Decoro architettonico e stato dell’edificio

CORTE DI CASSAZIONE
Sez. II civ., sent. 8.5.2017, n. 11177

FATTI DI CAUSA
La Corte d’appello di Milano, con sentenza depositata il 21 dicembre 2010, confermò quella emessa dal Tribunale di Milano in data 16 aprile 2008, che aveva dichiarato l’illegittimità dell’occupazione di una parte del tetto comune, nonché delle opere realizzate dalla A. s.r.l., in quanto lesive del decoro architettonico dell’edificio condominiale sito in via …, e implicanti abusiva occupazione di una parte del tetto comune.
Era, così, rimasta disattesa la prospettazione della società appellante, la quale aveva dedotto la mancanza di pregio dell’edificio, che presentava quasi tutti i sottotetto trasformati in locali abitativi con l’apertura di lucernari, l’occupazione del tetto, al fine di realizzare un terrazzino, non ne aveva mutato la destinazione, il sottotetto era di proprietà esclusiva.
Per contro, la Corte territoriale aveva chiarito che anche in presenza di fabbricati di non particolare pregio costituiva un interesse del condominio, tutelabile giuridicamente, mantenere il decoro dello stabile. L’intervento effettuato stravolgeva le linee estetiche dell’edificio. Inoltre l’occupazione del tetto comune, mediante la realizzazione di una terrazza ad uso privato costituiva, per il Giudice di secondo grado, “un’alterazione illegittima della parte comune dell’immobile in quanto impedisce agli altri condòmini di poterla utilizzare per la sua originaria finalità”.
Avverso la statuizione d’appello ricorre per cassazione la A. s.r.l., illustrando due motivi di censura. Resiste con controricorso il Condominio di ….

RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la ricorrente allega violazione dell’art. 1120, comma 2, cod. civ., nonché vizio motivazionale, in correlazione con l’art. 360, nn. 3 e 5, cod. proc. civ..
Assume il ricorso che la Corte locale era stata sollecitata a tener conto del fatto che l’edificio era stato oggetto, nel corso degli anni, di plurimi interventi operati dai singoli condòmini, che ne avevano alterato definitivamente la complessiva armonia; in particolare, si scrive in ricorso che “la falda su corte del condominio di … presenta numerose altre cappuccine senza uno stile unitario, coeve all’edificazione dell’intero complesso (…) La ‘cappuccina’ realizzata dalla A. s.r.l. non si discosta in modo significativo dalla tipologia delle altre già presenti sul tetto del fabbricato (…) La presenza di lucernari, finestre e ‘cappuccine’ di fogge sempre diverse anche sul lato prospiciente la pubblica via e la presenza di numerose antenne paraboliche”.
La Corte di Milano, andata di contrario avviso, non aveva preso in considerazione le statuizioni di legittimità le quali, appunto, invitavano a tener conto delle condizioni in cui il fabbricato si trova al momento in cui vengono poste in essere le opere contestate, con la conseguenza che “una modifica non può essere ritenuta pregiudizievole per il decoro architettonico se apportata ad un edificio la cui estetica era stata già menomata a seguito di precedenti lavori”. Non è dubbio, prosegue la ricorrente, che la disposizione di cui all’articolo 1120, cod. civ., ha lo scopo di tutelare i condòmini da un deprezzamento dello stabile e non il mero rispetto della forma estetica in quanto tale, con la conseguenza che il Giudice d’appello “nel valutare la compatibilità con il decoro architettonico dell’intervento edilizio realizzato dalla convenuta” avrebbe dovuto tenere conto dei precedenti interventi, che avevano irreparabilmente modificato l’originaria estetica architettonica del fabbricato.
Il motivo non può essere accolto.
Il Collegio osserva che, in linea di principio, deve condividersi l’orientamento, più volte ribadito in questa sede (omissis), secondo il quale il giudice trovandosi a valutare se sussista lesione del decoro architettonico di un fabbricato condominiale, a cagione di un intervento operato dal singolo condomino sulla struttura, deve tenere anche conto delle condizioni nelle quali versava l’edificio prima del contestato intervento, potendo anche giungersi a ritenere che l’ulteriore innovazione non abbia procurato un incremento lesivo, ove lo stabile fosse stato decisamente menomato dai precedenti lavori.
Pertanto, sul punto la netta affermazione fatta dalla sentenza impugnata (non rileva che il “decoro sia stato già gravemente ed evidentemente compromesso da precedenti interventi sull’immobile”) appare sbrigativa e scarsamente meditata.
Tuttavia, la censura ha omesso di misurarsi con lo snodo motivazionale attraverso il quale la sentenza mostra di aver preso puntuale e completa cognizione del fatto e dei luoghi, giungendo a qualificare l’intervento per cui è causa: “un’opera che ha alterato significativamente la copertura dell’edificio, mediante la costruzione di una struttura che si impone con violenza sulle linee essenziali ed originarie del tetto del complesso condominiale, comunque visibile”; mostrando le fotografie agli atti che la A. s.r.l. aveva “eseguito sulla copertura dell’edificio una costruzione in cemento armato che non evidenzia alcuna continuità con la copertura esistente, in origine costituita da un tetto a padiglione con copertura di tegole, e si presenta, visivamente, quasi come una ulteriore facciata che si eleva sulla precedente copertura”.
Trattasi, all’evidenza, di una valutazione di merito, in questa sede incensurabile, la quale non si pone in contrasto con le linee interpretative maturate in sede di legittimità sopra evocate, in quanto, pur tenuto conto dei pregressi interventi sulla struttura (la Corte di Milano non nega l’esistenza di tali interventi), ha riconosciuto valenza specificamente lesiva a quelli effettuati dalla ricorrente.
Così, in definitiva, la sentenza ha riconosciuto all’edificio un apprezzabile attuale decoro architettonico (nonostante i precedenti interventi), che la ricorrente aveva leso. Ovviamente, non trattasi di un apprezzamento posto a tutela del gradevole ed ordinato sviluppo delle linee architettoniche, quale bene in sé, bensì diretto ad evitare che il patrimonio immobiliare dei singoli condomini abbia patire deperimento.
(omissis)

P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, in favore della parte resistente, che liquida in Euro 5.500 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200, ed agli accessori di legge.