Rinuncia all’indennità per la perdita dell’avviamento commerciale

Corte di Cassazione, sez. III Civile, Ordinanza n.22826 del 21/07/2022

Presidente Frasca
Relatore Graziosi

RILEVATO CHE

XXX S.r.l. ricorreva al Tribunale di Bologna perché, in relazione ad un contratto di locazione ad uso non abitativo venuto meno per disdetta della locatrice YYYY Italia s.a.s. d.D.V. & C. per cui essa, quale conduttrice, aveva rilasciato l’immobile, venisse accertato il proprio diritto all’indennità di avviamento ex L. 392 del 1978 art. 34, comma 2, pari a 18 mensilità dell’ultimo canone corrisposto e fosse conseguentemente condannata controparte a pagarle l’importo di Euro 365.142,72, oltre accessori, o la minore o maggiore somma di giustizia; chiedeva altresì che fosse accertato il proprio diritto alla restituzione del deposito cauzionale, con conseguente condanna di controparte a pagarle la somma di Euro 51.645,75 oltre interessi.

Si costituiva YYYY Italia, resistendo, e chiedendo in via riconvenzionale di accertare la non debenza della indennità di avviamento e di condannare conseguentemente controparte a restituirle l’importo pagato di Euro 445.474,12 oltre interessi; chiedeva pure la condanna di controparte al risarcimento dei danni per il ritardo nella riconsegna dell’immobile, da liquidarsi in separato giudizio.

Il Tribunale, con sentenza del 13 luglio 2017, dato atto della restituzione dell’importo capitale del deposito cauzionale, condannava la convenuta a corrispondere alla ricorrente quali interessi maturati la somma di Euro 2795,62; rigettava la domanda attorea e condannava la ricorrente a restituire a controparte la somma di Euro 445.474,12 oltre interessi e a risarcirle il danno per il ritardo del rilascio, da liquidarsi in separato giudizio.

XXXX Italia proponeva appello, cui resisteva YYYYY Italia.

La Corte d’appello di Bologna, con sentenza del 9-22 febbraio 2018, in parziale riforma, condannava l’appellata a pagare all’appellante, ex L. 392 del 1978 art. 34, comma 2, la somma di Euro 365.142,72, oltre interessi, per il resto confermando la prima sentenza.

Ha presentato ricorso, YYYYY Italia, sulla base di due motivi; XXXXX Italia si è difesa con controricorso, includente pure ricorso incidentale, anch’esso fondato su due motivi e da cui controparte si è difesa con controricorso.

Chiamata la causa in adunanza camerale ex art. 380-bis.1 c.p.c., per cui il Procuratore Generale non ha presentato conclusioni, la ricorrente principale ha depositato un atto che ha denominato memoria, ma che in realtà contiene esclusivamente l’informazione che controparte è stata dichiarata fallita con sentenza n. 510/2020 del Tribunale di Milano.

CONSIDERATO CHE

1. Premesso che nel giudizio di cassazione la dichiarazione di fallimento di una delle parti non costituisce causa di interruzione perché in tale giudizio opera il principio dell’impulso d’ufficio onde non sono applicabili i comuni eventi interruttivi del processo dettati in via generale dalla legge (ex multis v., per es., Cass. sez. 1, 24 febbraio 2020 n. 4795, Cass. sez. 1, 23 marzo 2017 n. 7477 e Cass. sez. L, 13 ottobre 2010 n. 21153), si esamina anzitutto il ricorso principale.

1.1.1 n primo motivo denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 1362 c.c. per avere il giudice d’appello interpretato una clausola contrattuale contrariamente al suo significato letterale e al successivo comportamento delle parti, sulla base di una motivazione illogica.

In realtà, peraltro, il motivo censura la sentenza impugnata per violazione di tutti i criteri di ermeneutica contrattuale (“i criteri di ermeneutica contrattuale fissati dagli artt. 1362 ss. c.c.”), per avere “fornito ex officio una interpretazione di una clausola contrattuale in contrasto con il tenore letterale della stessa e in contrasto con la comune volontà delle parti”.

Si tratta dell’art. 5 del contratto locatizio, che così recita:

“Qualora al momento della cessazione del presente contratto – per qualunque causa ciò avvenga – la legge in vigore lo ritenesse valido, il conduttore rinuncia ora per allora a qualsiasi indennità, in quanto di ciò si è tenuto conto nella determinazione del canone di locazione”.

Il giudice d’appello lo ha interpretato d’ufficio nel senso che la rinuncia del conduttore avrebbe per oggetto esclusivamente l’indennità per perdita di avviamento ex L. 392 del 1978 art. 34, comma 1, e non anche quella del successivo comma 2.

Viene trascritta una parte della motivazione della sentenza impugnata, relativa proprio a tale interpretazione, per poi censurarla come segue.

1.1.2 In primo luogo, si lamenta che la sentenza, a pagina 7, definisce la rubrica dell’art. 5 del contratto, Rinuncia ad indennità per perdita di avviamento, “titolo riferito espressamente solo all’indennità contemplata dal L. 392 del 1978 art. 34, comma 1,”, obiettando che la parola “indennità” in italiano non si distingue al singolare e al plurale, onde per dirimere ogni dubbio occorrerebbe leggere il testo della clausola, nel quale si fa espresso riferimento “a qualsiasi indennità” come oggetto di rinuncia. Ritiene la ricorrente che “la parola qualsiasi esclude in maniera incontrovertibile… la limitazione solo alla indennità del comma 1”; inoltre il giudice d’appello non avrebbe avuto “motivo per indagare sul senso della clausola, in quanto… già perfettamente chiara”, per cui sarebbe contravvenuto al principio in claris non fit interpretatio.

Si richiama poi giurisprudenza di questa Suprema Corte nel senso che per ricercare la comune intenzione dei contraenti il primo e principale criterio è quello del senso letterale delle parole, che precluderebbero l’utilizzo degli altri criteri qualora la comune intenzione emergesse in modo certo e immediato dalle stesse parole (Cass. 22781/2004).

La corte territoriale avrebbe ritenuto equivoco il dato letterale della clausola perché il riferimento al “momento della cessazione del contratto” dovrebbe indicare il momento in cui insorge il diritto all’indennità ex art. 34, comma 1, l’indennità del comma 2 essendo invece correlata a un fatto ulteriore, successivo ed eventuale. Ma ciò sarebbe illogico in quanto tale riferimento sarebbe “valido tanto per la prima quanto per la seconda indennità”; e presupposto fondamentale della maturazione di entrambe sarebbe la cessazione del contratto per volontà del locatore.

1.1.2 La motivazione della sentenza impugnata sarebbe illogica anche per essersi fondata “su una palese svista” presente nella comparsa di costituzione di XXXX.

Così infatti affermerebbe illogicamente la corte territoriale: “Rileva, in particolare, la Corte che nel giudizio di primo grado la sas YYYY allegasse che la srl XXX aveva rinunciato alla indennità di avviamento (cfr. pag.3 della comparsa di costituzione nel giudizio di primo grado)”. In quest’ultima pagina della suddetta comparsa YYYYY davvero “si è riferita la rinuncia alla indennità di avviamento, riferendosi alla medesima al singolare”; nelle pagine 6-7, però, ha argomentato sul fatto che controparte “ha rinunciato a qualsiasi indennità al momento della stipula del contratto”, e a pagina 9 afferma: “YYYYY ritiene non essere dovuta l’indennità prevista dal comma II dell’art. 34… né l’indennità prevista al I comma del medesimo articolo – già corrisposta a XXXX – di cui si richiede in via riconvenzionale la restituzione”.

Sostiene la ricorrente di avere basato, nel giudizio di primo grado, tutte le sue difese e la domanda riconvenzionale sulla rinuncia ex art. 5 del contratto a entrambe le indennità, per cui sarebbe “illogico fondare l’interpretazione di una clausola contrattuale un errore di battitura, in palese contrasto con il senso complessivo dell’intero atto e della difesa di YYYYY Italia”.

1.1.3 L’interpretazione del giudice d’appello sarebbe altresì viziata per contrasto col comportamento complessivo delle parti: essendo la clausola l’oggetto specifico dei giudizi di primo e secondo grado, qualora si fosse riferita a una sola indennità ciò sarebbe certamente emerso durante i due gradi suddetti. La rinuncia all’indennità di cui all’art. 34, comma 2, sarebbe stata “la principale difesa di YYYYY” dalla domanda di controparte, la quale peraltro, “chiamata a pronunciarsi sulle difese e sulla domanda riconvenzionale di YYYYY”, le avrebbe eccepito che l’art. 5 del contratto non concernesse pure l’indennità dell’art. 34, comma 2, L. 392/1978. Dunque il complessivo comportamento delle parti posteriore alla stipulazione del contratto avallerebbe l’interpretazione letterale della clausola, ex art. 1362, comma 2, c.c.

1.2 Il secondo motivo denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione dell’art. 112 c.p.c. per avere il giudice d’appello, a fronte di domanda d’accertamento della validità di una clausola contrattuale, fornito d’ufficio un’interpretazione di questa, benché l’interpretazione non fosse tra i motivi di impugnazione.

Il giudice d’appello così avrebbe ampliato il thema decidendum, e a proposito di una questione che “non era stata contestata dall’appellante e pertanto ormai coperta dal giudicato sostanziale interno”.

Si richiama, assai sinteticamente, il contenuto dei sei motivi d’appello di XXXXX Italia, per affermare che quest’ultima non avrebbe mai contestato che la rinuncia di cui all’art. 5 investisse esclusivamente una indennità, e si adduce che la corte territoriale avrebbe pure violato il carattere devolutivo del giudizio di appello (così appunto non rispettando il principio di corrispondenza chiesto/pronunciato: Cass.7629/2003), entrando d’altronde “su una questione di fatto il cui esame è ormai precluso per intervenuto giudicato interno”.

2. Passando ora all’esame del ricorso incidentale, deve anzitutto rilevarsi che, in effetti, non è composto soltanto da due motivi, bensì ne annovera cinque.

2.1 n primo motivo denuncia nullità insanabile dell’art. 5 del contratto locatizio e violazione dell’art. 79 L. 392/1978.

2.1.1 Quest’ultimo, com’è ben noto, statuisce che “e’ nulla ogni pattuizione diretta a limitare la durata legale del contratto o ad attribuire al locatore un canone maggiore rispetto a quello previsto dagli articoli precedenti ovvero ad attribuirgli altro vantaggio in contrasto con le disposizioni della presente legge”; e la giurisprudenza di questa Suprema Corte ha riconosciuto che esso mira ad evitare l’elusione delle norme imperative al momento della stipulazione aggravando in particolare la posizione del conduttore, non impedendo però che, alla cessazione del rapporto, le parti concludano una transazione, e quindi convengano anche la rinuncia del conduttore all’indennità per avviamento commerciale ex art. 34 L. 392/1978; interpretazione, questa, condivisa dalla dottrina e ribadita recentemente da Cass. 15373/2018.

Nel caso in esame, l’accordo di rinuncia all’indennità sarebbe stato contestuale alla stipulazione del contratto, anzi ne costituirebbe una clausola all’art. 5, per cui tale clausola dovrebbe essere dichiarata nulla per violazione dell’art. 79 L. 392/1978.

2.1.2 La corte territoriale ha confermato la validità della clausola in questione dichiarando che “in base alla giurisprudenza citata dal primo Giudice” la clausola non violerebbe l’art. 79 “prevedendo reciproche rinunce dei contraenti nel rapporto sinallagmatico tra loro”.

Il Tribunale aveva richiamato Cass. 8705/2015 – per cui nella locazione di immobile ad uso non abitativo vige il principio della libera determinazione del canone onde, mirando l’art. 79 a garantire l’equilibrio sinallagmatico del contratto come valutato dal legislatore, non sussistono limiti dell’autonomia negoziale quanto alla previsione di un canone in misura inferiore a quella originariamente concordata se ciò si giustifichi con la rinuncia del conduttore ai diritti derivatigli dal contratto, incluso il diritto all’indennità commerciale – che, però, rappresenterebbe “una giurisprudenza assolutamente minoritaria”, come pure emergerebbe dalla già citata Cass. 15373/2018, confermante quella maggioritaria nel senso che solo successivamente alla conclusione del contratto, quando il conduttore non è più in una situazione di debolezza per il timore di essere costretto a lasciare l’immobile ove svolge attività commerciale, è possibile negoziare sui diritti nascenti dal contratto, incluso il diritto alla indennità di avviamento.

Pertanto l’art. 5 del contratto dovrebbe essere dichiarato nullo, con conseguente riconoscimento del diritto di XXXXX a percepire l’indennità di avviamento.

2.2 D secondo motivo denuncia violazione dell’art. 115 c.p.c., peraltro unitamente alla “mancanza di prova delle rinunce del conduttore”.

2.2.1 Si osserva che, anche qualora l’art. 5 del contratto fosse valido, controparte “avrebbe dovuto provare la rinuncia da parte del locatore ad un proprio sostanziale diritto” riducendo il canone. E la corte territoriale, nella sentenza, ha ritenuto provato, ex art. 115 c.p.c., perché non contestato, che “i contraenti… hanno pattuito un canone più basso rispetto a quello di mercato a fronte della rinuncia da parte srl XXXXX all’indennità per perdita di avviamento”.

Però l’errore di percezione è denunciabile, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, come violazione dell’art. 115 c.p.c. “che vieta di fondare la decisione su prove reputate dal giudice esistenti, ma in realtà mai offerte”: e “le circostanze dedotte dalla Corte d’Appello di Bologna non sono esistenti”.

Esse infatti sarebbero “tutte contenute nei capitoli di prova offerti da YYYYY in primo grado” che, a tacer d’altro, XXXXX Italia ha contestato, sia nella memoria difensiva depositata a seguito della riconvenzionale di controparte, sia nelle note conclusive (qui peraltro dal motivo non vengono riportate né le prove richieste da controparte, né i passi della memoria e delle note conclusive in cui YYYYY l’avrebbe contestate, indicando soltanto il numero delle rispettive pagine). A questo punto la ricorrente inserisce un’argomentazione, che oggettivamente non può non definirsi irrispettosa nei confronti dei giudici di merito: “E’ curioso che né il giudice di prime cure né la Corte d’Appello si siano avvedute (sic) di tale circostanza. Ma forse la decisione era già stata presa a priori e doveva solamente essere ricercata una giustificazione ad essa, per quanto infondata.”

Inoltre, “in base al ragionamento del Tribunale e della Corte d’Appello” dovrebbero ritenersi provati parimenti anche i capitoli di prova della ricorrente, diretti a dimostrare il contrario, “in quanto non contestati dalla stessa YYYYY”.

2.2.2 Qualora, poi, non possa “ritenersi provata l’effettiva riduzione del canone a fronte della rinuncia alla indennità di avviamento”, la clausola dell’art. 5 non sarebbe valida per il rispetto del sinallagma.

Invero, risulterebbe pacifico che la conduttrice abbia rinunciato all’indennità di avviamento senza che la locatrice abbia a sua volta rinunciato ad alcun suo diritto, né tantomeno abbia ridotto il canone “così come genericamente affermato dall’articolo in questione”.

In conclusione, la sentenza dovrebbe essere cassata in forza del principio per cui è onere del locatore dimostrare il vantaggio ottenuto dal conduttore a fronte delle rinunce di quest’ultimo ai suoi diritti in linea di principio non rinunciabili ex art. 79 L. 392/1978, non essendo sufficiente inserire nel contratto affermazioni generiche come quella presente nella clausola de qua, ovvero “il Conduttore rinuncia ora per allora a qualsiasi indennità, in quanto di ciò si è tenuto conto della determinazione del canone di locazione”.

2.3 n terzo motivo (che la ricorrente, nel suo riassunto di cui a pagina 14 del controricorso, qualifica secondo) denuncia omesso esame di un fatto decisivo, cioè l’avere YYYYY “effettuato una offerta reale a favore di XXXXX, con l’intento di pagare l’indennità di avviamento, così riconoscendo il diritto di XXXXX al pagamento dell’indennità di avviamento ex L. 392 del 1978 art. 34, comma 1”. In tal modo YYYYY avrebbe appunto “pienamente riconosciuto il diritto di XXXXX al percepimento dell’indennità ed… incondizionatamente offerto a XXXXX il pagamento della relativa somma”.

Ad avviso di XXXXX Italia, l’offerta reale ex art. 1208 c.c. vale piena confessione del debito, non potendo essere in alcun modo limitata in tale significato.

2.4 I quarto motivo non gode di una vera e propria rubrica, essendo intestato: “l’infondatezza della domanda risarcitoria per ritardo nella consegna dell’immobile”.

Osserva la ricorrente che la riconsegna dell’immobile avvenne il 10 settembre 2015, quando contestualmente controparte le aveva corrisposto l’indennità per perdita d’avviamento. Peraltro il comportamento della ricorrente non sarebbe stato illegittimo “come vorrebbe far ritenere controparte”, bensì legittimo, essendo stata invece controparte a tenere comportamenti illegittimi.

La L. 392 del 1978 art. 34, stabilisce che “in caso di cessazione del rapporto di locazione… il conduttore ha diritto… ad una indennità pari a 18 mensilità dell’ultimo canone corrisposto… L’esecuzione del provvedimento di rilascio dell’immobile è condizionata dall’avvenuta corresponsione dell’indennità di cui al comma 1…”. In forza di “tali diritti” l’attuale ricorrente aveva dunque restituito l’immobile solo quando era avvenuto il pagamento dell’indennità da controparte, pagando anche l’indennità di occupazione conseguente all’esercizio del diritto di ritenzione. XXXXX Italia si era trovata anche nella necessità di proporre opposizione all’esecuzione “in seguito deì (vani) tentativi di liberare l’immobile senza corrispondere l’indennità”; e, come riconosciuto da controparte, il Tribunale aveva sospeso l’esecuzione fino al pagamento dell’indennità, dapprima con decreto e poi con ordinanza di conferma, come risultante dai documenti 21, 22, 23 e 24 prodotti da XXXXX.

Non avendo poi nessuna delle parti (anche questo sarebbe stato riconosciuto da YYYYY) avviato il giudizio di merito dell’opposizione all’esecuzione, “il provvedimento di sospensione è divenuto definitivo ex art. 669 decies c.p.c.”, derivandone che YYYYY non ha diritto al risarcimento di danni per ritardo nella riconsegna dell’immobile.

L’impugnata sentenza dovrebbe perciò essere cassata affermando che il rilascio dell’immobile è condizionato alla corresponsione dell’indennità prevista dalla legge.

2.5 n quinto motivo viene proposto in subordine, anch’esso privo di una vera e propria rubrica, e presentato come segue: “il diritto al risarcimento del danno per mancata prelazione”.

Si invoca Cass. 12098/2003, per cui il percepimento dell’indennità per perdita d’avviamento commerciale conseguente alla riconsegna dell’immobile per finita locazione “esclude il diritto al risarcimento del danno astrattamente spettante al conduttore pretermesso dal suo diritto di prelazione” ex L. 392 del 1978 art. 40, deducendone che, “qualora non venisse riconosciuto il diritto entrambi i ricorsi all’indennità” della ricorrente, le dovrà essere riconosciuto il diritto al risarcimento del danno per mancata prelazione, da quantificare in misura uguale all’indennità di avviamento, o anche in misura superiore “qualora sussista adeguata prova”.

Ciò considerando, le doglianze di controparte sarebbero in concreto del tutto inutili, per cui “si può affermare… che non vi è interesse da parte di YYYYY alla presente causa, perché il solo mutamento del titolo per il quale XXXXX ha percepito l’importo di Euro 365.142,72 non è sufficientemente significativo per il riconoscimento di un interesse ad agire”. Anche per questo la sentenza in esame dovrebbe essere cassata.

3. Entrambi i ricorsi gravitano sulla tematica della rinuncia alle indennità da parte della parte conduttrice del contratto di locazione di cui si tratta. In relazione ad essi, dunque, va osservato quanto segue.

3.1 D contratto di locazione ad uso non abitativo regolante i rapporti tra le parti contiene la clausola dell’art. 5 che, ut supra constatato, stabilisce:

“Qualora al momento della cessazione del presente contratto – per qualunque causa ciò avvenga – la legge in vigore lo ritenesse valido, il conduttore rinuncia ora per allora a qualsiasi indennità, in quanto di ciò si è tenuto conto nella determinazione del canone di locazione”.

Nella vicenda da cui è sortita la causa, la conduttrice XXXXX, raggiunta la naturale scadenza del contratto, ha però trattenuto l’immobile – in evidente riferimento all’art. 34, comma 3, prima parte, L. 392/1978: “L’esecuzione del provvedimento di rilascio dell’immobile è condizionata dall’avvenuta corresponsione dell’indennità di cui al comma 1.” – fino a quando YYYYY le ha corrisposto l’indennità di cui all’art. 34, comma 1 ovvero l’indennità nel caso in esame “pari a 18 mensilità dell’ultimo canone corrisposto” -, dopodiché, il 10 settembre 2015, lo ha rilasciato.

Nell’ottobre 2016 XXXXX, essendo stato l’immobile frattanto locato a un’impresa commerciale analoga (Tezenis), agisce per ottenere l’ulteriore indennità dell’art. 34, comma 2 (“Il conduttore ha diritto ad una ulteriore indennità pari all’importo di quelle rispettivamente sopra previste qualora l’immobile venga, da chiunque, adibito all’esercizio della stessa attività o di attività incluse nella medesima tabella merceologica che siano affini a quella già esercitata dal conduttore uscente ed ove il nuovo esercizio venga iniziato entro un anno dalla cessazione del precedente”): di qui la presente causa, in cui YYYYY si è costituita fondando la sua difesa sull’art. 5 del contratto e ha chiesto in via riconvenzionale la restituzione della somma versata quale indennità ex art. 34, comma 1; XXXXX dal canto suo ha ribattuto che l’art. 5 del contratto sarebbe nullo in forza del L. 392 del 1978 art. 79, (attualmente valevole per le locazioni ad uso diverso da quello abitativo), che al comma 1 stabilisce:

“E’ nulla ogni pattuizione diretta a limitare la durata legale del contratto o ad attribuire al locatore un canone maggiore rispetto a quello previsto dagli articoli precedenti ovvero ad attribuirgli altro vantaggio in contrasto con le disposizioni della presente legge.”

3.2 Il nucleo della discussione si colloca, quindi, sulla rinunciabilità o meno, al momento della stipulazione del contratto locatizio ad uso non abitativo, tra l’altro, delle indennità di cui all’art. 34.

Il Tribunale, nella sua pronuncia del 2017, ha richiamato Cass. sez. 3, 29 aprile 2015 n. 8705, massimata come segue:

“In tema di locazione di immobile ad uso non abitativo vige il principio della libera determinazione del canone, per cui, tendendo Part. 79 della L. 27 luglio 1978, n. 392 a garantire l’equilibrio sinallagmatico del contratto secondo la valutazione operata dal legislatore, non sono stati imposti limiti all’autonomia negoziale con riguardo alla previsione di un canone in misura inferiore a quella originariamente concordata, ove la stessa trovi la sua giustificazione nella rinuncia, da parte del conduttore, ai diritti derivantigli dal contratto di locazione, ivi compreso quello alla corresponsione dell’indennità di avviamento commerciale.”

Sulla base di questo arresto il giudice di prime cure ha affermato che l’art. 79 lascia uno spazio alla rinuncia anche al momento della conclusione del contratto, qualora questa abbia una incidenza sinallagmatica, ovvero il locatore conceda un contrappeso favorevole al conduttore: nel caso di specie, sarebbe stata la quantificazione del canone inferiore al canone di mercato. Pertanto, il Tribunale ha, per così dire, “tolto di mezzo” entrambe le indennità disegnate dall’art. 34: ha negato cioè all’attrice XXXXX l’indennità di cui al comma 2 dell’articolo, e l’ha condannata a restituire alla convenuta quel che ne aveva ricevuto a titolo dell’indennità di cui al suo comma 1.

3.3 XXXXX quindi ha proposto appello, in cui in primis ha insistito nel senso che la clausola 5 sarebbe nulla in forza del citato art. 79, per aggiungere poi che non vi sarebbe stata comunque prova di un “adeguamento” del canone, essendo stata soltanto inserita nel contratto la clausola 5 senza alcuna ripercussione sul sinallagma a favore della conduttrice, ricordando che aveva anche chiesto prova al riguardo.

La Corte d’appello ha intrapreso una via di mezzo: in primo luogo ha escluso la nullità della clausola 5 ex art. 79, aderendo a Cass. 8705/2015 tramite il già segnalato rinvio alla giurisprudenza di cui si era avvalso il primo giudice (si nota, per inciso, che la sentenza d’appello è stata pronunciata nel febbraio 2018); però si era attivata a interpretare la suddetta clausola come riguardante esclusivamente l’indennità dell’art. 34, comma 1, e quindi come non incidente sulla indennità del comma 2, condannando in conseguenza YYYYY a corrispondere all’appellante proprio l’indennità dell’art. 34, comma 2.

Di qui il ricorso di YYYYY, ma anche il ricorso incidentale di XXXXX, perché la posizione “mediana” assunta in tal modo dal giudice d’appello ha suscitato doglianze da ambo le parti.

3.4 E’ logico allora partire dalla questione dirimente, oggetto, in termini pregiudiziali, del primo motivo del ricorso incidentale: la clausola 5 è o no nulla ex art. 79?

Tale questione è stata approfonditamente esaminata da questa Suprema Corte, nell’ambito di una complessiva iniziativa di stabilizzazione della giurisprudenza locatizia, con Cass. sez. 3, 30 settembre 2019 n. 24221. E’ pertanto opportuno riportarne quella parte della motivazione che è stata destinata proprio a ricostruire ex professo l’attuale significato dell’art. 79, alla luce del percorso giurisprudenziale ad esso dedicato:

“L’istituto della indennità per la perdita dell’avviamento è stato inteso dal legislatore come strumento di tutela dell’affidamento del conduttore sulla durata del godimento dell’immobile, che – evidentemente – ben può incidere sugli esiti dell’attività per cui l’immobile è stato locato: L. 392 del 1978 art. 34, infatti, al comma 1 indica come presupposto che la cessazione del rapporto locatizio “non sia dovuta a risoluzione per inadempimento o disdetta o recesso del conduttore o a una delle procedure previste dal R.D. 16 marzo 1942, n. 267”, e significativamente poi al comma 2 aumenta l’indennità per l’ipotesi in cui entro un anno la stessa attività o comunque attività affini vengano svolte nel medesimo immobile.

Lo scopo di tutela è d’altronde confermato dall’art. 35, che esclude l’indennità laddove la cessazione del contratto, nel senso del venir meno della fruizione di un determinato immobile, non incida sull’attività del conduttore, fattispecie indicate dallo stesso articolo.

E’ pertanto evidente che l’indennità di avviamento, nei contratti non riconducibili all’art. 35, ontologicamente si colloca nell’equilibrio sinallagmatico negoziale. La sua natura è orientata a favore del conduttore, e quindi in tale versante viene ad inserirsi nel controbilanciamento dei rispettivi interessi che forma l’equilibrio sinallagmatico.

Il legislatore, peraltro, impone un confine all’autonomia negoziale mediante l’art. 79 della stessa legge… Non sussiste nell’art. 79 un espresso riferimento all’indennità ex art. 34, la quale, a ben guardare, avrebbe potuto anche essere qualificata, anziché “vantaggio” – nel senso di un quid pluris nella posizione sinallagmatica rispetto a quella consentita a controparte, ovvero una correlazione conformata ex lege a favore del conduttore, in sintonia con la tradizionale ottica della c.d. parte debole -, uno strumento di reintegrazione sinallagmatica (e quindi il recupero di un equilibrio ab origine tendenzialmente paritario, diretto a sopire gli effetti di uno scioglimento del contratto oggettivamente favorevole solo – o soprattutto – al locatore) considerato che non vi è diritto a tale indennità se il rapporto ha raggiunto la durata prevista; ma la natura fortemente protettiva della ratio della L. 392/1978, pervasa – come si è appena detto – dalla figura della “parte debole”, identificata automaticamente e sempre nel conduttore, ha generato una scelta interpretativa ormai del tutto inequivoca e stabile… la giurisprudenza di questa Suprema Corte si è schierata nel senso di intendere l’indennità un vantaggio, e non un recupero, rectius, una reintegrazione; e in misura nettamente dominante ha dunque creato un orientamento per cui la nullità inflitta dall’art. 79 presidia norme imperative che hanno lo scopo “di impedire che il conduttore sia indotto ad accettare condizioni che ledono i suoi diritti pur di assicurarsi il godimento dell’immobile” (così, per esempio, Cass. sez. 3, 18 gennaio 2002 n. 537) mediante accordi che operano una elusione preventiva dei suddetti diritti concessi dalle norme imperative (in tal modo si esprime Cass. sez. 3, 12 novembre 2004 n. 21520; sulla stessa linea della ratio protettiva v., p. es., pure Cass. sez. 3, 3 aprile 1993 n. 4041, Cass. sez. 3, 12 ottobre 1998 n. 10081, Cass. sez. 3, 18 gennaio 2002 n. 537, Cass. sez. 3, 9 giugno 2003 n. 9197, Cass. sez. 3, 14 gennaio 2005 n. 675 e Cass. sez. 3, 24 novembre 2007 n. 24458).

Peraltro, l’art. 79 è stato inteso come riguardante le clausole del contratto, e pertanto non incidente su eventuali accordi posteriori (cfr. p. es. la citata Cass. sez. 3, 14 gennaio 2005 n. 675, per cui l’art. 79 – il quale “sancisce la nullità di ogni pattuizione diretta a limitare la durata legale del contratto di locazione o ad attribuire al locatore un canone maggiore a quello legale, ovvero ad attribuirgli altro vantaggio” contra legem – “mira ad evitare che al momento della stipula del contratto le parti eludano in qualsiasi modo le norme imperative… aggravando in particolare la posizione del conduttore”, senza però impedire che “al momento della cessazione del rapporto le parti addivengano ad una transazione in ordine ai rispettivi diritti ed in particolare alla rinuncia, da parte del conduttore, dopo la cessazione del rapporto, dell’indennità per la perdita dell’avviamento commerciale…”; e cfr. pure Cass. sez. 3, 28 agosto 2007 n. 18157).

E’ qui, a ben guardare, che si struttura il dispositivo ermeneutico che relativizza la tutela ravvisata nell’art. 79: si tratta di diritti disponibili, per cui, quando sono “sorti”, possono essere tolti, ovvero rinunciati. Si riconosce quella che, in effetti, è una riapertura ex post all’autonomia negoziale “classica”, affermando che l’art. 79 alla cessazione del rapporto non impedisce alle sue parti stipulare una transazione sui rispettivi diritti inseriti nel sinallagma che ha governato il rapporto stesso, e che in particolare non impedisce al conduttore di rinunciare all’indennità da perdita d’avviamento, anche in modo implicito, dal momento che l’art. 79 “e’ volto ad evitare la preventiva elusione dei diritti del locatario ma non esclude la possibilità di disporne una volta che essi siano sorti” (così, a proposito del diritto all’indennità Cass. sez. 3, 24 novembre 2007 n. 24458; conformi Cass. sez. 3, 22 aprile 1999 n. 3984, Cass. sez. 3, 3 aprile 1993 n. 4041, cit., e Cass. sez. 3, 8 febbraio 1990 n. 872; e questa impostazione da tempo si estende pure agli altri diritti del conduttore presidiati dall’art. 79: cfr. Cass. sez. 3, 19 novembre 1993 n. 11402, Cass. sez. 3, 24 settembre 1996 n. 8444, Cass. sez. 3, 9 giugno 2003 n. 9197, cit., Cass. sez. 3, 12 novembre 2004 n. 21520, cit., Cass. sez. 3, 14 gennaio 2005 n. 675, Cass. sez. 3, 10 giugno 2005 n. 12320 e, da ultimo, S.U. 15 giugno 2017 n. 14861).

Dunque, secondo la lettura tradizionale, colui che assume il ruolo di conduttore in un contratto di locazione commerciale quando lo stipula deve essere tutelato perché parte debole – è evidente l’influsso, se non addirittura il contagio, dell’ulteriore species del genus locatizio com’era disciplinata dalla L. 392 del 1978, la locazione ad uso abitativo -, così che i diritti dettati sul piano astratto dalle protettive norme imperative entrano, sul piano concreto, nel negozio stipulato; peraltro, quando il negozio è stato stipulato – e i diritti hanno quindi acquisito, in concreto appunto, la fonte negoziale cui si devono rapportare – il conduttore si converte da parte debole in parte “paritaria” rispetto al locatore, proprio per questo potendo disporre di tali diritti, sia nell’ambito di negozi transattivi, sia mediante una mera rinuncia dei diritti stessi. I diritti devono sorgere, ma, una volta sorti, possono appunto essere “tolti di mezzo”.

La non linearità di questa struttura interpretativa nella locazione commerciale ha dato luogo ad un orientamento contrario a quello dominante che l’ha adottata: orientamento contrario che, peraltro, è rimasto assai debole.

Tra gli arresti massimati capostipite ne è Cass. sez. 3, 20 ottobre 1995 n. 10907, sentenza massimata nel senso che nella locazione immobiliare commerciale “vige il principio della libertà di determinazione del canone, per cui, tendendo l’art. 79 della L. n. 392 del 1978 a garantire l’equilibrio sinallagmatico del contratto secondo la valutazione operata dal legislatore, non sono stati imposti limiti all’autonomia negoziale con riguardo alla previsione di un canone in misura inferiore a quella originariamente concordata, ove la stessa trovi la sua giustificazione nella rinuncia, da parte del conduttore, ai diritti derivantigli dal contratto di locazione, relativamente alla prelazione e, conseguentemente, al riscatto ed all’indennità di avviamento commerciale.”

Ad essa si è richiamata dieci anni dopo Cass. sez.3, 12 luglio 2005 n. 14611, massimata esattamente come la precedente con l’aggiunta che la rinuncia preventiva del conduttore “deve trovare il suo corrispettivo sinallagmatico all’interno del contratto stesso di locazione.” Questa presa di posizione, in motivazione, non si estende oltre quel che era già riportato nella massima dell’arresto precedente (“…va osservato che in tema di locazione di immobile ad uso non abitativo vige il principio della libertà di determinazione del canone, per cui, tendendo l’art. 79 della L. n. 392 del 1978 a garantire l’equilibrio sinallagmatico del contratto secondo la valutazione “operata dal legislatore, non sono stati imposti limiti all’autonomia negoziale con riguardo alla previsione di un canone in misura inferiore a quella originariamente concordata, ove la stessa trovi la sua giustificazione nella rinuncia, da parte del conduttore, ai diritti derivantigli dal contratto di locazione, relativamente alla prelazione e, conseguentemente, al riscatto ed all’indennità di avviamento commerciale (Cass. 20/10/1995, n. 10907). In altri termini, al fine di sfuggire alla nullità ex art. 79 cit., la rinunzia preventiva da parte del conduttore ad uno dei diritti predetti deve trovare il suo corrispettivo sinallagmatico all’interno del contratto stesso di locazione.”).

Infine, ancora dopo circa dieci anni, questo fiumicello nascosto riaffiora in Cass. sez. 3, 29 aprile 2015 n. 8705, a sua volta massimata in modo analogo…, la quale tratta un caso che potrebbe dirsi affine – se il thema decidendum, come conformato nel ricorso, fosse in tal senso idoneo; ma questo si vaglierà infra – a quello in esame.

L’arresto del 2015 motiva infatti affermando che correttamente il giudice di merito aveva “ritenuto legittima la clausola contrattuale recante sostanziale rinuncia all’indennità per la perdita dell’avviamento commerciale rilevando che, “secondo quanto ammesso dallo stesso conduttore e comprovato dalla scrittura contrattuale, ne era rimesso lo scomputo sull’ammontare del canone”. Al riguardo si osserva che questa Corte ha affermato che in tema di locazione di immobile ad uso non abitativo vige il principio della libertà di determinazione del canone, per cui, tendendo la L. n. 392 del 1978, art. 79 a garantire l’equilibrio sinallagmatico del contratto secondo la valutazione operata dal legislatore, non sono stati imposti limiti all’autonomia negoziale con riguardo alla previsione di un canone in misura inferiore a quella originariamente concordata, ove la stessa trovi la sua giustificazione nella rinuncia, da parte del conduttore, ai diritti a lui derivanti dal contratto di locazione, relativamente alla prelazione e, conseguentemente, al riscatto ed all’indennità di avviamento commerciale (Cass. 20 ottobre 1995, n. 10907; Cass. 12 luglio 2005, n. 14611). Di tale principio risulta aver fatto corretta applicazione la Corte di merito.” (si nota per inciso che di tutte e tre le sentenze di orientamento minoritario dà atto, pur senza affrontare realmente il problema, la corte territoriale nelle pagine 15-16 della motivazione della sentenza impugnata).

Quest’ultima pronuncia, evidentemente, segue in modo davvero conforme la pronuncia capostipite, e ne patisce la stessa criticità. La sentenza del 1995, infatti, motivava come si verrà ora a esporre.

Dinanzi ad un caso in cui in un contratto di locazione ad uso commerciale il conduttore aveva espressamente rinunciato ai diritti di prelazione e di riscatto e all’indennità per la perdita dell’avviamento commerciale in una specifica clausola – la clausola 11 -, e in cui il ricorrente lamentava violazione dell’art. 79, adducendo tra l’altro che “la clausola n. 11 che prevede tali abdicazioni non si configurerebbe tecnicamente come “rinuncia”, bensì come pattuizione diretta ad escludere un diritto che per legge sarebbe spettato al locatario in maniera ineludibile”, e quindi sarebbe nulla, si è affermato che detta clausola godeva di “piena validità” in quanto la rinuncia ai suddetti diritti “costituisce il corrispettivo della rinuncia, da parte del locatore, a percepire un canone mensile nella misura già pattuita e, quindi, rappresenta la controprestazione della concordata riduzione del canone.”. Segue il passo che è stato elevato a massima (“Invero in tema di locazione di immobile ad uso non abitativo – come quello in esame – vige il principio della libertà di determinazione del canone per cui, tendendo l’art. 79 legge suddetta soltanto a garantire l’equilibrio sinallagmatico del contratto secondo la valutazione operata dal legislatore, non sono stati imposti limiti all’autonomia negoziale con riguardo alla previsione di un canone in misura inferiore a quella concordata, ove la stessa trovi la sua giustificazione nella rinuncia, da parte del conduttore, ai diritti derivantigli dal contratto di locazione, relativamente alla prelazione e, conseguentemente, al riscatto ed all’indennità di avviamento commerciale, di talché deve escludersi la violazione del richiamato art. 79”) per giungere poi al rilievo – su quel che, a ben guardare, è il punctum dolens del ragionamento – che “il giudice del gravame ha incensurabilmente accertato che unico fu il contratto stipulato” e che in tale contratto il conduttore “rinunciò al diritto di prelazione e di riscatto, nonché al diritto all’indennità per la perdita di avviamento, essendo stata tale rinunzia compensata – all’atto della stipula del contratto – con una misura del canone inferiore a quella effettivamente concordata. Pertanto, contrariamente a quanto assume il ricorrente, le parti stipularono non due contratti, bensì uno solo, nel quale dopo aver, fra l’altro, concordato la misura del canone, la ridussero per aver il conduttore rinunciato ai diritti nascenti dal contratto medesimo, quale quello di prelazione o di riscatto e di indennità per la perdita dell’avviamento. Tale rinuncia conseguì ad una valutazione complessiva dei contrapposti diritti ed interessi dei contraenti legati da nesso di reciprocità, sicché giustamente la Corte barese ha tratto la convinzione della vantaggiosità della clausola… per il conduttore che, in caso contrario, non l’avrebbe certamente accettata. L’interpretazione data dal giudice del gravame al contratto di locazione de quo ed in particolare alla pattuizione n. 11 è indubbiamente corretta siccome conforme alle norme stabilite dagli artt. 1362 e segg. c.c.”.

Questa argomentazione è agevolmente criticabile, in quanto, come si è appena visto, si fonda sul presupposto che la rinuncia a determinati diritti “di favore” inseriti dal legislatore nel paradigma della locazione commerciale costituirebbe un corrispettivo sinallagmatico a fronte della diminuzione di un canone già pattuito/concordato, pur non essendovi stato ancora alcun contratto.

Definire concordato un canone al punto che per diminuirlo occorre rinunciare ai diritti che il legislatore attribuisce appare intrinsecamente contraddittorio, per non dire un fragile espediente non corrispondente al vero. Si prospetta, infatti, una scissione, o una graduazione progressiva, nella determinazione del contenuto del contratto, svincolando una parte dell’oggetto delle trattative precontrattuali dalla residua parte, così da qualificare già concordati elementi essenziali come il canone quando in realtà la trattativa è ancora aperta e giunge, infatti, ad un canone diverso. In realtà, non sussiste un canone concordato che viene abbassato con la rinuncia: sussiste invece, nella notoria realtà commerciale, un canone preteso (nel senso di rigidamente proposto) dal soggetto che tratta come futuro locatore e che questo soggetto si dichiari disponibile a diminuirlo qualora la potenziale controparte gli proponga a sua volta dei particolari vantaggi; e quindi, nei casi di cui si tratta, tali peculiari vantaggi sarebbero consistiti nel mancato inserimento – quale esito delle trattative precontrattuali – nel regolamento negoziale di diritti stabiliti dal legislatore venendo utilizzata l’autonomia negoziale (in questa sede però, secondo la giurisprudenza predominante, insussistente per la natura imperativa delle norme) per farne oggetto di asportazione del sinallagma tipico del contratto delineato dalla legge.

Che l’autonomia negoziale nel contratto di locazione ad uso commerciale comunque sussista – il che potrebbe sì condurre a rimeditare l’interpretazione dell’art. 79 e, a monte, l’imperatività delle norme che stabiliscono determinati diritti del conduttore – è una cosa; che il contratto si concluda per stadi separati, così da poter configurare come naturale una condotta – in realtà alquanto autolesionista – dell’aspirante conduttore che prima accetta canone per lui eccessivo (che diverrebbe il canone “concordato”) e poi cerca di rimediare alla sua malleabilità negoziale “pagando” la correzione di quanto ha già concordato con la rinuncia, in un altro stadio di formazione del regolamento negoziale, a propri vantaggi legalmente previsti, è un’altra. E la configurabilità di quest’ultima prospettazione radicalmente non appare condivisibile, poiché la determinazione del contenuto del regolamento negoziale non può che essere unitaria, dal momento che il sinallagma si concretizza nella globalità dell’accordo (cfr. art. 1363 c.c.).

La realtà è che l’art. 79 – come già si accennava – costituisce effettivamente una sorta di intrusione, nel paradigma della locazione ad uso commerciale, del paradigma all’epoca della c.d. legge dell’equo canone imposto alla locazione ad uso abitativo, tipo contrattuale socialmente inteso come strumento assistenziale. Il legislatore del 1978 ha scelto di disciplinare entrambi i tipi di locazione in un unico testo normativo, e la tanto forte quanto pervadente percezione del conduttore come parte debole nella locazione abitativa – al punto che il legislatore ha ritenuto di dover determinare direttamente il canone, “ingabbiando” l’elemento fondamentale del sinallagma – ha contagiato anche la figura del conduttore nella locazione commerciale.

Forse ancor più oggi, a distanza di decenni dalla legge del 1978, non è agevole comprendere la ragione per cui chi svolge un’attività commerciale debba essere reputato parte debole – o comunque debba esserlo sempre – in rapporto ad un proprietario di immobile, quasi che in termini economici la proprietà immobiliare sia ontologicamente superiore all’attività di impresa. Tale generalizzazione della debolezza nel ruolo di conduttore in qualunque tipo di locazione non appare, in effetti, esente di criticità: e proprio questa “inquietudine” strutturale è sottesa alla interpretazione per cui, una volta sorti i diritti “di favore” per la parte debole, questa non è più debole ma pari all’altra, e può quindi rinunciarvi.

L’art. 79 non può, peraltro, essere “svuotato” con interpretazioni che, come si è visto, scardinano il concetto di contratto, trasformandolo in una fattispecie a formazione progressiva in cui le parti prima concordano una cosa e poi ne concordano un’altra per “smontare” quella precedente, ma rimanendo unico il contratto. Che norme come il diritto alla prelazione, il diritto al riscatto e il diritto all’indennità per perdita dell’avviamento contengano un vantaggio al conduttore (anziché una reintegrazione: quest’ultima, a ben guardare, potrebbe essere configurabile soprattutto proprio per il caso dell’art. 34) è comunque una lettura consolidata, condivisa anche da quel minoritario orientamento che, come si è visto, tali vantaggi ritiene rinunciabili. Allo stato della normativa, quindi, come percepita in certa lex, il conduttore continua ad essere investito di un ruolo di parte debole quando stipula il contratto locatizio commerciale, e deve pertanto posticipare il libero esercizio della sua autonomia negoziale a quando il contratto è stato già stipulato.

Questa criticità, sia sul piano giuridico (la disponibilità dei diritti trasforma immediatamente la parte debole in una parte rinunciante nei diritti di cui è già titolare) sia sul piano socioeconomico (come già si accennava, incomprensibile è la qualificazione dell’imprenditore commerciale come soggetto sempre debole rispetto a qualunque proprietario immobiliare, prescindendo dalla concreta configurazione delle posizioni economiche di entrambi), trascorsi ormai più di quarant’anni dal testo normativo da cui discende ed essendo stato modificato nel frattempo proprio il paradigma della locazione abitativa che nella sua versione originaria aveva, come un contagio, generato la criticità suddetta, meriterebbe tuttavia, anche de jure condendo, di essere superata, infrangendo quella debolezza del conduttore che, nella locazione non abitativa, quale canone generale pare integrare una fictio juris et de jure.

La consolidata giurisprudenza di questa Suprema Corte è riemersa anche dopo l’ultimo elemento di deviazione interpretativa: tra gli arresti massimati, Cass. sez. 3, 13 giugno 2018 n. 115373 ha ribadito: “L’art. 79 della L. 27 luglio 1978, n. 392, il quale sancisce la nullità di ogni pattuizione diretta a limitare la durata legale del contratto di locazione o ad attribuire al locatore un canone maggiore di quello legale, ovvero ad attribuirgli altro vantaggio in contrasto con le disposizioni della legge stessa, non impedisce al conduttore di rinunciare all’indennità per la perdita dell’avviamento commerciale, purché ciò avvenga successivamente alla conclusione del contratto, quando può escludersi che il conduttore si trovi in quella posizione di debolezza alla cui tutela la richiamata disciplina è preordinata”, in motivazione espressamente rimarcando la non condivisibilità, appunto, di Cass. sez. 3, 29 aprile 2015 n. 8705. E, sempre in tema, l’ancor più recente Cass. sez. 3, ord. 23 agosto 2018 n. 20974, in motivazione, qualifica le norme imperative rinvenibili nella L. 392/1978 come apportanti “la limitazione dell’autonomia contrattuale in vista di un’esigenza sociale ritenuta meritevole di tutela preferenziale”, definendo l’art. 79 “una norma di chiusura che prevede la sanzione della nullità a tutela di alcuni diritti ritenuti oggetto di particolare protezione, in perfetta concordanza con l’intero impianto e con la filosofia sottesa alla L. 392/78”, per cui la giurisprudenza di questa Suprema Corte afferma appunto che “solo successivamente alla conclusione del contratto, quando il conduttore non si trova più in una posizione di debolezza per il timore di essere costretto a lasciare l’immobile dove svolge l’attività commerciale, vi è la possibilità per le parti di negoziare in ordine ai diritti nascenti dal contratto ed in particolare in ordine al diritto all’indennità di avviamento” (l’ordinanza qui richiama arresti del tutto conformi alla linea predominante; e cfr. pure, sempre a proposito dei limiti dell’autonomia negoziale delle parti nella locazione commerciale, Cass. sez. 3, 14 marzo 2018 n. 6124, che, a proposito della conformazione del canone, si innesta nell’attiguo filone relativo all’art. 32 L. 392/1978 di cui i più recenti arresti massimati sono Cass. sez. 3″ 11 ottobre 2016 n. 20384 e Cass. sez. 3, 7 febbraio 2013 n. 2961). ”

3.5 Questa completa e accurata ricostruzione, intensamente argomentata, non manifesta alcuna crepa, né logica né tantomeno giuridica. D’altronde, essa ha perseguito la ratio della norma, che sempre deve essere la stella polare di una operazione ermeneutica, la quale quindi non può certo concretizzarsi in una lettura opposta alla ratio stessa, che artificiosamente, in ultima analisi, si renda disponibile a disapplicare la voluntas legis.

Né, tantomeno, l’interprete – come apertamente rileva la pronuncia appena riportata – può giungere ad un vero e proprio “rifacimento” del testo normativo, affidando semmai le criticità che appaiono non tollerabili al giudice delle leggi. E il testo qui in esame, anche se non completamente sintonizzato con l’attuale disciplina locatizia, non attinge tali profili di criticità costituzionale, rimanendo solidamente all’interno del perimetro della discrezionalità del legislatore ordinario, al quale pertanto compete un eventuale intervento di aggiornamento specifico, che tenga conto, per riportare l’autonomia negoziale alla massima misura, della ormai netta eliminazione della “parte debole” quantomeno nel paradigma locatizio commerciale.

3.6 Dalla soggezione all’art. 79 1.392/1978 di entrambe le indennità previste dall’art. 34 della medesima legge, con conseguente nullità della clausola contrattuale n. 5, deriva quindi che il primo motivo del ricorso incidentale è fondato, il che assorbe tutti gli altri motivi del ricorso incidentale stesso e il primo motivo del ricorso principale; il secondo motivo di quest’ultimo, poi, è ictu oculi infondato perché la questione della nullità della clausola era stata proprio devoluta dall’appellante al giudice di secondo grado, e il suo accertamento presupponeva, logicamente, l’interpretazione del suo contenuto.

4. In conclusione, deve accogliersi il ricorso incidentale quanto al primo motivo, assorbiti tutti gli altri motivi del ricorso medesimo e il primo motivo del ricorso principale, di cui viene rigettato il secondo; conseguentemente la sentenza deve essere cassata con rinvio, anche per le spese, alla medesima corte territoriale in diversa sezione e diversa composizione.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso incidentale quanto al primo motivo, assorbiti gli altri e il primo motivo del ricorso principale, di cui rigetta il secondo, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Bologna in diversa sezione e diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 3 maggio 2022.

Depositato in Cancelleria il 21 luglio 2022