Presunzione di condominialità del sottoscala

CORTE DI CASSAZIONE
sez. II civ, sent. n. 18287/2016

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione notificato il 7 ottobre 1998 la signora C.T., premesso che con atto 5/6/98 aveva acquistato dalla signora S.D.A. un appartamento al primo piano ed un locale ripostiglio al piano terra di uno stabile in Padova (omissis) lamentava che i condòmini A.R. e R.G., proprietari degli appartamenti posti al secondo e al terzo piano del medesimo stabile, pretendevano di avere diritti sul suddetto ripostiglio al pianoterra e di poterlo utilizzare come comune ai tre appartamenti dell’’edificio e, pertanto, li conveniva davanti al pretore di Padova per sentirli condannare a restituire detto locale ripostiglio e a risarcire il danno subito per la mancata disponibilità del medesimo. I convenuti resistevano alla domanda assumendo che detto ripostiglio era di proprietà condominiale, trattandosi di vano sottoscala, ed era stato costantemente utilizzato come locale di sgombero al servizio di tutti gli appartamenti dello stabile.
Nel corso del giudizio di primo grado intervenivano in causa anche la signora S.D.A., aderendo alla domanda dell’attrice e chiedendo che i convenuti fossero condannati a versarle a titolo risarcitorio la somma di 15 milioni di lire, corrispondente allo sconto da lei praticato alla T. in ragione dell’illecita occupazione del vano di cui si tratta da parte dei convenuti stessi. Il tribunale, frattanto succeduto alla pretura, accolse le domande degli attori e dell’intervenuta. La corte d’appello di Venezia, adita dai convenuti, ha ribaltato la decisione di primo grado sulla scorta di una duplice argomentazione: in primo luogo, secondo la corte territoriale, la presunzione di condominialità fissata dall’articolo 1117 c.c. per le scale (implicitamente ritenuta estesa anche ai vani sottoscala) non risultava, nella specie, vinta da un titolo e, in particolare, al contrario di quanto ritenuto dal primo giudice, non risultava vinta dal rogito 21/12/87 (con cui la signora L.M., dante causa della signora S.D.A., aveva acquistato dall’originario proprietario dell’intero fabbricato l’immobile attualmente in proprietà T.) e dalle planimetrie al medesimo allegate; né, sotto altro aspetto, la suddetta presunzione di condominialità risultava superata dalle risultanze della c.t.u., nella quale, si legge nella sentenza gravata, la cessione del sottoscala in proprietà individuale alla M. risulterebbe “semplicemente ipotizzata”; in secondo luogo, secondo la corte territoriale, l’appartenenza del sottoscala alla proprietà condominiale doveva affermarsi per il rilievo che, quand’anche nell’acquisto della M. tale sottoscala fosse contemplato, ciò sarebbe irrilevante, perché il condominio (comprendente il vano in questione) si era costituito con la vendita al signor S. dell’appartamento al secondo piano. Tale vendita era stata stipulata nel corpo del medesimo rogito 21/12/87, con il quale le originarie proprietarie dell’intero fabbricato avevano venduto l’appartamento al secondo piano allo S. e quello al primo piano alla M., ma la vendita allo S. precedeva, nel corpo dell’atto notarile, quella alla M. ed era stata trascritta prima di quest’ultima.
La sentenza di secondo grado è stata impugnata per cassazione dalle signore C.T. e S.D.A. sulla scorta dei due motivi, con i quali si censurano, rispettivamente, i due argomenti posti dalla corte territoriale a fondamento della propria decisione. In particolare, con il primo motivo, riferito all’articolo 360 c.p.c. n. 3 (in relazione all’articolo 1117 c.c.) e n. 5, le ricorrenti censurano l’interpretazione del rogito 21/12/87 offerta dalla corte lagunare, affermando che la stessa sarebbe incorsa in errore nel ritenere che da tale rogito non emerga che l’acquisto della signora M. comprendeva anche il sottoscala. Col secondo motivo, riferito all’articolo 360 c.p.c. n. 3 (in relazione all’articolo 2644 c.c.) e n. 5, le ricorrenti affermano che la corte lagunare avrebbe errato nell’applicare l’articolo 2644 c.c. per regolare i rapporti tra lo S. e la M., giacché tale disposizione disciplina gli effetti della trascrizione riguardo ai terzi, mentre lo S. e la M. erano parti del medesimo atto. I signori A.R. e R.G. si sono costituiti con controricorso. Il ricorso è stato discusso alla pubblica udienza del 4.5.16, per la quale entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative ex art. 378 c.p.c. e nella quale il Procuratore Generale ha concluso come in epigrafe.

MOTIVI DELLA DECISIONE
Il primo motivo di ricorso va disatteso. La corte distrettuale – ritenuto implicitamente, con un giudizio di diritto non impugnato dalle ricorrenti, che la presunzione di condominialità fissato dall’articolo 1117 c.c. per le scale si estenda anche ai vani sottostanti le stesse – ha escluso che, nella specie, il rogito 21/12/87 costituisse titolo idoneo a vincere la presunzione di condominialità del vano sottoscala per cui è causa, affermando, con un giudizio di fatto avente ad oggetto l’interpretazione del suddetto rogito, che la vendita del contestato sottoscala non potesse desumersi né dai relativo testo, né tantomeno dalle allegate planimetrie. Le ricorrenti dissentono da tale interpretazione, ma non denunciano specifici vizi logici o specifiche violazioni delle regole di ermeneutica contrattuale, limitandosi a contrapporre all’interpretazione della corte d’appello quella, adottata dal tribunale, da loro ritenuta preferibile. Il motivo di ricorso va quindi giudicato inammissibile, perché attinge non il ragionamento interpretativo ma l’esito a cui tale ragionamento è pervenuto; laddove, come ancora di recente ribadito da questa Corte, in tema di interpretazione del contratto, il sindacato di legittimità non può investire il risultato interpretativo in sé, che appartiene all’ambito dei giudizi di fatto riservati al giudice di merito, ma afferisce solo alla verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica e della coerenza e logicità della motivazione addotta, con conseguente inammissibilità di ogni critica alla ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si traduca in una diversa valutazione degli stessi elementi di fatto da questi esaminati (sent. n. 2465/15). Poiché la ragione del decidere attinta col primo motivo è autonomamente idonea a sorreggere la decisione, dal rigetto di tale motivo discende la cessazione dell’interesse delle ricorrenti all’esame del secondo, attinente alla seconda ratio decidendi della sentenza gravata (cfr. Cass. 2108/12: “Qualora la decisione di merito si fondi su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte e autonome, singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, la ritenuta infondatezza delle censure mosse ad una delle rationes decidendi rende inammissibili, per sopravvenuto difetto di interesse, le censure relative alle altre ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime non potrebbero comunque condurre, stante l’intervenuta definitività delle altre, alla cassazione della decisione stessa”).
Il ricorso va quindi, in definitiva, rigettato. Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente a rifondere al contro ricorrente le spese del giudizio di cassazione, che liquida in euro 2000, oltre euro 200 per esborsi ed oltre accessori di legge.