Impugnazione del regolamento e contraddittorio dei condomini
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANNA Felice – Presidente –
Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –
Dott. SCARPA Antonio – rel. Consigliere –
Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –
Dott. AMATO Cristina – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 36615/2018 R.G. proposto da:
A.A., rappresentato e difeso dall’avvocato CAMI PIETRO;
– ricorrente –
Contro
CONDOMINIO (Omissis), elettivamente domiciliato in ROMA VIA COLA DI RIENZO, 279, presso lo studio dell’avvocato GIOFFRE’ GIUSEPPE FRANCESCO, rappresentato e difeso dall’avvocato RISICA FRANCA;
– controricorrente –
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di MESSINA n. 434/2018 depositata il 10/05/2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 07/06/2023 dal Consigliere ANTONIO SCARPA.
Svolgimento del processo – Motivi della decisione
1. A.A. ha proposto ricorso articolato in due motivi avverso la sentenza n. 434/2018 della Corte d’appello di Messina, pubblicata il 10 maggio 18.
Resiste con controricorso il Condominio (Omissis).
2. La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, a norma dell’art. 375 c.p.c., commi 2 e 4-quater, e art. 380 bis.1 c.p.c., nel testo applicabile ratione temporis del D.Lgs. n. 149 del 2022, ex art. 35.
Le parti hanno depositato memorie.
3. La Corte d’appello di Messina ha parzialmente accolto il gravame di A.A. contro la sentenza resa il 26 marzo 2015 dal Tribunale di Messina, che aveva respinto l’opposizione al decreto ingiuntivo n. 745/2011 intimato al A.A. dal Condominio (Omissis) per la riscossione di spese condominiali dell’importo di Euro 10.915,61. La Corte d’appello di Messina ha considerato che, avendo A.A. alienato nel 2007 (una il 28 maggio 2007 e altra il 5 novembre 2007) le unità immobiliari di sua proprietà comprese nel Condominio is. 301/bis n. 21, quest’ultimo non poteva ottenere nel 2011 decreto ingiuntivo ai sensi dell’art. 63 disp. att. c.c. Non di meno, l’importo ingiunto risultava comunque dovuto dall’ex condomino in forza della deliberazione assembleare 12 ottobre 2007, che aveva approvato il consuntivo per gli esercizi 2005 e 2006, nonchè l’esecuzione di lavori straordinari, ed in forza della deliberazione del 5 marzo 2008, che aveva approvato il consuntivo della gestione 2007 e ripartito le spese straordinarie disposte con la precedente Delib.. I giudici di secondo grado hanno inoltre sostenuto che non potessero essere considerate nel giudizio di opposizione a decreto, stante la mancata impugnazione delle deliberazioni di approvazione della ripartizione delle spese ingiunte, le doglianze del A.A. inerenti alla nullità o inesistenza del regolamento condominiale e delle tabelle millesimali approvati il 31 luglio 1961, contenenti anche esoneri di alcuni condomini dalle spese, ed alla conseguente nullità delle delibere stesse poste a base della ingiunzione di pagamento. La Corte di Messina ha così condannato il A.A. al pagamento della somma di Euro 10.915,61, oltre interessi.
4. Il primo motivo del ricorso di A.A. deduce la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e degli artt. 1138 e 1123 c.c.. La censura sostiene che avrebbe errato la Corte d’appello ad escludere le lamentate nullità del regolamento e delle deliberazioni assembleari dedotte in lite, giacchè “l’avviso di convocazione dell’assemblea del presunto condominio del 31 luglio 1961 lo aveva prodotto lo scrivente e certo non come prova a sè sfavorevole; (…) la circostanza, che in nessuno degli atti di causa del Condominio si sia contestata la ricostruzione dei fatti svolta dallo scrivente in ordine all’approvazione del regolamento di condominio; ossia, che il condominio di via A. Valore era disciplinato da un regolamento assembleare approvato in data 31 luglio 1961 (…); in tale data il condominio non era ancora esistente; (…) (d)all’esposta inesistenza del regolamento condominiale e delle tabelle millesimali allegate discende l’inesistenza della Delib. posta alla base dell’emesso decreto ingiuntivo e/o comunque l’inesistenza di qualsivoglia debito del Prof. A.A. nei confronti del condominio, visto che le delibere, su cui si fondava la pretesa, erano delibere approvate da un’assemblea, che ha applicato una ripartizione delle spese fondata su un regolamento condominiale come detto inesistente e con l’applicazione di tabelle millesimali, che facendo parte dell’inesistente regolamento condominiale sono da considerare inesistenti”; (…) soprattutto, esiste negli atti di causa, il riconoscimento da parte del Condominio, che il regolamento condominiale con le allegate tabelle, sia stato approvato (nel (Omissis)), in epoca antecedente alla costituzione del Condominio ((Omissis)): (…) che il regolamento di condominio approvato nel (Omissis), fosse nullo e/o inesistente, emerge, non solo da tutti gli atti di causa del condominio, in cui mai si contesta ciò, ma anche dalla mancata contestazione delle raccomandate inviate nel corso del tempo dal prof. A.A. al Condominio”.
Il secondo motivo di ricorso allega la violazione degli artt. 1138 e 1123 c.c. e dell’art. 116 c.p.c., comma 1. Qui si ribadisce che “non esiste e/o è nullo alcun regolamento”, essendo inesistente il condominio quando si svolse l’assemblea del (Omissis).
I due motivi di ricorso vanno esaminati congiuntamente e sono infondati nella sostanza, oltre che connotati da diffusi profili di inammissibilità.
Sono inammissibili le censure riferite agli artt. 115 e 116 c.p.c. In tema di ricorso per cassazione, per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c. (Cass. Sez. Unite, n. 20867 del 2020).
Altrettanto inammissibili sono le censure volte ad accertare la nullità del regolamento di condominio, in rapporto a clausole di natura convenzionale relative alla ripartizione delle spese, essendo tale pretesa da azionare non già nei confronti dell’amministratore, carente di legittimazione passiva, ma da uno o più condomini nei confronti di tutti altri, in situazione di litisconsorzio necessario, trattandosi, da un punto di vista strutturale, di un contratto plurilaterale avente scopo comune (Cass. n. 6656 del 2021).
Occorre poi ribadire che nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo concernente il pagamento di contributi per spese, il condominio soddisfa l’onere probatorio su esso gravante con la produzione del verbale dell’assemblea condominiale in cui sono state approvate le spese, nonchè dei relativi documenti. Il giudice, pronunciando sul merito, emette una sentenza favorevole o meno, a seconda che l’amministratore dimostri che la domanda sia fondata, e cioè che il credito preteso sussiste, è esigibile e che il condominio ne è titolare. La Delib. condominiale di approvazione della spesa costituisce, così, titolo sufficiente del credito del condominio e legittima non solo la concessione del decreto ingiuntivo, ma anche la condanna del condomino a pagare le somme nel processo oppositorio a cognizione piena ed esauriente, il cui ambito è ristretto alla verifica della (perdurante) esistenza della deliberazione assembleare di approvazione della spesa e di ripartizione del relativo onere. Il giudice deve quindi accogliere l’opposizione solo qualora la Delib. condominiale abbia perduto la sua efficacia, per esserne stata l’esecuzione sospesa dal giudice dell’impugnazione, ex art. 1137 c.c., comma 2, o per avere questi, con sentenza sopravvenuta alla decisione di merito nel giudizio di opposizione ancorchè non passata in giudicato, annullato la deliberazione.
La valenza probatoria delle deliberazioni di approvazione e ripartizione delle spese permane anche nei confronti di chi abbia poi venduto l’unità immobiliare (come avvenuto nel caso in esame), precludendo tale vicenda soltanto l’emissione, nei confronti dell’alienante – che non è più condomino – di decreto ingiuntivo immediatamente esecutivo, ex art. 63 disp. att. c.c., comma 1 (Cass. n. 15547 del 2017).
In particolare, l’obbligo del condomino di contribuire alle spese necessarie per la conservazione e per il godimento delle parti comuni dell’edificio, nonchè per la prestazione dei servizi nell’interesse comune, sorge già nel momento del compimento dell’attività di gestione (e dunque nei confronti di chi sia condomino in tale epoca), e non invece nel momento successivo in cui le stesse spese siano poi approvate e ripartite in sede di consuntivo. Quanto, invece, alle spese per l’esecuzione di lavori consistenti in innovazioni, straordinaria manutenzione o ristrutturazione delle parti comuni, esse gravano su chi sia condomino al momento dell’approvazione delle delibere che abbiano approvato l’intervento. Nel caso in esame, la pretesa di riscossione era fondata sulla deliberazione assembleare del 12 ottobre 2007, che aveva approvato il consuntivo per gli esercizi 2005 e 2006, nonchè l’esecuzione di lavori straordinari, e sulla Delib. 5 marzo 2008, che aveva approvato il consuntivo della gestione 2007 e ripartito le spese straordinarie disposte con la precedente Delib.. Risulta accertato che A.A. era stato condomino fino al 5 novembre 2007, allorchè aveva alienato la seconda unità immobiliare di sua proprietà compresa nel Condominio (Omissis) (la prima era stata venduta il (Omissis)).
La motivazione della sentenza impugnata va unicamente corretta in parte quanto al sindacato di validità sulla Delib. assembleare posta a fondamento del decreto ingiuntivo intimato dal condominio.
Alla stregua dei principi enunciati da Cass. Sez. Unite 14 aprile 2021, n. 9839, nel giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo emesso per la riscossione di contributi condominiali, il giudice può sindacare sia la nullità dedotta dalla parte o rilevata d’ufficio della deliberazione assembleare posta a fondamento dell’ingiunzione, sia l’annullabilità di tale deliberazione, a condizione che quest’ultima sia dedotta mediante apposita domanda riconvenzionale di annullamento contenuta nell’atto di citazione, ai sensi dell’art. 1137 c.c., comma 2; ne consegue l’inammissibilità, rilevabile d’ufficio, dell’eccezione con la quale l’opponente deduca soltanto vizi comportanti l’annullabilità della deliberazione assembleare posta a fondamento dell’ingiunzione senza chiedere una pronuncia di annullamento.
L’allegazione che le delibere di approvazione e riparto delle spese Delib. 12 ottobre 2007 e Delib. 5 marzo 2008, su cui fondava il credito del Condominio is. (Omissis) verso A.A., sarebbero invalide, perchè conformi a un regolamento di condominio o a tabelle millesimali “inesistenti” (anche sotto il profilo dell’esonero dal concorso nelle spese dei “proprietari delle botteghe”, ripreso nella memoria depositata dal ricorrente), serve comunque a prospettare soltanto un vizio di annullabilità delle stesse, alla stregua dei principi enunciati dalla medesima sentenza n. 9839 del 2021, in quanto non viene dedotta una modificazione dei criteri legali di suddivisione dei contributi da valere per il futuro, quanto una erronea ripartizione in concreto in violazione di detti criteri. Tale vizio non poteva, pertanto, essere sindacato dal giudice in sede di opposizione al decreto ingiuntivo emesso per la riscossione dei contributi condominiali fondati su tali delibere, in mancanza di apposita domanda riconvenzionale di annullamento ex art. 1137 c.c., con conseguente infondatezza delle censure rivolte dal ricorrente.
Il ricorso va perciò rigettato, regolandosi secondo soccombenza in favore del controricorrente le spese del giudizio di cassazione nell’ammontare liquidato in dispositivo.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, -, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a rimborsare al controricorrente le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 2.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis se dovuto.
Conclusione
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, il 7 giugno 2023.
Depositato in Cancelleria il 19 luglio 2023