Idoneità della querela sporta dall’amministratore giudiziario

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ROSI E. – Presidente –
Dott. MESSINI D’AGOSTINI Piero – Consigliere –
Dott. BORSELLINO Maria D. – Consigliere –
Dott. PARDO Ignazio – Consigliere –
Dott. CIANFROCCA P. – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sui ricorsi proposti nell’interesse di:
A.A., nato a (Omissis);
B.B., nata a (Omissis);
contro la sentenza della Corte di appello di Palermo del 16.3.2022;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed i ricorsi;
udita la relazione svolta dal consigliere Pierluigi Cianfrocca;
letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Pirrelli Francesca Romana, che aveva concluso per il rigetto dei ricorsi.

Svolgimento del processo
1. Con sentenza del 16.7.2019, il Tribunale di Palermo aveva riconosciuto, tra gli altri, A.A. e B.B. responsabili dei reati loro in concorso ascritti e di cui ai capi c), e) ed f) della rubrica, tra i quali aveva ritenuto il vincolo della continuazione e, con le attenuanti generiche, li aveva condannati alla pena complessiva e finale di mesi 7 di reclusione oltre al pagamento delle spese processuali, concedendo loro i benefici della sospensione condizionale e della non menzione della condanna nel certificato penale spedito su richiesta di privati;
2. la Corte di appello di Palermo, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha assolto gli imputati dal delitto di danneggiamento perchè il fatto non sussiste ed ha perciò rideterminato la pena inflitta al A.A. ed alla B.B. in mesi 4 di reclusione con conferma nel resto;
3. ricorrono per cassazione il A.A. e la B.B. deducendo: 3.1 A.A., con ricorso sottoscritto dall’Avv. Venera Miccichè:
3.1.1 violazione e falsa applicazione dell’art. 529 c.p.p. e del D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 40: mancanza della condizione di procedibilità: rileva, infatti, che la Corte di appello ha disatteso la censura circa la inidoneità della querela sporta dall’amministratore giudiziario senza la autorizzazione del Giudice Delegato omettendo di motivare in ordine alla applicabilità, al caso di specie, dei principi elaborati in materia fallimentare;
3.1.2 violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 132 e 133 c.p., artt. 125 e 546 c.p.p. e art. 56 c.p. in relazione al capo e) della rubrica: osserva che la sentenza impugnata è priva di motivazione circa l’esistenza degli estremi della fattispecie incriminatrice quanto alla condotta relativa all’interno (Omissis) dell’immobile di (Omissis) nel quale la sua presenza sarebbe stata accertata per circa 24 ore ovvero per un tempo insufficiente ad integrare gli estremi del reato contestato, anche dal punto di vista dell’elemento soggettivo; aggiunge che la Corte, pur proclamando che la invasione arbitraria presuppone la introduzione nell’immobile per un apprezzabile lasso di tempo, ha tuttavia affermato che si tratterebbe di reato istantaneo; richiama, inoltre, le dichiarazioni rese dallo stesso ricorrente circa la impossibilità di utilizzare l’appartamento perchè insalubre ed invivibile; sottolinea che, in ogni caso, si sarebbe in presenza di delitto solo tentato;
3.2 B.B., con ricorso sottoscritto dall’Avv. Francesco Oddo:
3.2.1 vizio di motivazione in relazione agli artt. 56, 133 e 639-bis c.p., artt. 125, 530 e 546 c.p.p.: rileva che la sentenza impugnata va censurata per travisamento della prova in punto di responsabilità avendo dovuto pervenire alla sua assoluzione da tutti gli addebiti; riporta la deposizione della teste C.C. che aveva riferito di avere ospitato lei ed il marito, con i due figli, dal 2014 al settembre del 2016 e che la PG aveva riferito di averli rinvenuti il 31.8.2016 in un immobile ed il 26.9.2016 in un altro immobile difettando perciò, una condotta protrattasi per un apprezzabile lasso di tempo; riporta integralmente la deposizione del teste Dicembre e l’esame del coimputato A.A. le cui dichiarazioni la Corte di appello avrebbe travisato nella parte in cui quest’ultimo aveva riferito di aver occupato il secondo immobile per circa un anno; ribadisce che erano stati immediatamente allontanati dall’immobile di cui al capo c) ed erano rimasti solo qualche giorno in quello di cui al capo e), con conseguente assoluzione o, quantomeno, riqualificazione della condotta in termini di delitto tentato;
3.2.2 violazione di legge e vizio di motivazione in ordine agli artt. 131-bis e 133 c.p., artt. 125, 546 e 529 c.p.p.: richiamati i presupposti della causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis c.p., sottolinea come l’istituto non sia incompatibile con il reato permanente soprattutto quando sia stata riconosciuta una circostanza attenuante e dato conto della complessiva esiguità del fatto; ribadisce che il caso in esame consentiva senza dubbio di ritenere la causa di non punibilità che è stata tuttavia esclusa con motivazione incongrua e contrastante con gli elementi fattuali emersi;
3.2.3 vizio di motivazione in relazione all’art. 133 c.p., artt. 125 e 546 c.p.p.: richiama l’atto di appello in punto di dosimetria della pena, di cui la Corte non ha tenuto conto motivando sul punto in termini apodittici e sostanzialmente di stile, in sostanza omettendo di prendere in esame le doglianze difensive;
4. la Procura Generale aveva trasmesso le proprie conclusioni ai sensi del D.L. n. 137 del 2020, art. 23, comma 8, insistendo per il rigetto dei ricorsi: quanto al primo motivo del ricorso del A.A., rileva che, contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa, la validità della querela proposta dall’amministratore giudiziario che, come correttamente motivato dalla Corte di appello, è investito, per legge, del potere di gestione, conservazione e salvaguardia dei beni nell’esercizio di un mandato pubblico che lo legittima ad esperire in via autonoma e senza necessità dell’autorizzazione del giudice tutte le azioni a tutela dell’integrità del patrimonio amministrato contro qualsiasi azione di spoglio violento o comunque lesive degli interessi dell’amministrazione giudiziaria; quanto al secondo motivo del ricorso del A.A., osserva che la Corte, con ragionamento e deduzione logica e coerente, ha ritenuto indiscutibile che gli imputati si fossero introdotti abusivamente, al fine di occuparli insieme ai propri nuclei familiari, negli appartamenti acquisiti alla procedura di prevenzione patrimoniale fornendo adeguata motivazione circa l’affermazione di responsabilità; rileva, con riguardo al primo motivo del ricorso di B.B., che il vizio di “travisamento” deve riguardare una prova che non sia stata affatto valutata ovvero che sia stata considerata dal giudice di merito in termini incontrovertibilmente difformi (non già dal suo “significato” ma) dal suo “significante” e che venga individuata specificamente e “puntualmente” come idonea a disarticolare il ragionamento su cui si fonda la decisione; segnala che, alla luce di queste premesse, è escluso che nel caso di specie si sia in presenza di un travisamento della prova ma, semmai, di una difforme “lettura” delle dichiarazioni dei testi che non sono state affatto ignorate o pretermesse dai giudici di merito che le hanno specificamente considerate in termini che non possono ritenersi censurabili in questa sede ove non è possibile e non è consentito proporre una diversa (e, in ipotesi, pur altrettanto ragionevole e lineare) valutazione del dato istruttorio.
4. la difesa del A.A. ha trasmesso motivi nuovi segnalando che, quantomeno con riguardo al capo di imputazione sub e), la Corte di Appello, ha confermato la condanna degli imputati piuttosto che riconoscere la causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis c.p. che ben poteva ritenere anche di ufficio, come anche recentemente ribadito dalla giurisprudenza di legittimità sulla scorta della ricostruzione operata dalle SS.UU. del 2016;
5. la difesa di B.B. ha concluso per iscritto insistendo per l’accoglimento del ricorso contestando la diagnosi di manifesta infondatezza formulata dalla Procura Generale.

Motivi della decisione
I ricorsi vanno respinti in quanto, complessivamente, infondati.
1. Infondato è, innanzitutto, il primo motivo del ricorso proposto nell’interesse di A.A..
E’ stata in primo luogo la stessa Corte di appello a precisare che i fatti di invasione arbitraria di immobili erano procedibili a querela di parte in quanto, pur trattandosi di beni sottoposti a sequestro preventivo nell’ambito di una procedura di prevenzione, non era tuttavia ancora intervenuto il decreto finale di confisca con la conseguenza loro apprensione al patrimonio dello Stato.
I giudici palermitani, a fronte della specifica eccezione sollevata dalla difesa del A.A., hanno ritenuto che l’amministratore giudiziario nominato nell’ambito della procedura di prevenzione fosse legittimato a proporre querela, senza acquisire la previa autorizzazione del giudice delegato alla procedura, al pari di quanto è stato più volte ribadito con riguardo ai poteri spettanti al curatore del fallimento.
Rileva il collegio che del tutto correttamente la Corte ha ritenuto, da questo punto di vista, la posizione dell’amministratore giudiziario analoga a quella del curatore.
Ai sensi del D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 34, comma 5, l’amministratore giudiziario “… ha il compito di provvedere alla gestione, alla custodia ed alla conservazione dei beni sequestrati anche nel corso degli eventuali giudizi di impugnazione al fine di incrementare, ove possibile, la redditività dei beni medesimi”.
A fronte del dato normativo appena richiamato, va allora ed innanzitutto ribadito che quel che rileva, ai fini della legittimazione autonoma a sporgere querela, non è tanto la distinzione tra atti di ordinaria e quelli di straordinaria amministrazione quanto, piuttosto, l’ampiezza dei poteri attribuiti dalla legge come ricavabile dalla finalità di conservazione e di gestione dei beni cui è preposto l’amministratore giudiziario (cfr., per una considerazione analoga, riferita al legale rappresentante di una società di capitali, Sez. 2 -, n. 45402 del 25/09/2019, Paunovic, Rv. 277767 – 01 che ha giudicato idonea la querela sporta dal legale rappresentante di una società di capitali legittimato, in mancanza di uno specifico divieto statutario o assembleare, sporgere la querela senza necessità di specifico e apposito mandato, in quanto titolare dei poteri di gestione e di rappresentanza per tutti gli atti rientranti nell’oggetto sociale e per le attività funzionali al raggiungimento degli scopi della società, rilevando, a tal fine, non già la distinzione tra atti di ordinaria e straordinaria amministrazione, ma la verifica in concreto dei poteri e della facoltà conferite).
E’ in questa prospettiva, allora, che, anche recentemente, questa Corte ha potuto affermato che l’amministratore di condominio, in ordine alle proprie attribuzioni, come normativamente definite dall’art. 1130 c.c., è legittimato a sporgere querela in relazione ad un reato commesso in danno del patrimonio comune senza necessità di munirsi della previa autorizzazione o acquisire la successiva ratifica dell’assemblea, in ragione della detenzione qualificata rispetto alle risorse economiche del condominio e della necessità di assicurare il corretto espletamento dei servizi comuni (cfr., così, Sez. 5 -, n. 33813 del 26/05/2023, Breda, Rv. 284991 – 01).
In ogni caso, ed alla luce del disposto di cui al D.Lgs. del 2011, menzionato art. 31, non v’è dubbio che l’amministratore giudiziario, al pari del curatore del fallimento, abbia la “detenzione qualificata” dei beni attinti dalla misura reale che, perciò, lo legittima, per questo stesso motivo, a sporgere autonomamente querela nei confronti di chi abbia attentato alla loro integrità o disponibilità in capo alla procedura.
Ed è proprio alla luce della “detenzione qualificata” che questa Corte ha ritenuto la legittimazione autonoma del curatore del fallimento al pari di altri soggetti cui, pur in difetto della titolarità del diritto dominicale, compete funzionalmente un potere di fatto sul bene direttamente desumibile dai compiti loro assegnati per legge o per contratto: in quest’ottica, pertanto, si è potuta affermare la legittimazione a proporre querela del curatore del fallimento quale, per l’appunto, detentore qualificato dei beni della società fallita (cfr., Sez. 5 -, n. 34802 del 24/04/2019, Santoro, – Rv. 276646 – 01) al pari, peraltro, di quanto è stato sostenuto con riguardo al capo reparto di un supermercato (cfr., Sez. 5, n. 11968 del 30/01/2018, Piricò, Rv. 272696 – 01) o all’addetto alla sicurezza (cfr., Sez. 5 -, n. 3736 del 04/12/2018, Lafleur, Rv. 275342 – 01, che l’ha ribadita anche laddove egli non sia munito dei poteri di rappresentanza del proprietario, in quanto titolare della detenzione qualificata della cosa in custodia, che è compresa nel bene giuridico protetto dalla norma incriminatrice), al custode di uno stabilimento (cfr., Sez. 5, n. 55025 del 26/09/2016, Mocanu, Rv. 268906 – 01).
2. Il secondo motivo del ricorso proposto nell’interesse del A.A. ed il primo motivo del ricorso proposto nell’interesse della B.B., invece, sono formulati in termini non consentiti.
Le difese, infatti, hanno evocato, in primo luogo, il vizio di violazione di legge con riguardo alle fattispecie incriminatrici di cui i giudici di merito hanno di volta in volta ritenuto integrati, in punto di fatto, gli elementi costitutivi; in secondo luogo, I vizio di motivazione in punto di responsabilità o di sussistenza delle pur contestate circostanze aggravanti.
Quanto al primo profilo, della violazione di legge, è allora opportuno rilevare che i ricorsi, lungi dal delineare un vizio di legittimità, finiscono per contestare il giudizio di responsabilità, ovvero il risultato probatorio cui sono approdati i giudici di primo e secondo grado che, con valutazione per la maggior parte dei casi conforme delle medesime emergenze istruttorie, sono stati concordi nel ritenere al contrario tali elementi riscontrati nella ricostruzione della concreta vicenda processuale.
Vale la pena, allora, ribadire che il vizio di violazione di legge va dedotto contestando la riconducibilità del fatto – come ricostruito dai giudici di merito nella fattispecie astratta delineata dal legislatore; altra cosa, invece, è, come accade sovente ed anche nel caso di specie, contestare o mettere in dubbio che le emergenze istruttorie acquisite consentano di ricostruire la condotta di cui si discute in termini idonei a ricondurla al paradigma legale, operazione, questa, che è, invece, propria del giudizio di merito.
Con riguardo, poi, al vizio di cui all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), non è inutile ribadire che il sindacato di legittimità sulla motivazione del provvedimento impugnato deve essere mirato a verificare che quest’ultima: a) sia “effettiva”, ovvero realmente idonea a rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a base della decisione adottata; b) non sia “manifestamente illogica”, perchè sorretta, nei suoi punti essenziali, da argomentazioni non viziate da evidenti errori nell’applicazione delle regole della logica; c) non sia internamente “contraddittoria”, ovvero esente da insormontabili incongruenze tra le sue diverse parti o da inconciliabilità logiche tra le affermazioni in essa contenute; d) non risulti logicamente “incompatibile” con “altri atti del processo” (indicati in termini specifici ed esaustivi dal ricorrente nei motivi posti a sostegno del ricorso) in misura tale da risultarne vanificata o radicalmente inficiata sotto il profilo logico (cfr., Sez. 1, n. 41738 del 19/10/2011, Pmt in proc. Longo, Rv. 251516; Sez. 6, n. 10951 del 15/03/2006, Casula, Rv. 233708; Sez. 2, n. 36119 del 04/07/2017, Agati, Rv. 270801).
Non sono perciò deducibili, in sede di legittimità, censure relative alla motivazione diverse da quelle che abbiano ad oggetto la sua mancanza, la sua manifesta illogicità, la sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali per pervenire ad una diversa conclusione del processo; sono dunque inammissibili tutte le doglianze che “attaccano” la persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento (cfr., in tal senso, Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015, 0., Rv. 262965; Sez. 2 -, n. 9106 del 12/02/2021, Caradonna, Rv. 280747).
Nè, per altro verso, è consentito il ricorso per cassazione che, “sub specie” della violazione dell’art. 192 c.p.p., finisce in realtà per fondarsi su argomentazioni che si pongono in confronto diretto con il materiale probatorio, e non, invece, sulla denuncia di uno dei vizi logici, tassativamente previsti dall’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), (cfr., Sez. 6, n. 13442 del 08/03/2016, De Angelis ed altro, Rv. 266924; Sez. 6, n. 43963 del 30/09/2013, Basile, Rv. 258153; conf., ancora, Sez. U -, n. 29541 del 16/07/2020, Filardo, Rv. 280027 – 04, in cui la Corte ha ribadito che, in tema di ricorso per cassazione, è inammissibile il motivo con cui si deduca la violazione dell’art. 192 c.p.p., anche se in relazione all’art. 125 c.p.p. e art. 546 c.p.p., comma 1, lett. e), per censurare l’omessa o erronea valutazione degli elementi di prova acquisiti o acquisibili, in quanto i limiti all’ammissibilità delle doglianze connesse alla motivazione, fissati specificamente dall’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), non possono essere superati ricorrendo al motivo di cui alla lett. c) della medesima disposizione, nella parte in cui consente di dolersi dell’inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullità).
E, d’altra parte, è pacifico che è certamente preclusa al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata ovvero l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, anche qualora indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (cfr., Sez. 6 -, n. 5465 del 04/11/2020, F., Rv. 280601; Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Musso, Rv. 265482; Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, De Vita, Rv. 235507; cfr., ancora, Sez. 6, n. 22256 del 26/04/2006, Bosco, Rv. 234148, in cui la Corte ha affermato che il controllo del giudice di legittimità, pur dopo la novella dell’art. 606 c.p.p. ad opera della L. n. 46 del 2006, si dispiega, pur a fronte di una pluralità di deduzioni connesse a diversi atti del processo e di una correlata pluralità di motivi di ricorso, in una valutazione necessariamente unitaria e globale, che attiene alla reale “esistenza” della motivazione ed alla “resistenza” logica del ragionamento del giudice di merito, essendo preclusa al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti; conf., da ultimo, Sez. 3 -, n. 17395 del 24/01/2023, Chen, Rv. 284556 – 01, in cui la Corte ha ribadito che eccede dai limiti di cognizione della Corte di cassazione ogni potere di revisione degli elementi materiali e fattuali, trattandosi di accertamenti rientranti nel compito esclusivo del giudice di merito, posto che il controllo sulla motivazione rimesso al giudice di legittimità è circoscritto, ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), alla sola verifica dell’esposizione delle ragioni giuridicamente apprezzabili che l’hanno determinata, dell’assenza di manifesta illogicità dell’esposizione e, quindi, della coerenza delle argomentazioni rispetto al fine che ne ha giustificato l’utilizzo e della non emersione di alcuni dei predetti vizi dal testo impugnato o da altri atti del processo, ove specificamente indicati nei motivi di gravame, requisiti la cui sussistenza rende la decisione insindacabile).
Va anche considerato che l’emersione di una criticità su una delle molteplici valutazioni contenute nella sentenza impugnata, laddove le restanti offrano ampia rassicurazione sulla tenuta del ragionamento ricostruttivo, non può comportare l’annullamento della decisione per vizio di motivazione, potendo lo stesso essere rilevante solo quando, per effetto di tale critica, all’esito di una verifica sulla completezza e sulla globalità del giudizio operato in sede di merito, risulti disarticolato uno degli essenziali nuclei di fatto che sorreggono l’impianto della decisione (cfr., Sez. 1, Sentenza n. 46566 del 21/02/2017, M. ed altri Rv. 271227).
Tanto premesso va ad ogni modo ribadito che, nel caso di specie, si è in molti casi in presenza di una “doppia conforme” di merito, ovvero di decisioni che, nei due gradi, giungono a conclusioni analoghe sulla scorta di una conforme valutazione delle medesime emergenze istruttorie, cosicchè vige il principio per cui la sentenza di appello, nella sua struttura argomentativa, si salda con quella di primo grado sia quando operi attraverso ripetuti richiami a quest’ultima sia quando, per l’appunto, adotti gli stessi criteri utilizzati nella valutazione delle prove, con la conseguenza che le due sentenze possono essere lette in maniera congiunta e complessiva ben potendo integrarsi reciprocamente dando luogo ad un unico complessivo corpo decisionale (cfr., Sez. 2 -, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218; Sez. 3, n. 13926 del 01/12/2011, Valerio, 252615; Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, Argentieri, Rv. 257595).
Detto questo, va rilevato che la Corte di appello, con valutazione conforme a quella operata dal giudice di primo grado e con motivazione che non si presta a rilievi di manifesta illogicità o di contraddittorietà per “travisamento”, ha ritenuto provata la circostanza secondo cui gli imputati si erano abusivamente introdotti negli appartamenti siti in (Omissis), occupati, sgombrati dalle Forze dell’Ordine e poi nuovamente occupati.
A conforto della integrazione del reato contestato, ha peraltro riportato le parole dello stesso A.A. (cfr., pag. 10 della sentenza impugnata) che ha ritenuto in grado di confutare la deposizione della teste C.C. che, perciò, non sono state affatto ignorate ma, al contrario, considerate e specificamente valutate come non attendibili all’esito di una complessiva considerazione degli elementi acquisiti e, perciò, di un giudizio tipicamente “di merito” estraneo al perimetro delle questioni deducibili in questa sede.
3. Il secondo motivo del ricorso proposto dalla B.B. e, inoltre, il motivo nuovo proposto nell’interesse del A.A. (in realtà già di per sè inammissibile perchè non collegato a questioni sollevate con il ricorso principale) propongono all’attenzione della Corte la questione della applicabilità della causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis c.p. senza, tuttavia, riuscire ad evidenziare profili di legittimità da cui sarebbe inficiata a decisione della Corte di appello; i giudici palermitani, infatti, hanno puntualmente e congruamente motivato sulla sollecitazione difensiva avanzata con il gravame di merito che hanno respinto alla luce di un giudizio complessivo sulla “tenuità” del fatto che è stata esclusa alla luce delle “modalità esecutive delle condotte censurate” e della intensità della offesa al bene giuridico protetto, avendo i ricorrenti dato luogo ad una occupazione protrattasi per un lasso di tempo significativo (cfr., pag. 12).
Si è peraltro sostenuto, in talune decisioni, una qualche incompatibilità tra la causa di non punibilità invocata e la natura permanente del reato (cfr., in tal senso, Sez. 3 -, n. 15029 del 12/03/2021, Ferrara, Rv. 281606 – 01, secondo cui, in tema di delitto di occupazione abusiva del demanio marittimo di cui all’art. 1161 c.n., l’applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto non è di per sè preclusa dall’omessa eliminazione delle conseguenze dannose del reato, esulando un tale elemento dai criteri indicati dall’art. 131-bis c.p. resa, per l’appunto, con riguardo ad un caso di specie contrassegnato da cessazione della permanenza del reato per effetto di intervenuto sequestro).
4. Il rigetto dei ricorsi comporta la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.
rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Conclusione
Così deciso in Roma, il 11 ottobre 2023.
Depositato in Cancelleria il 24 novembre 2023