Strada condominiale ed uso pubblico

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Settima)
ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 9054 del 2018, proposto dal Condominio R. di S., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Francesco Di Ciollo, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Comune di Sperlonga, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Giovanni Malinconico, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. per il Lazio – sez. staccata di Latina – Sezione I, n. 126/2018, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Sperlonga;
Visti tutti gli atti della causa;
Visto l’art. 87, comma 4-bis, cod. proc. amm.;
Relatore all’udienza straordinaria del giorno 22 marzo 2023 il Cons. Raffaello Sestini , nessuno presente per le parti;

Svolgimento del processo
1. Con Provv. n. 15139 del 2015 il Condominio si è visto, al contempo, revocare e annullare d’ufficio, ai sensi degli artt. 21-quinquies e 21-nonies della L. n. 241 del 1990, l’assenso alla d.i.a. presentata nel 2001 in forza della quale aveva collocato delle sbarre sulla Via V. I T. a destra al fine di ritagliare uno spazio da adibire a parcheggio veicoli riservato ai condomini.
A giustificazione della revoca l’amministrazione ha dedotto la proprietà comunale del tratto di strada intercluso e comunque la sua fruizione pubblica, desumibili dalle mappe catastali, dallo stradario comunale nonché dalla circostanza obiettiva che esso costituisce l’unica arteria di collegamento tra altre due vie comunali e sia tempo immemorabile percorsa dalla cittadinanza, con ogni mezzo, soprattutto per accedere agli edifici ed esercizi commerciali ivi ubicati, fra le quali l’unica farmacia comunale in esercizio. La sua chiusura al traffico ne avrebbe inoltre impedito l’uso, oltre che ai cittadini e ai turisti, anche al personale delle forze dell’ordine, della protezione civile e di soccorso, che perciò con maggiore difficoltà riuscirebbero ad adempiere ai loro compiti di mantenimento dell’ordine e della sicurezza pubblica.
Il Comune ha inoltre motivato il proprio intervento alla luce della mancata acquisizione del nulla osta paesaggistico per le opere realizzate, trattandosi di zona sottoposta a vincolo ambientale e visto il carattere inamovibile delle sbarre, costruite in calcestruzzo, tale da alterare in modo permanente lo stato dei luoghi.
Ne sono seguiti i provvedimenti, impugnati con motivi aggiunti, di riduzione in pristino e di regolamentazione della circolazione e della sosta nell’area.
2. In primo grado, davanti al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio – sede di Latina, respinta l’eccezione di giurisdizione sollevata dal Comune, il ricorso introduttivo e il primo e terzo ricorso per motivi aggiunti sono stati giudicati infondati sull’assunto che la necessità di garantire alla collettività la fruizione della via giustificasse la recessione dell’interesse egoistico dei condomini.
E’ stata altresì giudicata Ininfluente l’eventuale natura privata del dominio sulla strada, stante la nozione sostanzialistica di strada pubblica fornita dall’art. 2 del codice della strada (“l’area a uso pubblico destinata alla circolazione dei pedoni, dei veicoli e degli animali”), che dà rilevanza i) alla destinazione di fatto dell’area al transito di una moltitudine indistinta di persone che hanno il proprio centro di vita e di relazioni in un certo ambito territoriale, alla stregua di una servitù pubblica di passaggio, ii) alla concreta idoneità di quell’area a soddisfare esigenze di carattere generale, iii) all’esistenza di un titolo legittimante il diritto d’uso pubblico dell’area, che può essere integrato anche dalla consuetudine. Circostanze tutte di cui il Comune avrebbe dato idonea dimostrazione.
Secondo il TAR parimenti irrilevante sarebbe la mancata previsione di un indennizzo a tacitazione del danno, in termini di deprezzamento, che le unità immobiliari avrebbero subito a causa dell’indisponibilità di un parcheggio condominiale, né sarebbe persuasiva la censura appuntatasi sulla eterogeneità della motivazione del provvedimento di autotutela rispetto a quella comunicata nel preavviso di rigetto in violazione dell’art. 10-bis della L. n. 241 del 1990, non avendo il Condominio fornito un principio di prova di detta diversità.
Il secondo ricorso per motivi aggiunti è stato dichiarato improcedibile sull’assunto che l’ordinanza n. 82/2016 fosse stata annullata e sostituita dall’amministrazione con la successiva ordinanza n. 83/2016.
3. Per la relativa riforma il Condominio ha proposto il presente appello.

Motivi della decisione
1. In estrema sintesi, l’appellante ripropone in appello le censure di primo grado concernenti l’illegittimità del Provv. n. 15139 del 2015, e la conseguente erroneità dell’iter logico-giuridico percorso dal TAR, riconnettendola alle seguenti ragioni di fatto e di diritto.
1.1. Secondo il Condominio appellante, in primo luogo l’indubbia natura della d.i.a. quale atto oggettivamente e soggettivamente privatistico varrebbe a escludere in radice la configurabilità del potere di rimuovere in autotutela di un atto privo di spessore provvedimentale, laddove, invece, il TAR sembrerebbe aver aderito a una ormai superata concezione pubblicistica della d.i.a., allorché, in più occasioni, ha individuato l’oggetto del provvedimento di autotutela nell'”assenso tacito” alla d.i.a.
1.2. Ammesso e non concesso che l’amministrazione potesse spendere una siffatta potestà, essa comunque sarebbe stata esercitata in spregio ai limiti (temporali, motivazionali, procedimentali) che la conformano.
A tal proposito l’appellante fa notare come l’annullamento d’ufficio sia stato disposto a distanza di quattordici anni dalla presentazione della d.i.a., risalente al 2001, dunque abbondantemente dopo la decorrenza del termine fisso di diciotto mesi introdotto dalla L. n. 124 del 2015 (invero da prendere in considerazione soltanto come criterio interpretativo, costituendo essa ius superveniens rispetto al Provv. n. 15139 del 2015) e comunque ben oltre il termine elastico “ragionevole” (esso sì applicabile ratione temporis alla fattispecie provvedimentale in questione).
Neppure il Comune avrebbe rappresentato le specifiche ragioni di interesse pubblico di importanza tale da giustificare l’ablazione del bene della vita precedentemente attribuito, non potendo reputarsi a tal fine esaustivo il generico interesse della collettività al transito carrabile e automobilistico.
Il lungo tempo trascorso unitamente alla convinzione dei condomini, mai smentita dal Comune, di possedere essi la proprietà dell’area chiusa al traffico avrebbero ingenerato un incolpevole affidamento sulla immutabilità della situazione di fatto e di diritto (la permanenza delle sbarre). A irrobustire quell’affidamento, poi, avrebbe concorso la circostanza che la situazione facti e iuris rinvenga la sua fattispecie costitutiva non già in un atto autorizzatorio dell’amministrazione bensì nella legge (che attribuisce al privato il diritto soggettivo di intraprendere immediatamente l’attività dichiarata). Il Comune, allora, agendo in autotutela avrebbe irragionevolmente calpestato quella fiducia nella definitiva acquisizione del bene della vita.
1.3 – A propria volta l’assenza del nulla osta paesaggistico non avrebbe potuto integrare, nel caso di specie, un vizio di legittimità idoneo a giustificare l’attivazione del potere ex art. 21-nonies, dal momento che l’apposizione di sbarre in metallo, prive di strutture murarie, sarebbe riconducibile al novero degli interventi di manutenzione ordinaria soggetti al regime giuridico dell’attività edilizia libera, né comporterebbe una trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio pregiudizievole dei valori paesaggistici tutelati (in questi termini la consulenza tecnica di parte).
1.4 – Analogamente illegittima si paleserebbe la revoca, oltre che per l’inconsistenza delle sopravvenute ragioni di interesse pubblico, poichè disposta per una finalità (il ripristino della viabilità) eterogenea rispetto a quelle, eccezionali, tassativamente previste dalla disciplina vigente al tempo in cui l’amministrazione agì in autotutela. L’appellante fa, infatti, notare come l’art. 19, comma 4, L. n. 241 del 1990, nella sua versione originaria (prima della Riforma Madia), autorizzasse le p.a. ad assumere determinazioni in autotutela soltanto a fronte della ricorrenza di un “pericolo di danno per il patrimonio artistico e culturale, per l’ambiente, per la salute, per la sicurezza pubblica o la difesa nazionale”.
1.5 – Tra l’altro la necessità di una rivalutazione dell’interesse pubblico sarebbe stata provocata da un contegno colposo dell’amministrazione comunale stessa, trovatasi costretta a porre rimedio alle esigenze del traffico cittadino a causa della sua scelta di costruire una pista ciclabile sulle adiacenti via C. C. e via R. che ha comportato la loro trasformazione in strade a senso unico, con inevitabili ripercussioni sulla viabilità delle zone circostanti (citando la pronuncia del TAR Lazio – Latina n. 372/2014).
2. L’appellante pone, poi, la questione della titolarità del dominio sull’area chiusa al traffico (motivi II e IV) rivendicandone la proprietà e il possesso esclusivo e continuativo. All’uopo rammenta che: il titolo formale di proprietà è rappresentato dall’atto notarile di compravendita del 13.4.1966 di acquisizione delle particelle su cui insiste il complesso edilizio e l’ara di pertinenza; la natura di “area cortilizia condominiale” sarebbe stata accertata dal Tribunale ordinario di Latina nel giudizio NRG 806/2011; l’amministrazione comunale non avrebbe mai acquistato coattivamente la proprietà per mezzo di un formale provvedimento di esproprio; gli artt. 822 e 824 c.c. e l’art. 2 cod. della strada andrebbero, infatti, interpretati nel senso di disciplinare soltanto la ripartizione tra gli enti territoriali delle strade pubbliche, lasciando impregiudicata la necessità di un formale atto negoziale o giudiziale di incameramento nel patrimonio demaniale di beni originariamente privati (ad es. un decreto di esproprio o un contratto di compravendita o una sentenza di accertamento dell’usucapione), altrimenti sarebbe sufficiente il fatto obiettivo dell’uso pubblico per acquistare qualsiasi fondo privato; il Comune stesso avrebbe dato per presupposta l’appartenenza della strada al Condominio allorché, in occasione di taluni eventi (“5 Rally Ronde Città di Sperlonga” tenutosi il 15.12.2013 e la “Notte Bianca Sperlonga 2015 I edizione” svoltasi il 26.06.2015) aveva esortato l’amministratore condominiale a protrarre l’apertura delle sbarre oltre il consueto orario per agevolare il flusso dei turisti e residenti nelle vie limitrofe e, di fronte al diniego opposto, non aveva ulteriormente insistito nella richiesta; il Condominio ha pagato fio al 2016 anche la tassa per il passo carrabile; i condomini hanno sempre utilizzato l’area cortilizia per parcheggiarvi le proprie autovetture.
Né sull’area in discussione risulta esser stata costituita una qualche servitù pubblica di passaggio.
Non varrebbe a catalogarla come ‘strada ad uso pubblico’ la sua iscrizione nello stradario comunale, stante la natura meramente dichiarativa degli elenchi delle vie comunali, né la circostanza che soltanto percorrendola possa accedersi alla farmacia comunale (tanto che durante l’orario di apertura il Condominio lasci alzate le sbarre), né che su di essa avvenga quotidianamente il transito pubblico (peraltro mai tollerato dai condomini).
Insomma “non esiste alcuna strada pubblica o di uso pubblico”. Sarebbe, pertanto, incorso nel vizio di ultrapetizione il TAR nella parte in cui ha, d’ufficio, accertato e dichiarato la pubblicità della proprietà della strada o comunque del suo uso.
Senza considerare, inoltre, come ciò che il Comune denomina “strada” non è in realtà tale, trattandosi piuttosto di una “pertinenza” del Condominio (area cortilizia e pertinenziale).
3. In terzo luogo l’appellante ripropone il vizio procedimentale per violazione dell’art. 10-bis della L. n. 241 del 1990, avendo l’amministrazione tradito, si afferma, il suo obbligo di tenere in considerazione gli apporti partecipativi del Condominio e di motivare le ragioni della loro non plausibilità nonché l’obbligo di dedurre a fondamento del provvedimento finale ragioni già prospettate nel preavviso di rigetto. Sotto questo punto di vista, il Comune si sarebbe limitato a riferire come dallo stradario comunale e dalla documentazione catastale risultasse l’uso pubblico della via.
4. In quarto luogo l’appellante lamenta l’omessa pronuncia da parte del TAR sulle censure prospettate con il primo e terzo ricorso per motivi aggiunti, essendosi il Tribunale limitato a dichiararle assorbite subito dopo aver acclarato l’infondatezza nel merito del ricorso introduttivo. Le doglianze, che in sostanza ripetono i motivi di ricorso avverso la determinazione in autotutela n. 15139/2015, sono perciò riproposte.
4.1. L’illegittimità dell’ordinanza n. 10/2016 deriverebbe dalla superfluità, per le ragioni dette sub 1.2, del preteso nulla osta paesaggistico ai fini dell’installazione di una sbarra metallica, senza strutture murarie, allo scopo di controllare l’accesso di terzi su un suolo di proprietà privata.
In ogni caso, l’ordine di demolizione e riduzione in pristino ex art. 35 del T.U. Edilizia costituirebbe una misura sproporzionata rispetto alla tipologia di opera. Essa, non determinando l’opera una volumetria aggiuntiva, è qualificabile come “intervento minore” e, come tale, sanzionabile con la sanzione pecuniaria ex art. 37 del T.U. Edilizia ove realizzata in assenza o in difformità della d.i.a.
4.2. Erronea sarebbe la statuizione di improcedibilità del secondo ricorso per motivi aggiunti avverso l’ordinanza n. 82/2016, dichiarata sull’assunto che la stessa è stata annullata e sostituita dall’amministrazione con la successiva ordinanza n. 83/2016. Il TAR non avrebbe considerata che era stata impugnata anche l’ordinanza n. 78/2016.
4.3. Non è stato possibile impugnare l’ordinanza n. 83/2016 entro i 60 giorni dalla sua adozione a causa della scorretta condotta processuale del Comune. Poiché nella memoria del 19.9.2016 venivano richiamate le deleghe difensive già conferite al proprio legale Avv. Malinconico e riportate a margine delle memorie di costituzione in resistenza del ricorso introduttivo e del primo ricorso per motivi aggiunti, ciò ingenerò nella difesa del Condominio la convinzione che il Comune non si stava costituendo in giudizio anche per resistere al secondo ricorso per motivi aggiunti. Salvo poi produrre il 27.4.2017 l’ordinanza di conferimento del mandato difensivo (prot. n. (…) del 15.9.2016) di tutt’altro tenore, facendosi in essa espressa menzione della volontà di resistere anche al secondo ricorso per motivi aggiunti, nonché l’ordinanza n. 83/2016 a cui nella precedente memoria del 19.9.2016 non era stato fatto alcun cenno, sebbene già nell’agosto 2016 (dunque già prima del deposito della rammentata memoria) avesse sostituito l’ordinanza n. 82/2016.
Perciò il condominio, una volta venutone a conoscenza (appunto, quando è stata depositata in giudizio il 27.7.2017) l’ha immediatamente impugnata.
Nell’ordinanza n. 83/2016 è stato taciuto che l’apertura delle sbarre durante l’orario di attività della farmacia comunale non rinviene la sua causa in un atto dell’amministrazione comunale di riconoscimento di un diritto d’uso pubblico ma fu imposta da un provvedimento possessorio adottato dal giudice ordinario a seguito di un contenzioso tra la farmacia ed il Condominio, al quale il Comune restò estraneo.
5. Il Comune, rilevato che la domanda di giustizia del ricorrente verte attorno alla questione controversa della natura pubblica o privata della proprietà stradale o, comunque, dell’esistenza di un diritto d’uso pubblico di una strada privata, impugna il capo della sentenza che ha respinto l’eccezione di giurisdizione. Il TAR l’aveva disattesa osservando come il thema decidendum riguardasse la (il)legittimità dei provvedimenti amministrativi ablatori, rispetto al quale la questione della spettanza del diritto reale dovesse essere risolta incidentalmente.
5.1. Recepito il principio giurisprudenziale secondo cui l’uso pubblico di un bene non implica necessariamente la titolarità del diritto di proprietà o di altro diritto reale, il Comune rivendica la fruizione collettiva del tratto di strada sin dall’epoca di costruzione dell’edificio condominiale.
Il vincolo di destinazione ad uso pubblico sarebbe stato impresso sulla via già dal costruttore dell’edificio A.R., il quale nel “Progetto per la sistemazione viaria della zona in difformità del progetto a suo tempo approvato” dichiarò espressamente di voler creare un’arteria di collegamento tra le due vie comunali (quelle oggi denominate Via V. e Via A. L.R.) che consentisse un più agevole accesso alle costruzioni della zona e un rapido raggiungimento del centro commerciale, precisando altresì che non si sarebbe opposto all’uso pubblico di quel tratto stradale mediante cessione delle opere eseguite al Comune di Sperlonga.
Le dichiarazioni del costruttore sono corroborate dalle previsioni del P.R.G. Lo strumento pianificatorio, difatti, qualifica Via V. I T. a destra come strada di viabilità secondaria (v. Tav. 9); ne risalta la collocazione strategica: è parallela al lungomare e permette un più comodo e veloce collegamento con le altre aree del quartiere e con gli istituti scolastici della parte bassa di Sperlonga (v. Tav. 12 e 16); ne registra la preesistenza (v. Tav. 13).
Nello stesso senso deporrebbe anche la documentazione catastale, dalla quale risulterebbe come la strada sia sempre esistita e per di più catalogata come “strada pubblica”.
Oltretutto sarebbero integrate tutte le condizioni richieste dalla giurisprudenza, già valorizzate dal TAR, per ricavare la destinazione di fatto di una strada ad un uso pubblico.
Ulteriore indice presuntivo dell’esistenza di un diritto d’uso pubblico sarebbe rappresentato dal dato fattuale: lungo la strada sono situati alcuni esercizi commerciali, tra i quali l’unica farmacia in attività, raggiungibili soltanto attraverso essa. Proprio per “le esigenze della collettività e del pubblico interesse” il Tribunale ordinario di Latina avrebbe ordinato al Condominio di aprire le sbarre per permettere l’accesso alla strada durante l’orario di apertura della farmacia.
5.2. Tutto ciò premesso, il Comune rivendica la legittimità del suo agire.
5.3. Inoltre il Comune ripropone l’eccezione di tardività delle censure avverso il Provv. n. 15139 del 2015 dedotte con il secondo ricorso per motivi aggiunti.
6. Per mezzo delle memorie depositate il 17.2.2023 e il 27.2.2023 l’appellante avanza istanza di sospensione del giudizio in attesa della definizione del processo civile attualmente pendente dinanzi al Tribunale di Latina (NRG 2799/2016), incardinato dal Condominio con azione negatoria ex art. 949 cod. civ. L’appellante invita il Collegio a non tener conto delle risultanze della CTU – stando alle quali la strada in discussione, pur di proprietà del Condominio, sia gravata da una servitù pubblica -in quanto, a suo dire, dolosamente false.
6.1 – L’appellante fa altresì notare come tra i documenti prodotti dal Comune appellato non sia rintracciabile alcuna dichiarazione a firma del costruttore A.R. a riscontro della sua intenzione di destinare Via V. I T. a destra a uso pubblico. Inoltre le Visure storiche del 19 e 24 febbraio 2016 (cfr. le Annotazioni) dimostrerebbero la classificazione della porzione di terreno distinta in Catasto al fg. (…), p.lla (…) come “corte comune” del complesso edilizio. Proprio l’Agenzia delle Entrate darebbe atto dell’erronea classificazione come strada (“superficie erroneamente inclusa a strade”). D’altronde sull’area insisterebbero impianti di illuminazione e di smaltimento delle acque di proprietà e gestione condominiale.
7. Il Comune si oppone alla sospensione del presente giudizio, osservando che non sussiste alcun nesso di stretta pregiudizialità logico-giuridica tra le due cause, che le stesse non si trovano nello stesso stato e grado, come invece pretenderebbe l’art. 295 c.p.c. ai fini sospensivi della causa principale, e che il giudice amministrativo ben può, ai sensi dell’art. 8 c.p.a., accertare in via incidentale le questioni pregiudiziali relative a diritti soggettivi prospettategli dalle parti.
8 – Ai fini della decisione, il Collegio esclude in primo luogo che esista alcun nesso di stretta pregiudizialità logico-giuridica tra il giudizio in epigrafe e la causa pendente in sede civile, in quanto il risalente e notorio uso pubblico della strada, ancorché privata, giustifica in astratto l’adozione di provvedimenti finalizzati a garantirne la fruizione collettiva, quali quelli in questa sede impugnati.
Tali considerazioni valgono altresì’ a far escludere la fondatezza della tesi secondo cui, per ragioni di certezza dei traffici giuridici, occorrerebbero un formale atto di acquisito della proprietà privata affinché essa entri a far parte del demanio pubblico, non essendo un formale decreto di esproprio necessario in quanto a venire in discussione non è la titolarità privata della strada ma la titolarità in capo ai cittadini del diritto d’uso pubblico della strada ancorché privata.
9 – Nel merito, dalla documentazione allegata agli atti di causa risulta pienamente confermata la tesi argomentativa del TAR, secondo la quale la revoca della d.i.a. si è resa necessaria alla luce del sopravvenuto interesse pubblico di assicurare il transito necessario all’esercizio del diritto alla mobilità della cittadinanza e l’accesso dei cittadini alla farmacia comunale, nonché il transito degli appartenenti alle forze dell’ordine e di soccorso al fine di consentire loro di adempiere al meglio le loro delicate funzioni.
10 – Altrettanto doveroso risulta l’annullamento d’ufficio della d.i.a., considerato che, così come rilevato dal Comune, l’intervento edilizio in discussione si inserisce in una zona soggetta a vincolo paesistico e, stante l’utilizzo del calcestruzzo per impiantare le sbarre, altera in modo permanente lo stato dei luoghi. Circostanze che imponevano l’acquisizione del parere paesaggistico della competente autorità.
11 – Infine, essendo l’amministratore condominiale ed i condomini a conoscenza della vigenza del vincolo di tutela ambientale e, conseguentemente, della indispensabilità del relativo nulla osta per poter intraprendete i lavori, non è ipotizzabile alcuna lesione del loro legittimo affidamento, ed anche quanto alla dedotta violazione del limite temporale di ragionevolezza, rileva la scoperta da parte dell’amministrazione della causa di illegittimità quale termine per comunare il decorso dello sesso termine.
12 – Sul piano procedimentale, la censura di violazione dell’art. 10-bis della L. n. 241 del 1990 non risulta dirimente essendo state valutate, seppur poi non accogliendole, le osservazioni presentate dal Condominio istante, fermpo restando che il procedimento, stante la natura vincolata e doverosa dei poteri repressivi degli abusi edilizi, non avrebbe comunque potuto avere un diverso epilogo.
13 – In ultimo, quanto alle censure direttamente concernenti la sentenza appellata, la stessa non palesa alcun vizio di ultrapetizione essendosi espressa incidenter tantum sull’esistenza di un uso pubblico della strada al fine di poter decidere la questione principale , né ha omesso di pronunciarsi sulle censure dedotte con i motivi aggiunti, in quanto gli stessi ripetevano le doglianze dedotte col ricorso introduttivo e scrutinate dal Tribunale, fermo restando che il terzo ricorso per motivi è stato proposto tardivamente, essendo stata l’ordinanza n. 83/2016 ritualmente pubblicata sull’albo pretorio dal 12 al 27 agosto 2016 ed essendo stata, nel mese di settembre 2016, apposta cartellonistica stradale che, in esecuzione della nuova ordinanza, segnalava uno stallo di sosta riservato alla farmacia nello spazio antistante il locale, parcheggi riservati al carico e allo scarico delle merci e il parcheggio delle autovetture in orizzontale lato muro di confine, trattandosi di previsioni non compatibili con l’uso esclusivo dell’area da parte del Condominio.
14. Alla stregua delle pregresse considerazioni l’appello deve essere respinto.
Le spese seguono la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo.

P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Settima), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna il Condominio appellante a rimborsare al Comune intimato le spese del presente grado di giudizio, liquidate in Euro 4.000,00 (quattromila) oltre ad IVA, CPA ed altri oneri di legge ove previsti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Conclusione
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 22 marzo 2023 con l’intervento dei magistrati:
Marco Lipari, Presidente
Fabio Franconiero, Consigliere
Raffaello Sestini, Consigliere, Estensore
Giovanni Tulumello, Consigliere
Laura Marzano, Consigliere