Il coniuge disoccupato ma con immobili deve pagare il mantenimento

CORTE DI CASSAZIONE
Sez. VI civ., ord. 17.5.2016, n. 10099

FATTO E DIRITTO
In un procedimento di divorzio tra U.G.A. e D.C., la Corte d’Appello di Lecce, Sezione distaccata di Taranto, con sentenza in data 30/9/2013, confermava la pronuncia di primo grado, liquidando alla moglie assegno di 310 mensili.
Ricorre per cassazione il marito. Resiste con controricorso la moglie.
Il ricorrente lamenta che nelle more processuali vi sarebbe stata una modifica delle sue condizioni economiche in senso peggiorativo (e cioè egli stesso avrebbe cessato ogni attività lavorativa).
Giurisprudenza consolidata (tra le altre, Cass. n. 2184 del 2009; 3325 del 2012) afferma che tali sopravvenienze, per ragioni di economia processuale potrebbero essere considerate dal giudice di appello nella pronuncia di separazione o divorzio. In tal senso il ricorso appare ammissibile, diversamente da quanto sostenuto dalla ricorrente.
Tuttavia il ricorso stesso appare infondato.
Con motivazione adeguata e non illogica, il giudice a quo chiarisce che, pur prescindendo dalla circostanza non provata che il marito si sia reso impossidente in vista del futuro divorzio, è certo che i suoi possedimenti, riportati nelle denunce dei redditi e nella relazione catastale prodotta dalla moglie, necessitino di capacità di reddito, anche ai soli fini del loro mantenimento; la Corte di merito presume che da alcuni di essi egli tragga rendite locatizie (o comunque ne potrebbe trarre) che gli consentano un adeguato sostentamento.
Prosegue il Giudice a quo evidenziando che la moglie, dopo la separazione, si è adattata a svolgere lavori precari e poco remunerativi, come bracciante agricola, e che ciò non ha certo eliminato il divario economico tra le parti, desumibile dalla capacità di reddito del marito, fondato sia sulla notevole competenza del suo lavoro di mastro-muratore, che è riuscito, nel corso degli anni, ad investire i propri guadagni in unità abitative e in terreni, sia sulle sue precedenti dichiarazioni dei redditi.
Va pertanto rigettato il ricorso.
Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in euro 3.100 comprensive di euro 100 per esborsi, oltre spese forfettarie ed accessori di legge.