Demolizione e ricostruzione

Pubblicato il 15/02/2021
N. 01339/2021REG.PROV.COLL.
N. 06025/2020 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 6025 del 2020, proposto dal Comune di Corato, in persona
del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Michele Dionigi, con domicilio
digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
la società Green Building s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e
difesa dagli avvocati Domenico Greco e Michele De Palma, con domicilio digitale come da PEC da
Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio del primo in Roma, via Giuseppe Gioachino
Belli, n. 60;
nei confronti
della Regione Puglia, in persona del legale rappresentante pro tempore, e del sig. Cataldo
D’Introno, non costituiti in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia – Sede di Bari, Sezione Terza,
n. 58 del 21 gennaio 2020, resa tra le parti, concernente un annullamento in autotutela di una s.c.i.a.
rilasciata in alternativa al permesso di costruire relativamente ad un intervento straordinario di
demolizione e ricostruzione con bonus volumetrico.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio della società Green Building s.r.l.;
Visti tutti gli atti della causa;
Viste le note di udienza depositate dal Comune di Corato e dalla società Green Building s.r.l.
rispettivamente in data 5 gennaio 2021 e 7 gennaio 2021;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 14 gennaio 2021, svoltasi da remoto ai sensi dell’art. 25
d.l. n. 137 del 2020, convertito con l. n. 176 del 2020, il Cons. Luca Lamberti;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. Con la sentenza indicata in epigrafe, il T.a.r. per la Puglia ha accolto il ricorso, integrato da
motivi aggiunti, svolto dalla società odierna appellata avverso:
– l’ordinanza dirigenziale del Comune di Corato n. 7 del 13 febbraio 2019, recante l’annullamento
in autotutela della s.c.i.a. alternativa a permesso di costruire presentata dalla società in data 21
giugno 2018 sulla base della l.r. n. 14 del 2009 (“Misure straordinarie e urgenti a sostegno
dell’attività edilizia e per il miglioramento della qualità del patrimonio edilizio residenziale”) per la
demolizione e la successiva ricostruzione, con bonus volumetrico, di un fabbricato residenziale
(impugnata con il ricorso introduttivo);
– la successiva nota comunale prot. n. 20342 del 16 maggio 2019, recante – a seguito di istanza di
autotutela svolta dalla società – la conferma del provvedimento impugnato (impugnata con i motivi
aggiunti).
1.1. L’atto di autotutela impugnato (e poi confermato) si fondava sull’asserito erroneo conteggio in
eccesso, da parte della società, della volumetria realizzabile.
1.2. Secondo il Comune, in particolare, la società non avrebbe computato a fini volumetrici gli spazi
qualificati come “Superfici Accessorie” (“S.A.”) dalle “definizioni uniformi” recate dal Regolamento
Edilizio Tipo (R.E.T.) elaborato a seguito di intesa in sede di Conferenza Unificata e recepito dalla
Regione Puglia: tali spazi, viceversa, si sarebbero dovuti computare, giacché il Comune non aveva
ancora adeguato al R.E.T. il proprio Regolamento edilizio, che, dunque, costituiva ancora, in tesi,
l’unico referente normativo in materia.
1.3. Il T.a.r., che già in sede cautelare aveva accolto le prospettazioni della ricorrente, ha sostenuto,
a fondamento della pronuncia di accoglimento, che:
– ai sensi della legge regionale pugliese il R.E.T. avrebbe, con decorrenza 1° gennaio 2018, carattere
direttamente applicabile in tutto il territorio regionale anche in deroga alle contrarie disposizioni
urbanistico-edilizie comunali, delle quali, dunque, non sarebbe stato necessario un espresso
adeguamento;
– di converso, i Comuni, in sede di recepimento del R.E.T., avrebbero sì “il potere di individuare le
superfici suscettibili di esclusione o meno dal calcolo della volumetria a fini edificabili”, ma il
Comune di Corato non si sarebbe ancora attivato in tal senso;
– sotto altro profilo, il R.E.T. sarebbe applicabile in toto, incluse le “definizioni uniformi” ivi
formulate.
1.4. Il T.a.r. ha, inoltre, osservato che il Comune avrebbe comunque dovuto, anziché annullare tout
court la s.c.i.a., valutare se imporre al privato misure conformative, e ciò sia perché il fabbricato
sarebbe stato ancora in corso di costruzione, sia perché, in termini generali, il potere conformativo
precederebbe sempre quello inibitorio.
2. Il Comune ha interposto appello, sostenendo, in sintesi, che:
– la s.c.i.a. annullata avrebbe mirato alla costruzione di un edificio articolato su cinque piani fuori
terra, mentre il precedente fabbricato avrebbe avuto solo due piani fuori terra;
– il R.E.T. farebbe espressamente salvo il principio di “invarianza urbanistica” e, dunque, non
prevarrebbe sui vigenti strumenti urbanistici comunali;
– le vigenti N.T.A. del P.R.G. “escludono dal computo volumetrico … solamente i volumi tecnici
esterni alla copertura dell’edificio, nel limite massimo del 2% del volume totale autorizzato”.
2.1. La società appellata si è costituita ed ha svolto le seguenti difese:
– ha eccepito l’inammissibilità dell’appello, giacché non sarebbe stato “sottoposto a critica il capo
VI della sentenza” di prime cure, “che esclude che si possa differire l’entrata in vigore di alcune
delle definizioni uniformi del RET”;- ha eccepito l’improcedibilità dell’appello, giacché con la nota prot. n. 27527 del 17 luglio 2020 il
Comune, all’esito di “un ulteriore procedimento di autotutela”, avrebbe “esercitato il potere
conformativo sulla SCIA alternativa al .p.d.c. oggetto dell’odierno giudizio”;
– ha eccepito “l’inammissibilità e/o l’improcedibilità per difetto di interesse” dell’appello, giacché il
Comune non avrebbe impugnato la deliberazione della Giunta regionale n. 1150 del 2 agosto 2019,
a tenore della quale “non si configura alcuna incompatibilità tra le definizioni del RET e le
disposizioni comunali, considerato che dette <> di per sé non determinano
–né determinavano- in termini tecnico-architettonici e tipologici alcun carico urbanistico,
segnatamente residenziale, e pertanto non hanno incidenza sul dimensionamento dei piani
urbanistici comunali”;
– ha contestato, nel merito, le prospettazioni defensionali svolte ex adverso;
– ha riproposto i motivi assorbiti in prime cure (sull’illegittimità dell’annullamento di una s.c.i.a.,
atto oggettivamente e soggettivamente privato; sulla mancata indicazione delle ragioni di interesse
pubblico sottese all’annullamento; sulla mancata considerazione degli apporti procedimentali della
società; sul difetto di istruttoria e sulla contraddittorietà intrinseca del provvedimento di conferma;
sul superamento del termine ragionevole per l’esercizio del potere di autotutela).
2.2. Accolta l’istanza cautelare formulata dal Comune con ordinanza n. 5531 del 21 settembre 2020,
sulla base della riscontrata opportunità di “addivenire ad una sollecita definizione del giudizio,
anche in considerazione della potenzialità seriale della questione nell’ambito della Regione
Puglia”, il ricorso è stato, quindi, introitato in decisione alla pubblica udienza del giorno 14 gennaio
2021, svoltasi da remoto ai sensi dell’art. 25 del d.l. n. 137 del 2020, convertito con l. n. 176 del
2020, in vista della quale entrambe le parti hanno versato in atti difese scritte; il Comune ha altresì
prodotto documentazione, di cui la società ha eccepito l’inammissibilità.
3. Il Collegio prende le mosse dalle eccezioni di rito formulate dalla società resistente, che si
rivelano infondate.
3.1. Non si può ravvisare, anzitutto, alcuna improcedibilità dell’appello, posto che la nota prot. n.
27527 del 17 luglio 2020 è stata emanata dal Comune con l’espresso richiamo della sentenza del
T.a.r. e, dunque, quale atto dovuto di conformazione al decisum giudiziale, senza alcun portato
implicito di acquiescenza.
3.2. Non sussistono, prima ancora, i lamentati profili di inammissibilità dell’appello, posto che il
Comune ha funditus e dettagliatamente contestato il percorso motivazionale seguito dal T.a.r., in tesi
conseguente a ricostruzioni esegetiche considerate complessivamente prive di fondatezza.
3.3. La mancata impugnazione di un atto amministrativo regionale, poi, non preclude ad un Ente
territoriale la difesa in giudizio delle proprie assunte attribuzioni istituzionali.
3.4. Il Collegio, infine, prescinde dall’eccezione di inammissibilità della documentazione depositata
dal Comune in data 2 dicembre 2020, in quanto irrilevante ai fini del decidere.
4. Venendo al merito, il Collegio osserva che la questione oggetto del contendere è stata affrontata
da questa Sezione con la recente sentenza n. 8426 del 28 dicembre 2020, riferita ad un caso analogo
al presente, relativo alla Regione Campania.
4.1. Per quanto qui di interesse, in tale pronuncia la Sezione ha provveduto a ricostruire
analiticamente la “catena normativa” culminata con il recepimento del R.E.T. da parte della
Regione Campania.
4.2. In particolare, la Sezione ha osservato che:
– “il comma 1-sexies dell’art. 4 t.u. (introdotto dall’art. 17-bis, comma 1, del decreto-legge 12
settembre 2014, n. 133, convertito, con modificazioni, in legge 11 novembre 2014, n. 164)”
stabilisce che “il Governo, le regioni e le autonomie locali, in attuazione del principio di leale
collaborazione, concludono in sede di Conferenza unificata accordi ai sensi dell’articolo 9 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, o intese ai sensi dell’articolo 8 della legge 5 giugno
2003, n. 131, per l’adozione di uno schema di regolamento edilizio-tipo, al fine di semplificare e
uniformare le norme e gli adempimenti. Ai sensi dell’articolo 117, secondo comma, lettere e) e m),
della Costituzione, tali accordi costituiscono livello essenziale delle prestazioni, concernenti la
tutela della concorrenza e i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio
nazionale. Il regolamento edilizio-tipo, che indica i requisiti prestazionali degli edifici, con
particolare riguardo alla sicurezza e al risparmio energetico, è adottato dai comuni nei termini
fissati dai suddetti accordi, comunque entro i termini previsti dall’articolo 2 della legge 7 agosto
1990, n. 241, e successive modificazioni”;
– “con sentenza 26 maggio 2017, n. 125, la Corte costituzionale ha ritenuto non fondate le
questioni di costituzionalità sollevate al riguardo dalla Regione Puglia e dalla Provincia autonoma
di Trento”;
– “nelle more della decisione della Corte, è stata raggiunta l’intesa in Conferenza unificata,
sottoscritta nella seduta del 20 ottobre 2016, per effetto della quale è stato adottato lo schema di
regolamento edilizio-tipo”;
– “l’atto di intesa dispone che i regolamenti comunali siano ordinati secondo indici volti a
«semplificarne la consultazione e garantirne l’uniformità di impianto», e dovranno essere suddivisi
in due parti: una prima parte (Principi generali e disciplina generale dell’attività edilizia) in cui
viene puntualmente richiamata la disciplina generale sovraordinata dell’attività edilizia statale e
regionale (allegato A dell’intesa); una seconda parte (Disposizioni regolamentari comunali in
materia edilizia) contenente la disciplina regolamentare edilizia comunale, ordinata nel rispetto
dello schema generale e uniforme di cui all’Allegato 1 dell’intesa. I regolamenti comunali, inoltre,
dovranno utilizzare le definizioni uniformi di cui all’Allegato B dell’intesa, così come, in futuro,
Stato, Regioni ed enti locali nella normativa di rispettiva competenza (art. 2, comma 2,
dell’intesa)”;
– “con delibera di Giunta n. 287 del 23 maggio 2017, la Regione Campania ha recepito il
regolamento edilizio tipo approvato in Conferenza unificata”.
4.3. Sulla base di questa analisi, la Sezione ha poi osservato che la disciplina recata dal R.E.T.
“presenta caratteri non lineari”.
4.4. Invero, a sostegno della tesi dell’immediata applicazione del R.E.T. in tutti i Comuni della
Regione Campania, vi sarebbero sia “il punto 3 della delibera n. 287/2020, secondo il quale <>”, sia
“il punto 4, per cui <>”.
4.5. Di converso, a sostegno della tesi opposta potrebbe richiamarsi “un diverso profilo, presente
nell’art. 2 dell’intesa e nella terza delle premesse della delibera di Giunta, vale a dire quello per
cui <>”.
4.6. La Sezione ha ritenuto maggiormente condivisibile quest’ultima soluzione esegetica, giacché:
– nella citata sentenza n. 125 del 2017 “la Corte costituzionale ha osservato che il regolamento-tipo
<>”;
– “proprio la natura essenzialmente tecnica della fattispecie considerata (lo schema di regolamento
tipo) è uno dei rilievi che, nella ricostruzione della Corte, risultano decisivi per respingere le
questioni di legittimità costituzionale dedotte sotto il profilo della violazione dell’art. 117, sesto
comma, Cost., che riconosce allo Stato la potestà regolamentare solo nelle materie di legislazione
esclusiva. E ciò nel senso che, quando la scelta del legislatore richieda particolari competenze tecniche, è ammissibile il rinvio ad atti integrativi (qui: l’intesa Stato-Regioni) che non
costituiscono una norma di dettaglio (che in quanto tale sarebbe invasiva delle competenze
concorrenti regionali), bensì una sorta di estensione dei principi fondamentali della materia”;
– “la predisposizione del RET corrisponde all’esigenza di raggiungere una uniformità semantica in
un ambito tecnico segnato da frequenti oscillazioni lessicali”;
– “si tratta, dunque, di una operazione di standardizzazione definitoria, il cui impatto concreto non
può eccedere i limiti che si sono consapevolmente dati gli autori della nuova normativa”;
– pertanto, alla luce dello “intrinseco limite di efficacia delle definizioni recate dal RET”, non
potrebbe sostenersi che, allorquando “il Comune [sia] inadempiente rispetto al termine per
l’adeguamento del proprio REC, le previsioni del RET varrebbero in tutto e per tutto e potrebbero
direttamente incidere anche sulle previsioni dimensionali di piano”: invero, “in mancanza di una
espressa previsione nella normativa di settore, non è possibile ritenere che il mancato rispetto di un
termine [quello fissato al Comune per l’adeguamento del proprio Regolamento edilizio], che
sembra chiaramente ordinatorio, possa avere effetti così radicalmente eversivi sulla autonomia
pianificatoria degli enti locali”.
5. Il Collegio, pur nella constatazione dell’oggettiva ambiguità della normativa, aderisce, ai sensi
dell’art. 88, comma 2, lett. d), c.p.a., alle argomentazioni svolte dalla citata sentenza, del resto
pienamente applicabili al presente caso, giacché la deliberazione della Giunta regionale pugliese n.
554 del 2017 (con cui è stato recepito “lo schema di regolamento edilizio tipo con relativi allegati,
adottato con l’Intesa del 20 ottobre 2016”):
– da un lato, ha operato un espresso riferimento all’art. 2 dell’intesa, ai sensi del quale “il
recepimento delle definizioni uniformi non comporta la modifica delle previsioni dimensionali degli
strumenti urbanistici vigenti, che continuano ad essere regolate dal piano comunale vigente ovvero
adottato alla data di sottoscrizione della presente intesa”;
– dall’altro, ha espressamente stabilito che “il recepimento delle definizioni uniformi non comporta
complessivamente la modifica delle previsioni dimensionali degli strumenti urbanistici vigenti”.
5.1. In sostanza, pur nell’ambivalenza del significante normativo (e dell’ambiguità delle stesse
indicazioni regionali – cfr. da un lato la nota prot. n. 2090 del 4 marzo 2019, dall’altro la nota prot.
n. 3868 del 17 aprile 2019), il Collegio ritiene, conformemente al precedente citato e nell’ambito di
una complessiva considerazione sistemica e sistematica della materia, che la “mancanza di una
espressa previsione” di legge derogatoria dell’ordinario riparto delle competenze in materia
urbanistica non consenta di concludere che, con l’esposta intesa, si siano voluti determinare “effetti
così radicalmente eversivi sulla autonomia pianificatoria degli enti locali”, quali quelli che
deriverebbero dall’ipotesi esegetica coltivata dall’odierna appellata e condivisa dal T.a.r. nella
sentenza impugnata.
5.2. Del resto, un ulteriore profilo che rafforza siffatta conclusione è rappresentato dalla natura
strettamente tecnica e dalla finalità di omogeneizzazione semantica e standardizzazione definitoria
sottesa alla “catena normativa” in discorso: tali elementi, unitariamente considerati, ostano ad
un’esegesi che ne assuma, in assenza di una chiara esplicitazione in tal senso, una ratio legis protesa
ad alterare in toto l’attuale riparto delle competenze in materia urbanistica, determinando la
sostanziale soppressione dei poteri istituzionali dei Comuni a seguito del mero mancato rispetto di
un termine che, oltretutto, la stessa legge regionale pugliese non qualifica espressamente come
perentorio.
5.3. Peraltro, la stessa l.r. n. 11 del 2017, pur ribadendo (all’art. 2, comma 1) il dovere dei Comuni
di adeguare i propri regolamenti edilizi allo schema di R.E.T. recepito in sede regionale, precisa
(art. 2, comma 4) che “i Comuni procedono alla formulazione del regolamento edilizio in
conformità con le definizioni uniformi, provvedendo a mantenere invariate le previsioni
dimensionali degli strumenti urbanistici vigenti” ed aggiunge (art. 2, comma 5) che “i comuni possono procedere altresì all’adeguamento delle norme tecniche d’attuazione degli strumenti
urbanistici generali vigenti alle definizioni uniformi, mantenendone invariate le previsioni
dimensionali. La deliberazione del consiglio comunale non costituisce variante urbanistica”.
5.4. In conclusione, la disciplina edilizia ed urbanistica dei Comuni pugliesi resta (quanto meno in
relazione al fondamentale dato del “dimensionamento urbanistico”) inalterata nelle more della
modifica dei relativi strumenti di governo del territorio, procedimento cui gli Enti locali sono
comunque tenuti al fine di pervenire ad un’armonizzazione del relativo contenuto con il R.E.T.
recepito a livello regionale.
5.5. La pronuncia del T.a.r. deve, dunque, essere riformata.
6. Non hanno pregio le censure riproposte dalla società, giacché:
– in disparte il tenore testuale degli atti impugnati e prescindendo dal fatto che, nella vicenda de
qua, la s.c.i.a. sostituiva un permesso di costruire, nella specie il Comune non ha, da un punto di
vista sostanziale, annullato la s.c.i.a., bensì ha semplicemente dichiarato, nell’esercizio del proprio
potere di verifica e controllo, che non sussistevano ab initio i presupposti per realizzare la
volumetria de qua;
– le ragioni di interesse pubblico sottese all’annullamento sono, appunto, rappresentate dalla
costruzione di volumi assai superiori rispetto a quelli consentiti dalla vigente disciplina comunale,
circostanza che, in quanto idonea ad alterare significativamente l’assetto urbanistico cittadino, è
sufficiente ex se, oltre che per la potenziale rilevanza seriale, a motivare la scelta di procedere in
autotutela; di converso, non vi sono elementi concreti per assumersi consolidato, in capo alla
società, un legittimo affidamento;
– le osservazioni procedimentali della società risultano essere state considerate nell’ambito del
procedimento di riesame attivato su istanza di parte, ma, proprio in quanto basate su una diversa (e
dal Comune non condivisa) esegesi del citato R.E.T., sono state ritenute tali da non incidere sul già
disposto annullamento, conseguente ad un’opposta interpretazione della normativa stessa;
– il provvedimento di conferma non disvela un difetto di istruttoria, né un profilo di contraddittorietà
intrinseca, alla luce delle considerazioni svolte supra in ordine alla complessiva ricostruzione del
significato della “catena normativa”;
– il potere di autotutela è stato esercitato entro il termine previsto dall’art. 21-nonies l. n. 241 del
1990.
7. Quanto, infine, alla scelta comunale di procedere senz’altro all’annullamento, il Collegio osserva
che il potere conformativo delle Amministrazioni territoriali in ordine alle iniziative assunte dai
privati in materia edilizia non può strutturalmente spingersi sino allo stravolgimento sostanziale del
progetto, modificandone ex officio (come nella specie sarebbe stato necessario) il numero dei piani,
la sagoma ed il prospetto.
7.1. La funzione amministrativa di vigilanza sulle trasformazioni del territorio, infatti, si muove in
un ambito di mero controllo e non può trascendere in una dimensione di progettazione attiva, che
oltretutto sarebbe indebitamente sostitutiva di quella che, nel perseguimento del proprio interesse,
compete esclusivamente al privato stesso.
7.2. Del resto, diversamente argomentando, l’interessato si vedrebbe de facto imposto il progetto
redatto dall’Amministrazione, in una ‘torsione’ inammissibile delle rispettive posizioni
procedimentali.
8. Per tutte le esposte ragioni, pertanto, l’appello va accolto: per l’effetto, in riforma dell’impugnata
sentenza, va rigettato il ricorso di primo grado.
9. La complessità e novità delle questioni impone la compensazione integrale delle spese del doppio
grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando
sull’appello n. 6025 del 2020, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma
dell’impugnata sentenza, rigetta il ricorso di primo grado.
Spese del doppio grado di giudizio compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso nella camera di consiglio del giorno 14 gennaio 2021, svoltasi da remoto in videoconferenza ex art. 25 d.l. n. 137 del 2020 convertito con l. n. 176 del 2020, con l’intervento dei
magistrati:
Luigi Maruotti, Presidente
Luca Lamberti, Consigliere, Estensore
Alessandro Verrico, Consigliere
Silvia Martino, Consigliere
Michele Pizzi, Consigliere

L’ESTENSORE Luca Lamberti
IL PRESIDENTE Luigi Maruotti

IL SEGRETARIO