Innovazione e modificazione

CORTE DI CASSAZIONE
Sez. VI civ., ord. 15.1.2019, n. 850

Fatti di causa e ragioni della decisione
D.B., anche quale erede di M.C., impugna, articolando due motivi di ricorso, la sentenza della Corte d’Appello di Bologna n. 2205/2017 del 28 settembre 2017.
Ma.Ch. e G.R. resistono con controricorso.
La Corte d’Appello di Bologna ha riformato la pronuncia resa in primo grado dal Tribunale di Bologna il 1° ottobre 2009, che aveva accolto la domanda di M.C. volta alla demolizione della terrazza in falda realizzata da Ma.Ch. e G.R. nell’appartamento di loro proprietà, trasformando parte del tetto condominiale, nell’edificio di Via ….
La Corte d’Appello, accogliendo il gravame avanzato da Ma.Ch. e G.R., ha evidenziato come la CTU espletata aveva dimostrato che la terrazza in falda, ricavata da un’asportazione del tetto per una larghezza di sei metri ed una profondità di quattro metri, era stata corredata da pavimentazione ed impermeabilizzazione, in grado di garantire la funzione di copertura e di protezione dagli agenti atmosferici.
I due motivi di ricorso di D.B., successore di M.C., deducono: 1) il primo, la falsa applicazione dell’art. 1102 c.c., trattandosi di terrazza delle dimensioni di mq. 25,80, in quanto tale da intendersi modifica del muro e del tetto comuni di portata significativa; 2) il secondo, la nullità della sentenza per omesso esame di fatto decisivo e carenza di motivazione, nonché falsa applicazione dell’art. 333 c.p.c., avendo la Corte d’Appello ritenuto coperta da giudicato la pronuncia del Tribunale che non aveva condannato i convenuti alla rimozione dei manufatti esterni dell’impianto di condizionamento, non essendovi stato appello incidentale sul punto.
(omissis)
In ordine al primo motivo di ricorso, deve evidenziarsi come l’intervento di ristrutturazione del tetto comune eseguito, nella specie, dai condòmini Ma.Ch. e G.R., non è riconducibile alla nozione di innovazione ex art. 1120 c.c., ma a quello di modificazione ex art. 1102 c.c. Invero, secondo l’interpretazione di questa Corte, le innovazioni di cui all’art. 1120 c.c. si distinguono dalle modificazioni disciplinate dall’art. 1102 c.c., sia dal punto di vista oggettivo, che da quello soggettivo: sotto il profilo oggettivo, le prime consistono in opere di trasformazione, che incidono sull’essenza della cosa comune, alterandone l’originaria funzione e destinazione, mentre le seconde si inquadrano nelle facoltà riconosciute al condomino, con i limiti indicati nello stesso art. 1102 c.c., per ottenere la migliore, più comoda e razionale utilizzazione della cosa; per quanto concerne, poi, l’aspetto soggettivo, nelle innovazioni rileva l’interesse collettivo di una maggioranza qualificata, espresso con una deliberazione dell’assemblea, elemento che invece difetta nelle modificazioni, che non si confrontano con un interesse generale, bensì con quello del singolo condomino, al cui perseguimento sono rivolte (Cass. Sez. 2, 04/09/2017, n. 20712).
L’interpretazione di questa Corte, che lo stesso ricorrente invoca, ha affermato che il condomino, proprietario del piano sottostante al tetto comune dell’edificio, può trasformarlo in terrazza di proprio uso esclusivo, sempre che un tale intervento dia luogo a modifiche non significative della consistenza del bene, in rapporto alla sua estensione, e sia attuato con tecniche costruttive tali da non affievolire la funzione di copertura e protezione delle sottostanti strutture svolta dal tetto preesistente, quali la coibentazione termica e la protezione del piano di calpestio di una terrazza mediante idonei materiali (omissis). Il ricorrente deduce che qui si ha riguardo ad un’apertura nel muro comune di oltre 25 metri quadri, ma la censura, per come formulata, comunque non consente a questa Corte di addivenire ad un nuovo apprezzamento di fatto su entità e consistenza delle opere per cui è causa in rapporto alla dimensione del tetto. È evidente come l’accertamento circa la non significatività del taglio del tetto praticato per innestarvi la terrazza di uso esclusivo e circa l’adeguatezza delle opere eseguite per salvaguardare la funzione di copertura e protezione dapprima svolta dal tetto, è riservato al giudice di merito e, come tale, non è censurabile in sede di legittimità per violazione dell’art. 1102 c.c., ma soltanto nei limiti di cui all’art. 360, comma 1, n. 5, c.c.
Nella specie, per quanto accertato in fatto, si ha riguardo ad un intervento di trasformazione di parte del tetto comune, con realizzazione di una terrazza ad asola. La legittimità della modifica dello stato dei luoghi è stata argomentata dai giudici di secondo grado con riferimento alla immutata consistenza e funzione del tetto.
Questa Corte ha più volte affermato come l’uso della cosa comune da parte di ciascun condomino è sottoposto, secondo il disposto dell’art. 1102 c.c., a due fondamentali limitazioni, consistenti nel divieto di alterare la destinazione della cosa comune e nell’obbligo di consentirne un uso paritetico agli altri condòmini. Simmetricamente, la norma in parola, intesa, altresì, ad assicurare al singolo partecipante, quanto all’esercizio concreto del suo diritto, le maggiori possibilità di godimento della cosa, legittima quest’ultimo, entro i limiti ora ricordati, a servirsi di essa anche per fini esclusivamente propri, traendone ogni possibile utilità, non potendosi intendere la nozione di “uso paritetico” in termini di assoluta identità di utilizzazione della “res”, poiché una lettura in tal senso della norma “de qua”, in una dimensione spaziale o temporale, comporterebbe il sostanziale divieto, per ciascun condomino, di fare, della cosa comune, qualsiasi uso particolare a proprio vantaggio. Ne consegue che qualora sia prevedibile che gli altri partecipanti alla comunione non possano fare un pari uso della cosa comune, la modifica apportata alla stessa dal condomino deve ritenersi legittima, dal momento che, in una materia in cui è prevista la massima espansione dell’uso, il limite al godimento di ciascuno dei condomini è dato dagli interessi altrui, i quali, pertanto, costituiscono impedimento alla modifica solo se sia ragionevole prevedere che i loro titolari possano volere accrescere il pari uso cui hanno diritto (omissis). Il più ampio uso del bene comune, da parte del singolo condomino, non configura, così, ex se una lesione o menomazione dei diritti degli altri partecipanti, ove, ad esempio, esso trovi giustificazione nella conformazione strutturale del fabbricato (cfr. Cass. Sez. 2, 09/06/1986, n. 3822).
(omissis)
Il ricorso va perciò rigettato e il ricorrente va condannato a rimborsare ai controricorrenti le spese del giudizio di cassazione nell’importo liquidato in dispositivo.
(omissis)

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a rimborsare ai controricorrenti le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in complessivi euro 4.200, di cui euro 200 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.