di appello accolto, rispetto al quale era, invece, rimasto soccombente. Anche per gli altri attori la pronuncia sulle spese era illegittima, posto che il secondo e il quarto motivo d’appello erano stati dichiarati inammissibili e che il primo avanzato in primo grado non era stato impugnato, determinando il passaggio in giudicato della pronuncia sul punto. Pertanto, i giudici di merito, pur potendo condannare alla rifusione totale o parziale delle spese di lite anche in caso di soccombenza reciproca, avrebbero dovuto motivare sul punto, ciò che, nella specie, non era accaduto.
5. Deve preliminarmente dichiararsi l’infondatezza dell’eccezione di improcedibilità del ricorso, formulata dai controricorrenti con riguardo alla posizione di F.F., deceduto nelle more, essendo stata la notifica eseguita presso il procuratore, con conseguente sua inesistenza.
Sul punto, trova, infatti, applicazione il principio espresso da Sez. U, 18/06/2010, n. 14699, secondo cui l’atto di impugnazione della sentenza, nel caso di morte della parte vittoriosa (o parzialmente vittoriosa) deve essere rivolto agli eredi indipendentemente sia dal momento in cui il decesso è avvenuto, sia dall’eventuale ignoranza dell’evento, anche se incolpevole, in capo al soccombente; detta notifica – che può sempre essere effettuata personalmente ai singoli eredi – può anche essere rivolta agli eredi in forma collettiva ed impersonale purchè entro l’anno dalla pubblicazione della sentenza (comprensivo dell’eventuale periodo di sospensione feriale): a) nell’ultimo domicilio della parte defunta; b) ovvero, nel solo caso di notifica della sentenza ad opera della parte deceduta dopo la notifica, nei luoghi di cui all’art. 330, comma 1, c.p.c., secondo cui l’impugnazione deve essere notificata, nel caso di dichiarazione di residenza o elezione di domicilio nella circoscrizione del giudice che ha pronunciato la sentenza, in uno dei predetti luoghi o, altrimenti, presso il procuratore costituito, ai sensi dell’art. 170, c.p.c., o nella residenza dichiarata o nel domicilio eletto per il giudizio.
La particolarità della disposizione dettata per l’ipotesi in cui sia stata effettuata la notifica della sentenza impugnata – che identifica il luogo della notificazione tra quelli risultanti dal comma 1 della norma – appare, infatti, giustificata, ad avviso di Cass., Sez. 3, 04/07/2007, n. 15123, dalla circostanza che l’impugnazione viene, in tal caso, esercitata in relazione ad un’attività, quella di notificazione della sentenza, eseguita da poco tempo dalla stessa parte defunta, essendo maggiormente appropriato che, quando sia fatta, in quel momento, la dichiarazione di residenza o l’elezione di domicilio o, in difetto, sia presente un procuratore eletto quale domiciliatario, la notificazione collettiva e impersonale sia eseguita in quei luoghi, piuttosto che nell’ultimo domicilio del defunto stesso.
Nella specie, risulta che la sentenza emessa dalla Corte d’Appello sia stata notificata il 29/6/2018 proprio a cura del difensore dei condòmini, sicchè correttamente la notifica del ricorso è stata eseguita presso il procuratore domiciliatario, con conseguente infondatezza dell’eccezione.
6. Il primo motivo è parzialmente fondato.
Va innanzitutto evidenziato come, alla stregua di quanto chiaramente detto nella sentenza impugnata, i condomini appellanti avessero lamentato, fin dal primo grado del giudizio, di avere corrisposto, relativamente al periodo 2007-2008, somme ben maggiori di quelle riportate dall’amministratore nel conto consuntivo e come il condominio si fosse difeso, affermando che alcune somme non fossero rinvenibili nel bilancio consuntivo generale in quanto inserite e imputate in altra sede, ossia nei bilanci di gestioni separate, aventi ad oggetto, tra l’altro, lavori sugli ascensori e controversie legali.
Orbene, analizzando la posizione di E.E. deve escludersi che sussistesse un suo interesse in ordine alla suddetta pretesa, non avendo egli indicato alcuna differenza tra quanto descritto nel bilancio e quanto effettivamente pagato.
Ciò comporta che, rispetto ad esso, difettasse effettivamente l’interesse ad agire, dovendo trovare applicazione il principio, espresso da questa Corte, secondo cui il condomino che intenda impugnare una delibera dell’assemblea, per l’assunta erroneità della disposta ripartizione delle spese, deve allegare e dimostrare di avervi interesse, interesse che presuppone la derivazione dalla detta deliberazione di un apprezzabile pregiudizio personale, in termini di mutamento della sua posizione patrimoniale (Cass., Sez. 6-2, 9/3/2017, n. 6128), aspetto questo non evidenziato nella specie.
Diversa la posizione, invece, degli altri condomini, rispetto ai quali non sussiste la lamentata improcedibilità.
In proposito, questa Corte non ignora il principio, più volte affermato, secondo cui l’interesse a proporre l’azione esecutiva, quando abbia ad oggetto un credito di natura esclusivamente patrimoniale, nemmeno indirettamente connesso ad interessi giuridicamente protetti di natura non economica, al pari di quello che deve sorreggere l’azione di cognizione, non possa ricevere tutela giuridica se l’entità del valore economico è oggettivamente minima e quindi tale da giustificare il giudizio di irrilevanza giuridica dell’interesse stesso, senza che per questo sia configurabile la violazione della Cost., art. 24, che, tutelando il diritto di azione, non esclude certamente che la legge possa richiedere, nelle controversie meramente patrimoniali, un limite di valore economico che giustifichi l’accesso al giudice, costituendo la giurisdizione risorsa statuale limitata e potendo dunque la legge, esplicitamente e implicitamente, limitare il ricorso ad essa, onde garantire la durata ragionevole del processo ex Cost., artt. 111 e 6 CEDU, sia per i processi di cognizione, sia per quelli connessi di esecuzione (in questi termini Cass., Sez. 3, 3/3/2015, n. 4228; Cass., Sez. 3, 5/11/2020, n. 24691).
Tuttavia, come pure sostenuto da questa Corte, da questa esatta constatazione non può derivare la richiesta di affidare al giudice il compito di stabilire in via pretoria limitazioni all’accesso al giudizio di legittimità, in un sistema – quale quello consacrato dalla Costituzione – nel quale la giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge e ammette sempre il diritto di ricorrere per cassazione avverso le sentenze per violazione di legge (Cost., art. 111), senza che l’esercizio di questo diritto dipenda dal, o sia legato al, valore economico della controversia (vedi Cass., Sez.2, 14/10/2021, n. 28077), il quale, peraltro, non è, nella specie, neppure oggettivamente minimo, ove si considerino cumulativamente le pretese di ciascuno dei condomini, siccome indicative di un modus operandi dell’amministratore nella generale iscrizione dei pagamenti in bilancio idonee a sorreggere l’interesse, giuridicamente apprezzabile, ad una verifica giudiziale della sua correttezza. E ciò a maggior ragione ove si consideri che la delibera condominiale di approvazione della spesa costituisce titolo sufficiente del credito del condominio, atta a legittimare non solo la concessione del decreto ingiuntivo, ma anche la condanna del condomino a pagare le somme nel processo oppositorio a cognizione piena ed esauriente, il cui ambito è ristretto alla verifica della (perdurante) esistenza della deliberazione assembleare di approvazione della spesa e di ripartizione del relativo onere (Cass. Sez. U., 18/12/2009, n. 26629; Cass. Sez. 2, 23/02/2017, n. 4672).
Ciò significa che, nonostante il limitato valore delle pretese di ciascuno dei predetti condomini, non possa che ritenersi sussistente l’interesse all’impugnazione della delibera, essendo per essi ravvisabile quel pregiudizio personale, in termini di mutamento della loro posizione patrimoniale, posto a giustificazione della domanda.
Ne consegue la fondatezza della doglianza limitatamente alla posizione di E.E. e l’infondatezza con riguardo alle altre posizioni.
7. Il secondo e il terzo motivo, da trattare congiuntamente in quanto strettamente connessi, sono infondati.
L’art. 1130-bis c.c. stabilisce, infatti, che il rendiconto condominiale, composto da “un registro di contabilità, da un riepilogo finanziario, nonchè da una nota sintetica esplicativa della gestione con l’indicazione anche dei rapporti in corso e delle questioni pendenti”, deve contenere “le voci di entrata e di uscita e ogni altro dato inerente alla situazione patrimoniale del condominio, ai fondi disponibili e alle eventuali riserve, che devono essere espressi in modo da consentire l’immediata verifica”.
In proposito, questa Corte ha avuto modo di affermare che le “voci di entrata e di uscita” sono costituite dagli incassi e dai pagamenti eseguiti, in rapporto alle relative manifestazioni finanziarie, avendo riguardo al risultato economico dell’esercizio annuale, secondo il c.d. principio di cassa (Cass., Sez. 2, 09/05/2011, n. 10153), in virtù del quale, i crediti vantati dal condominio verso il singolo condomino vanno inseriti nel consuntivo relativo all’esercizio in pendenza del quale sia avvenuto il loro accertamento (in questi termini Cass., Sez. 6-2, 24/09/2020, n. 20006; Cass., Sez. 2, 4/7/2014, n. 15401), atteso che il rendiconto, in forza di un principio di continuità, deve partire dai dati di chiusura del consuntivo dell’anno precedente, a meno che l’esattezza e la legittimità di questi ultimi non siano state negate con sentenza passata in giudicato (Cass., Sez. 6-2, 24/09/2020, n. 20006, cit.).
Sempre secondo Cass., Sez. 6-2, 24/09/2020, n. 20006, il rendiconto consuntivo per successivi periodi di gestione, che, nel prospetto dei conti individuali per singolo condomino, riporti tutte le somme dovute al condominio, comprensive delle morosità relative alle annualità precedenti, una volta approvato dall’assemblea, può essere impugnato ai sensi dell’art. 1137 c.c., in quanto costituirebbe altrimenti esso stesso idoneo titolo del credito complessivo nei confronti di quel singolo partecipante, pur non costituendo “un nuovo fatto costitutivo del credito” stesso (anche Cass. Sez. 2, 25/02/2014, n. 4489), stante la vincolatività tipica dell’atto collegiale stabilita dall’art. 1137, comma 1, c.c., e la conseguente sua idoneità a far insorgere l’obbligazione e la relativa prova.
La redazione del bilancio, benchè non richieda una forma rigorosa analogamente a quanto previsto per i bilanci delle società (Cass., Sez. 2, 23/01/2007, n. 1405), nè l’analitica indicazione dei nominativi dei condomini morosi nel pagamento delle quote condominiali e degli importi da ciascuno dovuti (Cass., Sez. 2, 28/1/2004, n. 1544), deve riportare, in definitiva, il corretto importo delle poste attive e passive, onde rendere intellegibili ai condomini le voci di entrata e di spesa, con le quote di ripartizione, e consentire loro di conoscerne l’esatta consistenza, determinando, altrimenti, l’omissione dei predetti dati la sua illegittimità e, a cascata, l’illegittimità della deliberazione che lo ha adottato.
Pertanto, costituendo onere dell’amministratore la corretta redazione del bilancio e derivando dalla violazione di quest’obbligo l’illegittimità del bilancio e conseguentemente della delibera che lo ha approvato, non può che gravare sul condominio l’onere di provare di avere operato secondo le indicazioni di legge, approvando un rendiconto correttamente redatto, e al condomino che vi si oppone di dimostrare la scorrettezza dei dati ivi riportati, anche attraverso la produzione della documentazione giustificativa delle maggiori somme corrisposte, onde ottenere l’annullamento della decisione assembleare.
Nella specie, i giudici di merito non hanno affatto violato i principi testè enunciati, allorchè hanno asserito che le deduzioni difensive del condominio circa l’iscrizione delle poste attive nei bilanci di gestione separati erano rimaste indimostrate, per non avere questo prodotto detti documenti, ma soltanto preventivi e piani di riparto per spese legali e lavori sugli ascensori, meramente propedeutici ad una successiva approvazione assembleare non dimostrata, avendo sostanzialmente escluso che il condominio avesse assolto all’onere probatorio sullo stesso gravante.
Nè può dirsi erroneamente resa la decisione con riferimento alla ritenuta (implicita) ammissibilità della domanda dei condomini, benchè questi non avessero elencato con precisione, nell’atto di citazione, i pagamenti eseguiti e indicato le relative causali e date, atteso che la mancata indicazione della causale del pagamento, da parte del condomino, non consente all’amministratore di procedere alla sua libera imputazione, operando al riguardo i criteri di imputazione dettati dall’art. 1193 c.c., i quali postulano, per l’appunto, l’esistenza di una pluralità di rapporti obbligatori della medesima specie in capo ad un unico debitore (vedi Cass., Sez. 3, 15/2/2005, n. 2977).
Il quarto motivo è assorbito ai sensi dell’art. 336, comma 1, c.p.c., a mente del quale la cassazione parziale ha effetto anche sulle parti della sentenza dipendenti da quella cassata (cosiddetto effetto e Spa nsivo), con conseguente estensione della caducazione della pronuncia impugnata alla statuizione relativa alle spese processuali (vedi Cass., Sez. U, 4/7/2003, n. 10615).
Ciò significa che l’accoglimento parziale del primo motivo, non può che riverberare i suoi effetti, in punto di spese, sulla posizione di E.E., senza intaccare però la condanna del condominio nei confronti degli altri condomini, non essendo essi soccombenti.
Con riguardo alla posizione degli stessi, va, peraltro, osservato come, in tema di condanna alle spese processuali, il principio della soccombenza vada inteso nel senso che soltanto la parte interamente vittoriosa non può essere condannata, nemmeno per una minima quota, al pagamento delle spese stesse, sicchè, con riferimento al loro regolamento, il sindacato della Corte di cassazione è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte vittoriosa, esulando, invece, da tale sindacato, siccome rientrante nel potere discrezionale del giudice di merito, sia la valutazione dell’opportunità di provvedere alla loro totale o parziale compensazione, tanto nell’ipotesi di soccombenza reciproca, quanto nell’ipotesi di concorso con altri giusti motivi, sia provvedere alla loro quantificazione, senza eccedere i limiti (minimi, ove previsti e) massimi fissati dalle tabelle vigenti (in questi termini, Cass., Sez. 1, 4/8/2017, n. 19613).
Pertanto, nessuna motivazione deve sorreggere la statuizione di condanna di cui trattasi, essendo la stessa necessitata dalla regola generale dettata dall’art. 91 c.p.c., e il margine di impugnazione è correlativamente limitato solo al rispetto di quella regola, mentre deve essere motivato, e può essere censurato, il solo esercizio della facoltà discrezionale attribuita al giudice dall’art. 92 c.p.c., che consente di derogare alla regola generale della soccombenza nelle ipotesi espressamente previste dalla legge, con il correttivo di cui alla sentenza n. 77 del 2018 della Corte Costituzionale (in questi termini Cass., Sez. 1, 13/2/2020, n. 3641, non massimata).
Nella specie, la Corte d’appello la Corte d’Appello di Roma ha condannato il condominio alle spese di lite in ragione della sua soccombenza, sicchè non aveva alcun onere di motivare per non avere compensato neppure parzialmente le spese del giudizio.
9. In conclusione, dichiarata la parziale fondatezza del primo motivo, l’infondatezza del secondo e terzo e l’assorbimento ex art. 336, comma 1, c.p.c. del quarto, la sentenza impugnata deve essere cassata con riguardo al motivo accolto e, decidendo nel merito, deve escludersi la condanna alle spese di E.E.. Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza e devono essere poste a carico del ricorrente.

P.Q.M.
Accolto il primo motivo di ricorso nei limiti di cui in motivazione, respinti il secondo e il terzo e assorbito ex art. 336, comma 1, c.p.c., il quarto, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, esclude la condanna alle spese di E.E..
Condanna il ricorrente al pagamento, in favore dei controricorrenti, ad eccezione di E.E., delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 800,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente del contributo unificato previsto per il ricorso a norma dell’art. 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Conclusione
Così deciso in Roma, il 21 marzo 2023.
Depositato in Cancelleria il 7 aprile 2023